Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2645 del 01/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 01/02/2017, (ud. 11/01/2017, dep.01/02/2017),  n. 2645

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15497/2014 proposto da:

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata

e difesa dall’avvocato MARCELLA LOIZZI, giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difesa dagli avvocati

NICOLA D’ALCONZO ed EUGINIA D’ALCONZO, giusta procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4014/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI,

emessa il 26/11/2013 e depositata il 5/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata dell’11/1/2017 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA

MAROTTA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

– con l’indicata sentenza della Corte di appello di Bari confermava la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato il diritto di G.G., appartenente al personale universitario non medico ed inquadrato nella ex 8^ qualifica funzionale in qualità di funzionario tecnico, all’indennità di equiparazione di cui alla L. n. 200 del 1974, art. 1, comma 1, commisurata alla retribuzione complessiva della corrispondente ex qualifica funzionale 10^ del c.c.n.l. Comparto sanità;

– la Corte territoriale perveniva alla decisione richiamando i principi espressi da questa Corte nella decisione n. 12908/2013 nonchè nella precedente pronuncia resa a sezioni unite n. 8521/2012 e in particolare riteneva fondato il diritto del ricorrente a fronte del dato fattuale della equivalenza delle mansioni e delle posizioni funzionali coinvolte, a prescindere dall’elemento formale del titolo di studio;

– avverso tale sentenza l’Università di (OMISSIS) propone ricorso per cassazione affidato a due motivi;

– G.G. resiste con controricorso;

– la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

– l’Università ha depositato memoria;

– il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO INDIRITTO

che:

– con il primo motivo l’Università denuncia violazione ed errata applicazione del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, L. n. 200 del 1974, art. 1, D.I. 9 novembre 1982 e D.M. 31 luglio 1997, art. 6, all. D, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata allegazione di parte istante dell’effettiva parità di mansioni e funzioni quale presupposto indefettibile dell’invocata parità retributiva, anche con riguardo al disposto di cui all’art. 36 Cost.; rileva che l’equivalenza delle mansioni non può ritenersi sussistente e provata per il solo fatto dell’automatismo classificatorio di profili funzioni (universitario e ospedaliero) ed evidenzia che le corrispondenze previste nel D.I. 9 novembre 1982 e nell’allegata tabella D hanno carattere provvisorio e sono del tutto superate dall’evolversi dei sistemi di inquadramento e di classificazione del personale;

– con il secondo motivo l’Università denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 53 del c.c.n.l. Comparto sanità 1994/1997, dell’art. 51 c.c.n.l. Comparto sanità 1998/2001, dell’art. 28 del c.c.n.l. 2002/2005, rilevando che tali disposizioni pattizie avallano la propria tesi difensiva circa la natura provvisoria della tabella D, acclarando la piena legittimità dei provvedimenti di ordine generale assunti dalle Università nelle more della definizione della tabella di corrispondenza;

– i motivi sono infondati alla luce dei plurimi precedenti di questa Corte (v. Cass., Sez. Un., 19 aprile 2012, nn. 6104 e 6105; Cass., Sez. Un., n. 17928 del 24 luglio 2013; Cass. n. 12908 del 24 maggio 2013; Cass. n. 5325 del 7 marzo 2014; Cass. n. 1078 del 21 gennaio 2015; Cass. n. 10629 del 22 maggio 2015; Cass. 4 agosto 2015, n. 16350; Cass., Sez. Un., 14799 del 19 luglio 2016);

– la normativa primaria contenuta nel D.P.R. n. 761 del 1979 (art. 31) prevedeva il diritto del personale universitario operante presso i policlinici, le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con le regioni e con le unità sanitarie locali, anche se gestiti direttamente dalle università, a vedersi riconoscere un’indennità che remunerasse la prestazione assistenziale svolta, nella misura occorrente per equiparare il relativo trattamento economico complessivo a quello del personale delle unità sanitarie locali di pari funzioni, mansioni e anzianità; non recava tuttavia una disciplina specifica circa i criteri di commisurazione dell’indennità e l’equiparazione era concretamente stabilita nell’allegato D del D.I. 9 novembre 1982, da considerarsi, con la consolidata giurisprudenza amministrativa, esplicazione di discrezionalità normativa non suscettibile di sindacato in assenza di profili di chiara illogicità;

– è irrilevante la sopravvenuta perdita di efficacia del D.I. 9 novembre 1982 – con l’intervento del D.P.R. n. 348 del 1983 – o dal 1986 – a seguito della L. n. 23 del 1986 che ha istituito il ruolo speciale del personale medico-scientifico -, posto che il nuovo contratto del personale USL succeduto all’accordo del personale ospedaliero cui si richiama il citato D.I. non può avere altro effetto se non quello di comportare l’adeguamento dell’indennità di perequazione in parola; allo stesso modo, il richiamo, contenuto nel decreto del 1982, alla ridefinizione delle qualifiche ed alla riforma del ruolo del personale tecnico-scientifico non comporta limiti di durata alla disposta equiparazione, ma ne prospetta la perdurante operatività nel tempo;

– del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, ha continuato a trovare applicazione, nelle more dell’approvazione di una tabella nazionale per la ridefinizione delle corrispondenze economiche tra il trattamento del personale addetto a strutture sanitarie convenzionate e quello del personale del S.S.N., e sono state “conservate le indennità di perequazione in godimento e le collocazioni in essere” (sul punto v. Cass., Sez. Un., 19 aprile 2012, nn. 6104 e 6105).

– ai fini dell’indennità di equiparazione in questione, sono determinanti la qualifica riconosciuta presso l’Università e la ricordata tabella di equiparazione (allegato D al D.I. 9 novembre 1982), indipendentemente dal possesso del titolo di studio necessario per l’accesso alla qualifica rivendicata (es. diploma di laurea);

– lo svolgimento di mansioni in concreto correlate alla qualifica presso la struttura ospedaliera che opera come termine di comparazione per l’indennità di equiparazione è rilevante solo in quelle controversie nelle quali si discute in specifico della spettanza anche dell’indennità di posizione minima (cosiddetta indennità di dirigenza) in relazione alla quale è stato posto il diverso problema dello svolgimento di fatto delle mansioni dirigenziali alla luce dell’art. 40 del c.c.n.l. 1998-2001 che connette tale specifica indennità allo svolgimento dell’incarico conferito; così in caso di equiparazione tra la 7^ o l’8^ qualifica funzionale di cui alla L. n. 312 del 1980 (dipendenti dell’Università) e il 9^ o 10^ livello sanitario (dipendenti ospedalieri), poi confluiti nell’unico ruolo dirigenziale, l’indennità di equiparazione deve essere determinata senza includere automaticamente nel criterio di computo la retribuzione di posizione dei dirigenti del comparto sanità, la quale può essere riconosciuta solo se collegata all’effettivo conferimento di un incarico direttivo (v. Cass., Scz. Un. n. 14799/2016 cit.; Cass., Sez. Un., 9 maggio 2016, n. 9279). Tuttavia tale questione non risulta essere stata mai prospettata (cfr. sentenza impugnata);

– la proposta va, pertanto, condivisa e il ricorso va rigettato;

– la complessità della vicenda ed i plurimi interventi di questa Corte anche a Sezioni unite giustificano la compensazione delle spese tra le parti;

– va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in quanto l’obbligo del previsto pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del ricorso (così Cass. Sez. un. n. 22035/2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2017

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