Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26446 del 20/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/11/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 20/11/2020), n.26446

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28192/2014 R.G., proposto da:

la “C.D.C. Centro Direzionale Caserta S.r.l.”, con sede in Brescia,

in persona dell’amministratore unico pro tempore, rappresentata e

difesa dall’Avv. Tullio Castelli, con studio in Brescia, e dall’Avv.

Maurizio Messina, con studio in Roma, ove elettivamente domiciliata,

giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente

procedimento.

– ricorrente –

contro

l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore

Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con sede in Roma, ove elettivamente

domiciliata;

– resistente –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

di Milano – Sezione Staccata di Brescia il 6 maggio 2014 n.

2373/64/2014, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. n.

17 marzo 2020 n. 18, art. 83, comma 12-quinquies, convertito, con

modificazioni, nella L. 24 aprile 2020, n. 27) del 30 giugno 2020

dal Dott. Giuseppe Lo Sardo;

 

Fatto

RILEVATO

che:

La “C.D.C. Centro Direzionale Caserta S.r.l.” ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale di Milano – Sezione Staccata di Brescia il 6 maggio 2014 n. 2373/64/2014, non notificata, che, in controversia su impugnazione di avviso di liquidazione di maggior imposta di registro in relazione ad un verbale assembleare per l’enunciazione di un precedente “finanziamento infruttifero” utilizzato da un socio in compensazione della sottoscrizione di un aumento di capitale da parte di altri soci, ha rigettato l’appello proposto dalla medesima nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Brescia il 27 marzo 2012 n. 34/02/2012, con condanna alla rifusione delle spese di lite. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di primo grado, sul presupposto che, al momento dell’enunciazione del finanziamento, la titolarità del credito compensato spettava alla socia beneficiaria dell’aumento di capitale. L’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione. La ricorrente ha depositato memoria difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con unico motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, e del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, artt. 22, commi 1 e 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che le predette norme fossero applicabili, nonostante, per la prima, non vi fosse domanda o eccezione nuova circa la diversità del soggetto che ha eseguito il finanziamento da quello che ha portato in compensazione il finanziamento in sede di aumento di capitale, e, per la seconda, non vi fosse identità tra il soggetto che ha eseguito il finanziamento da quello che ha portato in compensazione il finanziamento in sede di aumento di capitale; nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver omesso ogni motivazione in ordine ai documenti prodotti in giudizio con riguardo alle vicende della quota spettante al socio sottoscrittore dell’aumento di capitale.

Ritenuto che:

1. Il motivo è palesemente infondato.

1.1 Anzitutto, si ribadisce che, se in un atto sono enunziate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere tra le stesse parti intervenute, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 22, comma 1, l’imposta di registro si applica anche alle disposizioni enunziate; ne consegue l’imponibilità del finanziamento soci, enunciato in un atto di ripianamento delle perdite del capitale sociale e sua ricostituzione ovvero di semplice aumento del capitale sociale mediante rinuncia dei soci ai predetti finanziamenti in precedenza effettuati nei confronti della società, a prescindere dall’effettivo uso del finanziamento medesimo, trattandosi di atto avente ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, finalizzato a determinare una modificazione della sfera patrimoniale e suscettibile di valutazione economica (ex plurimis: Cass., Sez. 5, 30 giugno 2010, n. 15585; Cass., Sez. 6, 12 dicembre 2019, n. 32516).

1.2 Tuttavia, la ricorrente ha contestato l’applicabilità del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 22, comma 1, sul rilievo dell’eterogeneità delle parti tra l’atto “enunciante” (il finanziamento) e l’atto “enunciato” (l’aumento del capitale sociale).

Invero, condizione imprescindibile della tassazione per enunciazione è l’assoluta identità delle parti intervenute nell’atto “enunciante” e nell’atto “enunciato” (Cass., Sez. 5, 2 febbraio 2000, n. 1125).

Laddove, il finanziamento sarebbe stato erogato alla “C.D.C. Centro Direzionale Caserta S.r.l.” dal socio P.F. (dante causa di G.S.), mentre l’aumento del capitale sociale sarebbe stato sottoscritto (pro parte) dalla socia G.S. (avente causa di P.F.).

1.3 E’ assolutamente irrilevante la circostanza che il finanziamento – utilizzato per la sottoscrizione e la liberazione dell’aumento del capitale sociale di cui al verbale assembleare – sia stato concesso alla società da un socio che abbia, poi, ceduto ad un terzo la quota di compartecipazione al capitale sociale.

In proposito, questa Corte (vedasi, in particolare, per la sua completezza e dettagliatezza: Cass., Sez. 1, 29 luglio 2015, n. 16049) ha più volte enunciato le differenze tra le varie modalità di dazione di denaro da parte del socio alla società, precisando che ciascuna di esse ha una propria causa concreta, e dalla relativa qualificazione discendono conseguenze rilevanti, anche per l’evenienza della cessione della quota sociale.

Sono stati, invero, individuati, nell’ambito della prassi diffusa soprattutto nelle società a ristretta base personale, apporti del socio a vario titolo, di cui i più frequenti sono i “finanziamenti”, i “versamenti a fondo perduto” (denominati anche “versamenti in conto capitale”) ed i “versamenti finalizzati ad un futuro aumento del capitale”.

1.4 I primi sono mutui ex artt. 1813 ss. c.c., derivano da un contratto a forma libera tra il socio e la società, vanno iscritti al passivo dello stato patrimoniale tra i debiti verso soci.

Se il socio cede la quota ad un terzo, conserva però – ove nulla le parti abbiano previsto – la titolarità del credito uti singulus.

1.5 I secondi, dal lato opposto, sono certamente privi della natura del mutuo, in quanto non ne è pattuito il diritto al rimborso e vengono iscritti nel passivo dello stato patrimoniale tra le riserve, che l’assemblea può discrezionalmente utilizzare, con le ordinarie modalità, per ripianare le perdite o per aumentare gratuitamente il capitale, imputandole a ciascun socio proporzionalmente alla partecipazione al capitale sociale, senza che occorra tener conto del soggetto che abbia operato il versamento, proprio in ragione dell’inesistenza di qualsiasi credito alla restituzione delle somme.

L’apporto del socio produce l’acquisizione definitiva al patrimonio della società delle somme versate, le quali sono da assimilare al capitale di rischio, cui vanno equiparate agli effetti sostanziali. La riserva così formata, al pari delle riserve ordinarie o facoltative per la quota eccedente la riserva legale, ha dunque di regola carattere disponibile, ma la distribuzione non costituisce un diritto soggettivo del socio. In caso di alienazione della partecipazione sociale, la natura dei versamenti in discorso, assimilabili al capitale di rischio, ne rende impredicabile la cessione separata dalla stessa vendita della quota.

1.6 I terzi appartengono alla categoria più sfumata, per la quale particolarmente attenta deve essere la ricostruzione in fatto, in cui la dazione dell’importo è finalizzata a liberare il debito da sottoscrizione di un futuro aumento del capitale sociale mediante successiva rinuncia, che il socio porrà in essere dopo la deliberazione assembleare di aumento e la sua sottoscrizione.

Poichè le parti stabiliscono un chiaro collegamento causale tra il versamento eseguito dal socio ed un prossimo aumento del capitale sociale, nel caso in cui l’aumento non sia eseguito il socio avrà diritto alla restituzione del versamento eseguito (si discorre di riserva “personalizzata” o “targata”, in quanto di esclusiva pertinenza dei soci che hanno effettuato i versamenti in relazione all’entità delle somme da ciascuno erogate). In tale situazione, ove l’aumento non sia operato, il socio avrà diritto alla restituzione di quanto versato: non a titolo di rimborso di somma data a mutuo, ma per essere venuta successivamente meno la causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale da lui eseguita in favore della società (e, quindi, secondo i principi della ripetizione dell’indebito).

Dunque, l’alienazione della partecipazione sociale può essere operata senza includervi tale versamento, la cui restituzione costituisce un credito in capo al disponente, sia pure condizionato ed inesigibile sino a quel momento (come ora esposto ed in senso diverso dal versamento del secondo tipo), il quale quindi può essere ceduto separatamente dalla quota sociale.

1.7 Diviene, allora, decisiva l’interpretazione della volontà delle parti, in quanto l’utilizzo di formule non codificate impone di verificare con la massima cautela quale sia stata – in concreto – la reale intenzione dei soggetti, socio e società, tra i quali il rapporto si è instaurato: occorrendo, di volta in volta, accertare se si sia trattato di un rapporto di finanziamento riconducibile allo schema del mutuo, o di un contratto atipico di conferimento, ed, in quest’ultimo caso, se esso sia stato condizionato ad un futuro aumento del capitale nominale della società.

Con l’accortezza, attesa la frequenza dell’uso, spesso a fini tributari, di termini non intesi nel loro significato tecnico-giuridico, che è necessario non arrestarsi alla mera denominazione adoperata nelle scritture contabili della società, per volgere, invece, l’attenzione soprattutto al modo in cui concretamente è stato attuato il rapporto, alle finalità pratiche cui esso appare essere diretto ed agli interessi che vi sono sottesi (come richiedeva già la citata Cass., Sez. 1, 19 marzo 1996, n. 2314): in definitiva, agli accordi tra soci e società, secondo gli art. 1362 ss. c.c.. L’indagine sul punto deve tenere conto delle clausole statutarie che tali versamenti prevedano, delle scritture contabili, dei bilanci, del comportamento delle parti e di ogni altra circostanza del caso concreto.

Ove, inoltre, risulti che il socio abbia eseguito l’erogazione del denaro in vista di un futuro aumento, del quale avrebbe per definizione in tale veste beneficiato, e che, mutata la sua prospettiva all’interno dell’ente collettivo, egli abbia inteso uscirne disponendo sia della quota e sia – separatamente – di quel credito, tale elemento potrebbe essere complementarmente indicativo proprio della qualificazione del versamento nel terzo tipo, sopra descritto (vedansi anche: Cass., Sez. 1, 23 marzo 2017, n. 7471; Cass., Sez. 1, 8 giugno 2018, n. 15035).

1.8 Il giudici di merito hanno accertato che, al momento dell’enunciazione (nel verbale assembleare del 23 febbraio 2011), la socia G.S. aveva sottoscritto e liberato (per la parte di sua spettanza) l’aumento del capitale sociale, mediante compensazione del debito assunto verso la società per il conferimento con il credito vantato nei confronti della società per il finanziamento (secondo la situazione patrimoniale al 31 dicembre 2010), evincendosi dal verbale assembleare la coincidenza tra la qualità di socio e la qualità di creditore della società.

Per cui, alla luce di tale risultanza, è evidente che G.S. era subentrata a P.F. (per effetto della cessione stipulata il 21 maggio 2004) – oltre che nella titolarità della partecipazione sociale – anche nella titolarità del finanziamento alla “C.D.C. Centro Direzionale Caserta S.r.l.” (al di là della esatta qualificazione della sua natura).

Tale circostanza, comunque, non preclude la tassabilità del finanziamento enunciato nel verbale assembleare D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ex art. 22, comma 1. Difatti, l’identità delle parti non è alterata dalle vicende circolatorie che interessano la titolarità del rapporto contrattuale fino al momento topico dell’enunciazione. Per cui, al momento della deliberazione di aumento del capitale sociale, non vi è dubbio che il socio sottoscrittore coincidesse con il socio finanziatore. Ciò che rileva, infatti, è soltanto che le parti del contratto enunciante coincidano con le parti del contratto enunciato (anche se queste ultime non siano gli originari contraenti, ma soltanto i successivi cessionari).

1.9 La Commissione Tributaria Regionale ha fatto corretta applicazione del principio enunciato, desumendo dallo stesso contenuto del verbale assembleare, con congrua e adeguata motivazione, che il requisito dell’identità delle parti tra atto “enunciante” e “atto enunciato” (ai fini del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 22, comma 1) fosse assicurata dalla convergenza tra titolarità del finanziamento e titolarità della partecipazione sociale al momento della sottoscrizione e della liberazione dell’aumento di capitale sociale.

2. Pertanto, stante l’infondatezza del motivo dedotto, il ricorso deve essere rigettato.

3. Nulla per le spese giudiziali. Invero, l’amministrazione finanziaria non ha svolto attività difensiva, essendosi costituita al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

4. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; dà atto dell’obbligo, a carico della ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2020

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