Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2645 del 04/02/2010

Cassazione civile sez. I, 04/02/2010, (ud. 10/11/2009, dep. 04/02/2010), n.2645

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

V.F., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza del

Popolo 18, presso l’avv. FRISANI Pietro L., che lo rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’appello di Firenze del 24 maggio

2007, nella causa iscritta al n. 59/07 R.G.V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10 novembre 2009 dal relatore, Cons. Dott. Stefano Schirò;

udito per il ricorrente l’avv. Pietro L. Frisani;

alla presenza del Pubblico Ministero, in persona del sostituto

procuratore generale, Dott.ssa CARESTIA Antonietta, che nulla ha

osservato.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte:

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione, comunicata al Pubblico Ministero e notificata all’avvocato del ricorrente:

“il consigliere relatore, letti gli atti depositati;

RITENUTO CHE:

1. V.F. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, avverso il decreto in data 24 maggio 2007, con il quale la Corte di Appello di Firenze ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal medesimo V. per il pagamento in suo favore della somma di Euro 15.000,00, a titolo di indennizzo per il superamento del termine di ragionevole durata di un processo, instaurato in data 7 luglio 1998 davanti TAR Toscana per l’annullamento di alcuni provvedimenti prefettizi che disponevano la sospensione della licenza per attività investigativa e terminato il 20 giugno 2005;

OSSERVA:

2. la Corte di appello di Firenze ha dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto l’atto impugnato riguarda un’autorizzazione amministrativa non suscettibile di incidere sui diritti della personalità del ricorrente e riguardante solo indirettamente posizioni di natura economica, tenuto anche conto che il ricorso è stato proposto quando era ormai decorso il termine semestrale dal passaggio in giudicato delle decisione, previsto dalla L. n. 89 del 2001;

3. il ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo due motivi di ricorso, con i quali deduce che il giudizio presupposto aveva un oggetto di natura patrimoniale, riguardando comunque un preteso pregiudizio a diritti aventi carattere patrimoniale, e che al momento di presentazione del ricorso per equa riparazione non era ancora decorso il termine semestrale di legge dal passaggio in giudicato della sentenza del TAR;

4. i motivi di ricorso, esaminati congiuntamente, appaiono manifestamente fondati, in quanto il diritto all’equa riparazione per la irragionevole durata del processo è pienamente configurabile anche per i giudizi dinanzi al TAR ed al Consiglio di Stato, qualunque sia il loro oggetto, in quanto l’espressione “diritti ed obblighi di natura civile” (adoperata dall’art. 6 della CEDU) riguarda ogni posizione soggettiva valutata in Italia dai giudici, siano essi dell’a.g.o. o amministrativi (Cass. 2003/3410; 2003/6519);

inoltre il ricorso per equa riparazione appare essere stato proposto entro il termine semestrale dal passaggio in giudicato della sentenza del TAR;

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilevi formulati al punto 4, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in Camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione;

B1) ritenuto che, in base alle considerazioni che precedono, il decreto impugnato deve essere annullato con riferimento alle censure accolte e che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1; che, in particolare, determinata in sette anni la durata complessiva del processo presupposto e stimato in tra anni, secondo i parametri cronologici elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo (cfr. Cass. 2004/3143; 2004/4207; 2005/8600), il periodo di ragionevole durata del processo di primo grado, va stabilito in quattro anni il periodo di durata non ragionevole;

B2) considerato che il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel processo presupposto va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; che, secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; ritenuto che tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno; che di conseguenza si deve riconoscere al ricorrente l’indennizzo di Euro 3.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente;

B3) considerato altresì che le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352);

PQM

La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore di V.F. della somma di Euro 3.250,00, oltre agli interessi legali a decorrere dalla domanda.

Condanna inoltre il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 911,00, di cui Euro 311,00 per competenze ed Euro 100,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 700,00, di cui Euro 600,00 per onorari, oltre a spese generali e aCcessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2010

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