Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26447 del 26/11/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 26447 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

sentenza con motivazione semplificata

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro

pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge,

dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici di
questa domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

ricorrente

contro
CRIACO Natalina, rappresentata e difesa, in forza di procura
speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Santo Fortunato Barillà, con domicilio eletto nel suo studio in Roma, via
Tunisi, n. 14;
– controri corrente –

3,9

Data pubblicazione: 26/11/2013

avverso il decreto della Corte d’appello di Catanzaro depositato in data 17 aprile 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udien-

za del 5 novembre 2013 dal Consigliere relatore Dott. Alberto

udito l’Avv. Santo Fortunato Barillà;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Pro-

curatore Generale dott. Luigi Salvato, il quale ha concluso
per il rigetto del ricorso.
Ritenuto

che la Corte d’appello di Catanzaro, con decreto

in data 17 aprile 2012, in parziale accoglimento della domanda
proposta da Natalina Criaco, ha condannato il Ministero
dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore della
ricorrente, della somma di euro 9.437,50 a titolo di equa riparazione, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, per
l’irragionevole durata di un processo amministrativo;
che la Corte d’appello – rigettata sia l’eccezione di improponibilità della domanda per mancata presentazione, nel
processo presupposto, dell’istanza di prelievo, sia
l’eccezione di prescrizione – ha rilevato che il processo presupposto, in tema di pagamento dell’indennità per lavoro straordinario prestato dalla dipendente, era iniziato nel settembre 1994 davanti al Tar Calabria e, a seguito di istanza di
fissazione di udienza formulata in data 27 ottobre 2009, era
stato deciso con sentenza di accoglimento del 21 aprile 2010;

Giusti;

e che nella fattispecie, tenuto conto della natura,
dell’oggetto e della complessità della vicenda processuale, il
termine ragionevole era di tre anni, mentre la durata irragionevole era di dodici anni e sette mesi;

ritardo, l’importo di euro 750;
che per la cassazione del decreto della Corte d’appello il
Ministero ha proposto ricorso, con atto notificato il 13 ottobre 2012, sulla base di tre motivi;
che l’intimata ha resistito con controricorso;
che in prossimità dell’udienza la controricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una

motivazione semplificata nella redazione della sentenza;
che, con il primo motivo, si sostiene che l’applicazione
dell’art. 54, secondo comma, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112,
avrebbe dovuto condurre ad una declaratoria di improponibilità
della domanda proposta, atteso che il giudizio proposto dalla
Criaco dinanzi al TAR Calabria risultava ancora in corso alla
data di introduzione del citato decreto-legge, mentre nessuna
istanza di prelievo veniva presentata successivamente
all’entrata in vigore della predetta normativa;
che il motivo è solo in parte fondato;
che – poiché il giudizio presupposto è stato definito con
sentenza in data 21 aprile 2010 (e quindi era in corso alla

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che la Corte territoriale ha liquidato, per ogni anno di

data del 25 giugno 2008, ma è stato definito prima del 16 settembre 2010); e poiché l’istanza di prelievo non è stata presentata – trova applicazione il principio secondo cui, in tema
di equa riparazione per l’irragionevole durata di un processo

lievo rende improponibile la domanda di equa riparazione nella
parte concernente la durata del giudizio presupposto successiva alla data (del 25 giugno 2008) di entrata in vigore
dell’art. 54 del d.l. 25 giugno 2008 n. 112, conv. in legge 6
agosto 2008 n. 133, che, avendo configurato la suddetta istanza di prelievo come presupposto processuale della domanda di
equa riparazione, deve sussistere al momento del deposito della stessa, ai fini della sollecita definizione del processo
amministrativo in tempi più brevi rispetto al tempo già trascorso, fermo restando che l’omessa presentazione dell’istanza
di prelievo non determina la vanificazione del diritto
all’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo
con riferimento al periodo precedente al 25 giugno 2008
(Cass., Sez. V1-1, 13 aprile 2012, n. 5914);
che, con il secondo motivo, ci si duole dell’eccessività
della liquidazione del danno non patrimoniale, pari a euro 750
per ciascuno degli anni di irragionevole ritardo nella definizione del giudizio, nonostante l’assoluta esiguità della posta
in gioco nel giudizio presupposto;
che il motivo è fondato;

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amministrativo, la mancata proposizione dell’istanza di pre-

che – poiché la posta in gioco nel processo presupposto era, secondo quanto rilevato dallo stesso giudice a quo, decisamente modesta (trattandosi del pagamento delle indennità dovute per il lavoro straordinario nel corso dei mesi di novem-

scarso interesse alla rapida definizione del giudizio amministrativo, non presentando l’istanza di prelievo – la Corte
d’appello, nel determinare la quantificazione del danno non
patrimoniale subito per ogni anno di ritardo, avrebbe potuto
scendere al di sotto del livello di soglia minima di euro 750
per anno di ritardo, ad evitare un risarcimento del danno non
patrimoniale del tutto sproporzionato rispetto alla reale entità del pregiudizio sofferto;
che con il terzo mezzo (violazione e falsa applicazione
dell’art. 4 della legge n. 89 del 2001, nonché degli artt.
2934, 2935, 2946 e 1173 cod. civ.) si lamenta che la Corte
d’appello abbia rigettato l’eccezione di prescrizione del diritto azionato;
che il motivo è infondato;
che, in tema di equa riparazione per violazione del termine
di ragionevole durata del processo, la previsione della sola
decadenza dall’azione giudiziale per ottenere l’equo indennizzo a ristoro dei danni subiti a causa dell’irragionevole durata del processo, contenuta nell’art. 4 della legge 24 marzo
2001, n. 89, con riferimento al mancato esercizio di essa nel

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bre e dicembre 1991), e poiché la parte istante ha dimostrato

termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della decisione
che ha definito il procedimento presupposto, esclude la decorrenza dell’ordinario termine di prescrizione, in tal senso deponendo non solo la lettera dell’art. 4 richiamato, norma che

dell’art. 2967 cod. civ. coerente con la rubrica dell’art.
2964 cod. civ., che postula la decorrenza del termine di prescrizione solo allorché il compimento dell’atto o il riconoscimento del diritto disponibile abbia impedito il maturarsi
della decadenza; inoltre, in tal senso depone, oltre
all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di
accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo
alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonché il
frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione
di iniziative processuali che l’operatività della prescrizione
in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo
ultradecennale nella definizione del processo (Casa., Sez.
Un., 2 ottobre 2012, n. 16783);
che, pertanto, il decreto impugnato deve essere cassato in
relazione alle censure accolte;
che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto,
la causa può essere decisa nel merito;

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ha evidente natura di legge speciale, ma anche una lettura

che, nel caso di specie, infatti, dallo stesso provvedimento impugnato emerge che la durata complessiva del procedimento, dal settembre 1994 al giugno 2008, è pari a circa tredici
anni e nove mesi;

la durata non ragionevole risulta essere stata di circa dieci
anni e nove mesi;
che, alla luce dell’accertata irragionevole durata del giudizio, alla ricorrente spetta un indennizzo che va liquidato
sulla base di euro 500 per ogni anno di ritardo (Cass., Sez.
Il, 24 luglio 2012, n. 12937), e quindi in complessivi euro
5.375, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo;
che alla ricorrente compete altresì il rimborso della metà
delle spese del giudizio di merito (sussistendo giustificati
motivi per la compensazione della restante parte, essendo la
domanda accolta soltanto in parte), spese liquidate complessivamente nella misura indicata in dispositivo;
che le spese devono essere distratte in favore del difensore della ricorrente, dichiaratosi antistatario;
che le spese del giudizio di cassazione vanno compensate
tra le parti, atteso l’esito complessivo del giudizio.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso,
nei sensi di cui in motivazione, e rigetta il terzo;

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cassa il

che, detratto il termine ragionevole, stimato in tre anni,

decreto impugnato in relazione alle censure accolte e,
dendo nel merito,

deci-

condanna il Ministero dell’economia e delle

finanze al pagamento, in favore di Natalina Criaco, della somma di euro 5.375, oltre interessi legali dalla data della docondanna il Ministero alla rifusione del 50%

delle spese del giudizio di merito, previa compensazione della
restante parte, spese che liquida, nell’intero, in euro 1.100,
di cui euro 40 per esborsi, 460 per diritti e 600 per onorari,
oltre alle spese generali e agli accessori di legge, disponendone la distrazione in favore del difensori della ricorrente,
Avv. Santo Fortunato Barillà.

Dichiara

compensate tra le par-

ti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 5 novembre
2013.

manda al saldo;

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