Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26453 del 26/11/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 26453 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

sentenza con motivazione semplificata

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro

pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge,

dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici di
questa domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

ricorrente

– intimata

contro
GIUDICE Cosimina Francesca;

e sul ricorso proposto da:
GIUDICE Cosimina Francesca, rappresentata e difesa, in forza
di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Pa-

,2,30//1

Data pubblicazione: 26/11/2013

squale Zoccali, con domicilio eletto nello studio dell’Avv.
Antonino Spinoso in Roma, via Antonio Mordini, n. 14;
– ricorrente contro

stro

pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge,

dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici di
questa domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente avverso il decreto della Corte d’appello di Catanzaro depositato in data 9 giugno 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5 novembre 2013 dal Consigliere relatore Dott. Alberto
Giusti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Luigi Salvato, il quale ha concluso
per il rigetto del ricorso del Ministero e l’accoglimento del
ricorso della parte.
Ritenuto che la Corte d’appello di Catanzaro, con decreto
in data 9 giugno 2012, in parziale accoglimento della domanda
proposta da Cosimina Francesca Giudice, ha condannato il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore
della ricorrente, della somma di euro 600 a titolo di equa riparazione, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, per
l’irragionevole durata di un processo amministrativo, iniziato

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MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Mini-

il 21 novembre 1997 e definito con decreto di perenzione del
13 ottobre 2011;
che la Corte d’appello – rigettata l’eccezione di improponibilità della domanda per mancata presentazione, nel processo

processo presupposto, in tema di pagamento della retribuzione
relativa al c.d. plus orario effettuato nell’anno 1995-1996,
poteva essere definito in un arco temporale non superiore ai
tre anni; e che il danno non patrimoniale – correlato al periodo di circa tre anni nella definizione del processo (stante
la presenza di un interesse della parte alla definizione del
giudizio a quo fino al 24 gennaio 2003, data di presentazione
dell’ultima istanza di trattazione urgente) – può essere liquidato in euro 200 per ogni anno di ritardo, attesa la modesta entità della posta in gioco;
che per la cassazione del decreto della Corte d’appello il
Ministero ha proposto ricorso, con atto notificato il 17 dicembre 2012, sulla base di tre motivi;
che anche la Giudice ha proposto autonomo ricorso, con atto
notificato il 22 gennaio 2013, sulla base di quattro motivi,
cui ha resistito, con controricorso, l’intimata Amministrazione.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una

motivazione semplificata nella redazione della sentenza;

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presupposto, dell’istanza di prelievo – ha rilevato che il

che, preliminarmente, i due ricorsi devono essere riuniti,
ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., essendo, entrambi,
proposti contro lo stesso decreto;
che, con il primo motivo del ricorso principale (violazione

2001, in combinato disposto con gli artt. 81 e ss. del d.lgs.
n. 104 del 2010, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc.
civ.), si sostiene che la mancata presentazione, nel giudizio
presupposto, dell’istanza di fissazione dell’udienza per impedire la perenzione precludeva la possibilità di riconoscere
l’equo indennizzo;
che il secondo mezzo del medesimo ricorso si propone la
stessa censura in riferimento all’art. 360, n. 4, cod. proc.
civ.;
che i motivi – da trattare congiuntamente, stante la stretta connessione – sono infondati;
che – premesso che, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo amministrativo, l’istituto della
perenzione decennale dei ricorsi, introdotto dall’art. 9 della
legge 21 luglio 2000, n. 205, non si traduce in una presunzione di disinteresse per la decisione di merito al decorrere di
un tempo definito dopo che la domanda sia stata proposta, e
che la mancata presentazione dell’istanza di fissazione, rendendo esplicito l’attuale disinteresse per la decisione di merito, giustifica l’esclusione della sussistenza del danno per

e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 della legge n. 89 del

la protrazione ultradecennale del giudizio, ma non impedisce
una valorizzazione dell’atteggiamento tenuto dalle parti nel
periodo precedente (Cass., Sez. I, 18 marzo 2010, n. 6619) correttamente la Corte d’appello ha valorizzato, ai fini del

della Giudice alla definizione del ricorso, manifestato attraverso la presentazione di due istanze di trattazione urgente,
rispettivamente in data 16 febbraio 1998 e 24 gennaio 2003;
che la ricorrente in via incidentale, con il primo motivo
(violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89
del 2001 e dell’art. 6 della CEDU), lamenta che la Corte
d’appello abbia liquidato in appena 200 euro per anno di ritardo il danno non patrimoniale, discostandosi dai precedenti
della Corte europea per i diritti umani;
che con il secondo motivo (omessa, insufficiente, illogica
e contraddittoria motivazione) si deduce che, contrariamente a
quanto ritenuto dalla Corte d’appello, il valore effettivo
della controversia presupposta non era né irrisorio, né modesto, e ci si duole che sia stata riconosciuta una irragionevole durata di soli tre anni, nonostante la ricorrente avesse
nel corso degli anni presentato, nel giudizio a

quo, ben tre

istanze di fissazione e prelievo, sollecitando in tal modo
l’azione del processo, dominato dal potere di iniziativa del
giudice amministrativo;

riconoscimento dell’equa riparazione, l’iniziale interesse

che i due motivi – da esaminare congiuntamente, stante la
loro stretta connessione – sono ammissibili, essendo formulati
nel rispetto delle prescrizioni formali dettate dall’art. 366
cod. proc. civ., e fondati, nei termini di seguito precisati;

ragionevole del processo a quo (nel quale l’istante aveva presentato due istanze di trattazione urgente) almeno sino alla
notifica dell’avviso di perenzione effettuata (il 3 agosto
2010) presso il difensore, e, nella liquidazione
dell’indennizzo, non avrebbe dovuto scendere sotto la soglia
di euro 500 per anno di ritardo, giustificata in considerazione del carattere irrisorio della posta in gioco;
che l’accoglimento, per quanto di ragione, dei primi due
mezzi del ricorso incidentale determina l’assorbimento del
terzo motivo, con cui la Giudice lamenta che gli interessi
sulla somma liquidata siano stati fatti decorrere dalla notifica della domanda anziché dalla data di deposito della domanda, e del quarto mezzo, relativo alla compensazione per metà
delle spese di causa;
che il decreto impugnato è cassato;
che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto,
la causa può essere decisa nel merito;
che, nel caso di specie, infatti, dallo stesso provvedimento impugnato emerge che la durata complessiva del procedimen-

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che il giudice a quo avrebbe dovuto computare la durata ir-

to, a partire dal novembre 1997 all’agosto 2010, è pari a circa dodici anni e nove mesi;
che, detratto il termine ragionevole, stimato in tre anni,
la durata non ragionevole risulta essere stata di circa nove

che, alla luce dell’accertata irragionevole durata del giudizio, alla ricorrente spetta un indennizzo che va liquidato
sulla base di euro 500 per ogni anno di ritardo, e quindi in
complessivi euro 4.870, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo;
che alla ricorrente compete altresì il rimborso delle spese
dell’intero giudizio, spese liquidate complessivamente nella
misura indicata in dispositivo;
che le spese di merito devono essere distratte in favore
del difensore della ricorrente, dichiaratosi antistatario.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale
e accoglie i primi due motivi del ricorso incidentale,
biti gli altri motivi del medesimo ricorso;
impugnato e,

decidendo

nel merito,

assor-

cassa il decreto

condanna

il Ministero

dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore di Cosimina Francesca Giudice, della somma di euro 4.860, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo;

condanna il

Ministero alla rifusione delle spese dell’intero giudizio,
spese che liquida, per il giudizio di merito, in euro 1.090,

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anni e nove mesi;

di cui euro 50 per esborsi, 440 per diritti e 600 per onorari,
oltre alle spese generali e agli accessori di legge, e, per il
giudizio di legittimità, in euro 393, di cui euro 293 per compensi ed euro 100 per esborsi, oltre agli accessori di legge.

zione civile della Corte suprema di Cassazione, il 5 novembre
2013.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Se-

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