Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26445 del 20/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/11/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 20/11/2020), n.26445

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21030/2014 R.G., proposto da:

la “Gamba Service S.p.A.”, in liquidazione, con sede in (OMISSIS), in

persona del liquidatore pro tempore, rappresentata e difesa

dall’Avv. Vincenzo Desiderio, con studio in Bologna, elettivamente

domiciliato presso l’indirizzo PEC studiolegaledesiderio.pec.it,

giusta procura in calce al ricorso introduttivo del presente

procedimento;

– ricorrente –

contro

l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore

Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, ove per legge domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

di Bologna il 14 gennaio 2014 n. 29/10/2014, non notificata;

letto il parere reso dal P.M., nella persona del Sostituto

Procuratore Generale, Dott. De Matteis Stanislao, il quale ha

concluso per il rigetto del ricorso;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. 17

marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 12-quinquies, convertito, con

modificazioni, nella L. 24 aprile 2020, n. 27) del 30 giugno 2020

dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La “Gamba Service S.p.A.”, in liquidazione, ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale di Bologna il 14 gennaio 2014 n. 29/10/2014, non notificata, che, in controversia su impugnazione di un avviso di recupero per indebita fruizione del credito di imposta per incremento dell’occupazione (L. 23 dicembre 2000, n. 388, ex art. 7) in ordine all’anno 2003, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della medesima avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bologna il 13 gennaio 2010 n. 10/05/2010. La Commissione Tributaria Regionale ha riformato la decisione di prime cure sul presupposto che anche le agevolazioni a sostegno dell’incremento dell’occupazione fossero soggette al limite c.d. de minimis. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con unico motivo, si deduce violazione e falsa applicazione della L. 23 dicembre 2000, n. 388, artt. 7, comma 10, della L. 27 dicembre 2002, n. 289, 63, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che, non configurando un aiuto di Stato, il beneficio in questione dovesse essere riconosciuto nei limiti della regola de minimis, cioè entro la soglia massima di Euro 100.000,00 nell’arco di un triennio.

Ritenuto che:

1. Posto che l’art. 360-bis c.p.c. esclude l’inammissibilità (nella specie, eccepita dall’amministrazione finanziaria) allorchè l’esame delle doglianze offra elementi (nella specie, in ordine alla ricorrenza dei requisiti per la configurazione di un “aiuto di Stato”) per confermare (e ribadire) l’orientamento consolidato, il motivo si rivela infondato.

1.1 La L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 7, comma 10, disciplina gli incentivi concessi, in forma di credito di imposta, ai datori di lavoro che incrementano la base occupazionale, e prevede: “Per i datori di lavoro che nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2001 e il 31 dicembre 2003 effettuano nuove assunzioni di lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato da destinare ad attività produttive ubicate nei territori individuati dal citato art. 4 e nelle aree di cui all’obiettivo 1 del regolamento (CE) n. 1260/1999, del Consiglio, del 21 giugno 1999, nonchè in quelle delle regioni Abruzzo e Molise, spetta un ulteriore credito di imposta. L’ulteriore credito di imposta, che è pari a L. 400.000 per ciascun nuovo dipendente, compete secondo la disciplina di cui al presente articolo. All’ulteriore credito di imposta di cui al presente comma si applica la regola “de miminis” di cui alla comunicazione della Commissione delle Comunità Europee 96/C68/06, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee C68 del 6 marzo 1996, e ad esso sono cumulabili altri benefici eventualmente concessi ai sensi della predetta comunicazione purchè non venga superato il limite massimo di L. 180 milioni nel triennio”.

La disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese è stata originariamente adottata dalla Commissione delle Comunità Europee il 20 maggio 1992 e pubblicata nella G.U.C.E. n. C/213 del 19 agosto 1992.

Con comunicazione pubblicata nella G.U.C.E. n. C/68/9 del 6 marzo 1996, la Commissione delle Comunità Europee ha definito la nuova disciplina degli aiuti de minimis. Secondo tale regola, gli aiuti di esigua entità (aiuti, appunto, de minimis) non rientrano nel campo d’applicazione dell’art. 87 del Trattato C.E., par. 1, perchè, concretamente, non hanno effetti sulla concorrenza e sugli scambi ed, in quanto tali, non sono soggetti all’obbligo di previa notifica alla Commissione delle Comunità Europee (ex art. 88 Trattato C.E., par. 3).

Per la Commissione delle Comunità Europee, infatti, gli aiuti che non superano l’importo di 100.000 E.C.U. (circa lire 200.000 milioni) in tre anni non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 92 del Trattato C.E., in quanto non produrrebbero degli effetti percettibili sugli scambi e sulla concorrenza.

1.2 Questa Corte ha precisato che tale adottata modalità di delimitazione della agevolazione accordata (qualunque ne sia la natura) rientra nel legittimo esercizio delle scelte discrezionali del legislatore, essendo consentito legiferare con la tecnica del rinvio (recettizio o formale) a norme di altro ordinamento e non riscontrandosi violazioni della normativa comunitaria, atteso che questa se pone agli Stati membri il divieto di concedere “aiuti di Stato” in misura eccedente la regola de miminis, non impedisce loro di circoscrivere benefici fiscali entro soglie Predefinite (Cass., Sez. 5, 20 ottobre 2011, n. 21797).

La stessa L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8, introduce, poi, altre agevolazioni fiscali a fronte di nuovi investimenti in aree svantaggiate, stabilendo che: “Ai soggetti titolari di reddito d’impresa, esclusi gli enti non commerciali, che, a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2000 e fino alla chiusura del periodo di imposta in corso alla data del 31 dicembre 2006, effettuano nuovi investimenti nelle aree territoriali individuate dalla Commissione delle Comunità Europee come destinatarie degli aiuti a finalità regionale di cui alle deroghe previste dal Trattato che istituisce la Comunità Europea, art. 87, par. 3, lett. a) e c), come modificato dal Trattato di Amsterdam di cui alla L. 16 giugno 1998, n. 209, è attribuito un credito d’imposta entro la misura massima consentita nel rispetto dei criteri e dei limiti di intensità di aiuto stabiliti dalla predetta Commissione. Per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2000 sono agevolabili i nuovi investimenti acquisiti a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge o, se successiva, dall’approvazione del regime agevolativo da parte della Commissione delle Comunità Europee. Il credito di imposta non è cumulabile con altri aiuti di Stato a finalità regionale o con altri aiuti che abbiano ad oggetto i medesimi beni che fruiscono del credito d’imposta”.

1.3 Il legislatore nazionale, nel disciplinare la possibilità di cumulo delle agevolazioni fiscali prescritte dalla Legge 23 dicembre 2000, n. 388, con art. 7, comma 10, altre forme di aiuto, ha bene individuato la portata della regola de minimis, prevista per le agevolazioni fiscali (di modesta entità) ivi prescritte.

Infatti, la possibilità di cumulo è limitata alla condizione di non superamento, per i benefici fruiti ai sensi della Legge 23 dicembre 2000, n. 388, art. 7, del limite massimo “di L. 80.000.000 nel triennio” (Euro 100.000,00), limite quantitativo al di sotto del quale gli “aiuti di Stato” non incorrono nel divieto di cui al Trattato C.E., art. 92 (poi 87), par. 1 (ex plurimis: Cass., Sez. 5, 4 settembre 2013, n. 20245; Cass., Sez. 5, 23 ottobre 2015, n. 21605; Cass., Sez. 5, 14 settembre 2016, n. 18018).

In tema di agevolazioni fiscali, la Legge 27 dicembre 2002, n. 289, art. 63, ha mantenuto fermo il limite comunitario de minimis, per cui il credito d’imposta per assunzione di lavoratori disoccupati in aree svantaggiate è cumulabile con altri benefici, purchè non sia superato il tetto massimo fissato in sede comunitaria, mentre non ha alcuna incidenza l’esclusione dal cumulo, prevista dal D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1, comma 8, convertito in L. 6 aprile 2007 n. 46, che riguarda solo gli aiuti concessi in misura superiore al suddetto limite e non l’ulteriore credito d’imposta legislativamente determinato in misura ad esso corrispondente (Cass., Sez. 5, 4 settembre 2013, n. 20245; Cass., Sez. 6, 15 luglio 2014, n. 16178).

1.4 I legislatore nazionale, nel rinnovare il regime degli incentivi alle assunzioni, già disposto con la L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 7, con la L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 63, comma 1, ha mantenuto esplicitamente ferme, per quanto non diversamente regolato, le disposizioni di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 7, comma 10, che, relativamente all’ulteriore” credito di imposta per assunzione di lavoratori disoccupati in aree svantaggiate, testualmente dispone: “All’ulteriore credito d’imposta di cui al presente comma si applica la regola de minimis di cui alla comunicazione della Commissione delle Comunità Europee 96/C68/06, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee C68 del 6 marzo 1996, e ad esso sono cumulabili altri 5 benefici eventualmente concessi ai sensi della predetta comunicazione purchè non venga superato il limite massimo di L. 180 milioni nel triennio”.

Pertanto, ai fini della determinazione dell’importo massimo del credito di imposta di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 7, comma 10 (regola c.d. de minimis, in forza della quale gli aiuti di Stato di esigua entità esulano dal campo di applicazione del Trattato C.E., art. 87, parag. 1), si deve tenere conto, con le limitazioni indicate, anche del credito d’imposta per nuovi investimenti ottenuto ai sensi della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8, nei limiti in cui non venga superato, per le agevolazioni fruite ai sensi della citata norma e nel triennio considerato, il tetto massimo di Euro 100.000,00 (Cass., Sez. 5, 20 ottobre 2011, n. 21797; Cass., Sez. 5, 4 settembre 2013, n. 20245).

1.5 Va conseguente ribadito il principio, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui in tema di agevolazioni fiscali, è illegittima la disapplicazione da parte del giudice nazionale della norma L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 63, comma 1, nella parte in cui, rinnovando il regime degli incentivi alle assunzioni, mantiene ferma la disposizione di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 7, comma 10, che circoscrive il riconoscimento del credito di imposta nei limiti della regola de minimis, e cioè nell’importo di Euro 100.000,00 nel triennio, quale limite quantitativo al di sotto del quale gli aiuti di Stato non incorrono nel divieto di cui all’art. 92 (poi 87) Trattato C.E., sul presupposto che il beneficio in questione non configuri un aiuto di Stato, in quanto incorre nella violazione della normativa comunitaria il legislatore solo se concede aiuti di Stato in misura eccedente alla regola de minimis e non se circoscrive, nell’ambito dei suoi legittimi poteri discrezionali, benefici fiscali entro soglie predefinite, anche individuate per relationem rispetto a norme dell’ordinamento comunitario (Cass., Sez. 5, 20 ottobre 2011, n. 21797; Cass., Sez. 5, 4 settembre 2013, n. 20245; Cass., Sez. 5, 14 ottobre 2016, n. 20785; Cass., Sez. 5, 23 giugno 2017, n. 15688).

1.6 Il credito di imposta di cui trattasi è concesso solo ad alcune imprese, in particolare a quelle che sono situate in alcune regioni italiane.

Il criterio della selettività è, quindi, determinato dall’area geografica di riferimento, posto che il credito di imposta non può essere concesso in tutti gli operatori situati nel territorio nazionale.

Sulla base dei rilievi sopra ampiamente espressi, la L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 7, e la L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 63, prevedono la concessione di aiuti di Stato, apportando un vantaggio a determinate imprese. Il beneficio in questione si intende attribuito con risorse statali ed incide sugli scambi tra gli Stati membri, atteso che è evidente che esso comporta riflessi sugli scambi infracomunitari, perchè altera il costo della produzione delle imprese, incidendo sul livello dei prezzi del prodotto finale. Inoltre, il beneficio in concreto si sostanzia in una rinuncia dello Stato alla riscossione di una parte delle imposte ad esso dovute, così incidendo sull’ammontare delle entrate di bilancio. Ne consegue che nella specie, trattandosi di aiuti di Stato, trova applicazione il Re. C.E. n. 69 del 2001, che consente di concedere liberamente, senza onere di notifica, soltanto i benefici di minimo importo, che sono considerati privi di effetti di rilievo nel mercato comunitario. L’importo stabilito per definire il regime de minimis serve a tracciare la linea di confine tra gli aiuti di Stato che sono incompatibili con il Trattato U.E., art. 87 (ora 107), par. 1, e quelli che invece sono tollerati. Il regime de minimis serve a giustificare una deroga alla regola del divieto degli aiuti di Stato, sulla base della esiguità dell’aiuto stesso, ritenuto inidoneo ad influire sulla concorrenza.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, in alcun modo la disciplina del sopravvenuto Regolamento C.E. n. 2204 del 2002 può ritenersi avere inciso, modificandola, sulla disciplina del credito di imposta per incremento occupazionale nelle aree svantaggiate di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 7, richiamato dalla L. 27 dicembre 2002 n. 289, art. 63, sottraendola all’applicazione della regola del de minimis, come in dettaglio dimostra il confronto tra la richiamata normativa interna e le disposizioni del citato Reg. C.E. n. 2204 del 2002, “considerando” n. 27, dell’art. 4, par. 2, dello stesso art. 4, par. 4, lett. a), del medesimo art. 4, par. 4 lett. c), dell’art. 5, par. 2, e dell’art. 7, par. 2 (Cass., Sez. 5, 12 agosto 2015, n. 16735).

2. Stante l’infondatezza del motivo dedotto, il ricorso deve essere rigettato.

3. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.

4. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, che liquida nella somma complessiva di Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito ed altri accessori di legge; dà atto dell’obbligo, a carico della ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2020

 

 

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