Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26445 del 09/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 09/12/2011, (ud. 06/10/2011, dep. 09/12/2011), n.26445

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentata e difesa

dall’Avvocato GIAMMARIA PIERLUIGI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.S., C.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato LUBERTO

ENRICO, che li rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1311/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 11/10/2006 R.G.N. 1743/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2011 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega GIAMMARIA PIERLUIGI;

udito l’Avvocato CONTE ANDREA per delega LUBERTO ENRICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Firenze dichiarava la nullità della clausola appositiva del termine ai contratti di lavoro stipulati tra S. e C.G. e la società Poste Italiane in data 8 ottobre 1998 ex art. 8 del c.c.n.l. 1994 e successivi accordi sindacali;

l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato da tale data, condannando la società Poste al pagamento delle retribuzioni dalla costituzione in mora.

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata l’11 ottobre 2006, respingeva il gravame proposto dalla società Poste.

Quest’ultima propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.

Resistono con controricorso i C.. Tutte le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1- Con i primi tre motivi la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23; degli artt. 1362 e segg. c.c., nonchè omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, lamentando che la corte di merito, in contrasto con le norme richiamate, non considerò adeguatamente che con la delega contenuta nel citato art. 23, le parti sociali erano libere di individuare nuove e diverse ipotesi di assunzione a tempo determinato, senza altri limiti se non quello dell’osservanza di un limite percentuale dei lavoratori da assumere, sicchè le pattuizioni collettive erano sottratte dal sindacato giurisdizionale, e segnatamente in ordine all’esistenza di un nesso causale tra le ragioni di assunzione e la singola stipula del contratto a tempo determinato.

Lamentava inoltre che i giudici di merito non avevano adeguatamente considerato che nessun limite temporale, sino all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, poteva essere imposto alle pattuizioni sindacali delegate.

Si doleva ancora che la corte di merito, nel valutare l’esistenza di un nesso causale tra le assunzioni disposte e le esigenze di cui all’art. 8 c.c.n.l. 1994 e successivi accordi sindacali, richiamate in contratto, ritenne irrilevanti le prove articolate sul punto dalla società Poste, senza comunque far uso dei poteri ufficiosi previsti dagli artt. 421 e 437 c.p.c..

2 – I tre motivi, che stante la loro connessione possono essere congiuntamente trattati, risultano infondati.

La sentenza impugnata, infatti, non ha ritenuto le pattuizioni collettive, in tema di individuazione di nuove ipotesi di contratto a tempo determinato L. n. 56 del 1987, ex art. 23, soggette ai requisiti di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1, ma solo che esse avessero inteso prevedere un limite temporale alle specifiche esigenze organizzative legittimanti le assunzioni a termine di cui al c.c.n.l. 26 novembre 1994 e successivi accordi integrativi.

L’assunto risulta assolutamente rispettoso dell’autonomia negoziale collettiva, che, pur delegata alla individuazione di nuove ipotesi di assunzione a tempo determinato, non si sottrae ai principi generali dell’ordinamento in materia di sindacato giurisdizionale.

Quanto alla ritenuta limitata efficacia temporale degli accordi intervenuti all’interno della società Poste, anche tale assunto risulta assolutamente rispettoso dell’autonomia negoziale collettiva ed in linea col consolidato orientamento di questa Corte (ex plurimis, Cass. 9 giugno 2006 n. 13458, Cass. 20 gennaio 2006 n. 1074, Cass. 3 febbraio 2006 n. 2345, Cass. 2 marzo 2006 n. 4603), secondo cui dall’esame dei vari accordi in materia si evince che le parti sociali autorizzarono la stipula di contratti a tempo determinato per le causali di cui all’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, sino al 30 aprile 1998. Le altre censure restano pertanto assorbite. 3.- Risulta per un verso inammissibile e per il resto infondata anche la quarta censura in materia di aliunde perceptum, relativamente al mancato esercizio dei poteri ufficiosi circa il richiesto ordine di esibizione della documentazione reddituale dei lavoratori, essendo quest’ultimo per un verso rimesso al discrezionale apprezzamento del giudice di merito (ex plurimis, Cass. 18 settembre 2009 n. 20104), per altro verso dovendosene evidenziare l’inammissibilità ove diretto a fini meramente esplorativi, non potendo supplirsi all’onere di provare i fatti costitutivi della domanda con la richiesta alla controparte di esibizione di documenti (Cass. n. 20104 del 2009). Il relativo quesito (“Dica la Corte se in caso di oggettiva difficoltà nel reperimento delle relative prove, le richieste istruttorie vadano valutate con minore rigore rispetto all’ordinario, ammettendole ogni volta che le stesse possano comunque raggiungere un risultato utile ai fini della certezza processuale e rigettandole (con apposita motivazione) solo quando gli elementi somministrati dal richiedente risultino invece insufficienti ai fini dell’espediente richiesto”) risulta poi inammissibile per la sua astrattezza, non contenendo alcun riferimento all’errore di diritto pretesamente commesso dal giudice di merito.

Per tale ragione è inammissibile anche la richiesta, contenuta nella memoria ex art. 378 c.p.c., di applicazione dello ius superveniens costituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7. Ed invero va evidenziato che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici e rituali motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070). Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

4. – Con il quinto motivo la società Poste si duole della mancata valutazione dell’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, valutato l’apprezzabile lasso di tempo tra la risoluzione del rapporto e la manifestazione di una volontà oppositoria da parte dei lavoratori.

Il motivo risulta inammissibile, per la sua genericità, non avendo la ricorrente, neppure nel quesito di diritto formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., chiarito il tempo trascorso dalla risoluzione dei rapporti e l’offerta della prestazione lavorativa.

Converrà al riguardo rammentare il pacifico orientamento di questa Corte (cfr. da ultimo Cass. 11 marzo 2011 n. 5887) secondo cui ai fini della configurabilità della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso (costituente una eccezione in senso stretto, Cass. 7 maggio 2009 n. 10526, il cui onere della prova grava evidentemente sull’eccepiente, Cass. 1 febbraio 2010 n. 2279), non è di per sè sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del licenziamento, o il semplice ritardo nell’esercizio dei suoi diritti, essendo piuttosto necessario che sia fornita la prova di altre significative circostanze denotanti una chiara e certa volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (Cass. 15 novembre 2010 n. 23057).

5. – Il ricorso deve essere pertanto respinto.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 40,00, Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2011

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