Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26439 del 20/11/2020

Cassazione civile sez. III, 20/11/2020, (ud. 20/10/2020, dep. 20/11/2020), n.26439

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7241/2017 R.G. proposto da:

C.F., rappresentato e difeso dall’Avv. Moreno Primieri,

con domicilio eletto in Roma, via Valle Corteno, n. 41, presso lo

studio dell’Avv. Silvia Montani;

– ricorrente –

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata e difesa ex lege

dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici

domiciliano ope legis in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia, n. 80/2016

depositata il 9 febbraio 2016;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 ottobre

2020 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Perugia, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda del Dott. C.F. volta a ottenere la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento del danno conseguente alla mancata attuazione della direttiva CEE 82/76/CEE, in tema di adeguata retribuzione spettante per la frequenza di corsi di specializzazione: pretesa avanzata con riferimento alla frequenza, in anni accademici compresi tra il 1983 e il 1991, della scuola di specializzazione in oncologia.

Ha, infatti, rilevato che nell’elenco di cui agli artt. 5 e 7 della direttiva comunitaria 75/362 CEE non compaiono la specializzazione in oncologia o specializzazioni analoghe con la conseguenza che il predetto non può vantare alcun diritto al risarcimento del danno dal momento che solo per i medici specializzandi che avevano frequentato specializzazioni comuni a due o più Stati membri e menzionate nelle norme sopra richiamate era previsto l’obbligo di retribuzione e, quindi, dell’adozione di misure di armonizzazione del diritto interno a quello comunitario.

2. Avverso tale decisione C.F. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste la Presidenza del Consiglio dei Ministri, depositando controricorso.

La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., violazione dei principi regolatori del giusto processo.

Sostiene, in sintesi, che non avendo la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nè le altre amministrazioni inizialmente convenute in giudizio, mai sollevato contestazioni attinenti al tipo di specializzazione conseguita, la questione non poteva essere sollevata in appello, nè rilevata d’ufficio dal giudice, poichè fondata su fatti non tempestivamente allegati in primo grado e tale da introdurre nuovi temi di indagine.

Rileva che, peraltro, la specializzazione in oncologia era stata ottenuta dopo quella in medicina interna, quest’ultima riconosciuta dalla direttiva comunitaria come remunerabile durante la frequenza.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Lamenta che la corte di merito non ha preso in esame “la questione giuridica dell’ammissibilità, per la prima volta in appello, dell’eccezione sollevata nei confronti del ricorrente, di avere frequentato una scuola di specializzazione non ricompresa nell’elenco delle direttive 75/362, 75/363 e 82/76” (così testualmente in ricorso).

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione delle Direttive comunitarie 75/362/CEE e 82/76/CEE.

Sostiene che una corretta interpretazione della Direttiva n. 82/76/CEE dovrebbe condurre a ritenere che l’obbligo della remunerazione adeguata fosse contemplato per tutti i medici specialisti, in particolare anche per quelli che, pur non compresi negli elenchi di cui agli artt. 5 (per i quali il riconoscimento è automatico) e 7 (riconoscimento “relativamente automatico”), sono contemplati in via residuale e generale dall’art. 8.

Secondo il ricorrente la decisione viola anche l’art. 9, comma 3, della direttiva 75/362/CEE, a mente del quale ciascun Stato membro è tenuto a riconoscere i diplomi, certificati o altri titoli che, pur non rispondendo alle denominazioni di cui agli artt. 5 e 7, siano tuttavia accompagnati da un certificato di equipollenza rilasciato dalle autorità o enti competenti.

Sostiene che a tale riconoscimento “deve per forza corrispondere una adeguata retribuzione del periodo formativo post lauream”.

4. Il secondo motivo di ricorso, di rilievo logico preliminare, è inammissibile, sotto vari profili.

4.1. La denuncia di vizio motivazionale, secondo il paradigma dell’omesso esame di fatto decisivo ed oggetto di discussione tra le parti, è del tutto fuori segno, anzitutto perchè quel che si denuncia è l’omesso esame non di un fatto ma di una eccezione o argomentazione difensiva, laddove è noto che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (v. ex aliis Cass. n. 28813 del 08/11/2019; n. 22397 del 06/09/2019; n. 26305 del 18/10/2018 n. 14802 del 14/06/2017).

4.2. La doglianza non potrebbe trovare ingresso in questa sede nemmeno se intesa (nella prospettiva sostanzialistica indicata da Cass. Sez. U. 24/07/2013, n. 17931) come diretta a denunciare un C, vizio di omessa pronuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale deve ritenersi inconfigurabile il vizio di omesso esame di una questione (connessa ad una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o sollevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise implicitamente (v. Cass. n. 7406 del 28/03/2014): come è evidente sia accaduto nella specie, atteso che l’accoglimento del motivo di gravame implica di per sè il rigetto dell’eccezione di inammissibilità dello stesso.

Peraltro, il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale (qual è quella nella specie dedotta) non può comunque dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande o eccezioni di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (v. ex aliis Cass. n. 7406 del 28/03/2014; n. 2343 del 2019).

In altre parole, non importa se la Corte di merito abbia o meno espressamente esaminato e vagliato la questione che si dice essere stata sollevata (quella, cioè, dell’ammissibilità in appello dell’eccezione di infondatezza della domanda per mancato inserimento della specializzazione in oncologia negli elenchi delle specializzazioni oggetto di riconoscimento a livello comunitario); importa piuttosto che la decisione di decidere nel merito in senso conforme a tale eccezione ovvero in ragione del rilievo officioso della questione medesima, risponda ad un corretto esercizio dei poteri attribuiti al giudice d’appello.

5. Si conforma a tale impostazione la formulazione del primo motivo, il quale dunque è bensì, in astratto, ammissibile (denunciandosi con esso, per l’appunto, direttamente l’errore processuale in cui, in tesi, sarebbe incorso il giudice d’appello per avere accolto una argomentazione difensiva per la prima volta formulata in appello), ma è, nel merito (cassatorio), infondato.

Occorre infatti considerare che, nel caso di specializzazioni non ricomprese – al tempo della loro frequenza – negli elenchi allegati alle direttive, la domanda di indennizzo va rigettata, anche in assenza di contestazione, attenendo la mancata inclusione negli elenchi alla qualificazione giuridica dei fatti allegati e non alla loro esistenza (valendo il principio di non contestazione per i soli fatti e non per la sussunzione dei fatti nella norma: cfr. Cass. 10/04/2013, n. 8764).

Nel caso di specie è pacifico che la specializzazione in oncologia sia stata allegata dallo stesso odierno ricorrente a fondamento della domanda. La valutazione della sua idoneità o meno a supportare la pretesa risarcitoria (recte, indennitaria o para-risarcitoria) costituiva dunque mera attività di qualificazione giuridica del fatto quale allegato dallo stesso attore, doverosa anche in assenza di specifica argomentazione sul punto da parte delle amministrazioni resistenti.

L’inclusione della specializzazione negli elenchi in oggetto integra, dunque, quale elemento normativo della fattispecie dedotta, requisito costitutivo della pretesa risarcitoria e, in quanto tale, la sua contestazione costituisce mera difesa e si sottrae al divieto dei nova in appello di cui all’art. 345 c.p.c. (il quale, come noto, riguarda solo le domande nuove e le eccezioni in senso stretto)(v. in tal senso, da ultimo, Cass. n. 12102 del 22/06/2020).

5.1. Il riferimento poi all’esistenza, in capo allo stesso odierno ricorrente, anche di altra specializzazione, compresa negli elenchi e in astratto idonea a giustificare comunque la pretesa, prospetta una questione che non risulta in alcun modo trattata nel giudizio di merito e che pertanto non può trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità.

E’ noto, infatti, che qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (tra le tante, Cass. n. 31227 del 2019; n. 15430 del 2018).

Difatti, il giudizio di cassazione ha, per sua natura, la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto, sicchè sono precluse non soltanto le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto, qualora queste postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito che, come tali, sono esorbitanti dal giudizio di legittimità (tra le molte, Cass. n. 15196 del 2018).

6. E’ infondato anche il terzo motivo.

Occorre qui ribadire che i percorsi formativi non espressamente richiamati dalla cosiddetta Direttiva “riconoscimento” n. 75/362/CEE non rientrano nell’ambito dell’obbligo remunerativo imposto ai singoli Stati.

Non può condurre a diversa conclusione la previsione contenuta nell’art. 9, comma 3, della stessa Direttiva (a tenore della quale “Ciascuno Stato membro riconosce come prova sufficiente per i cittadini degli Stati membri i cui diplomi, certificati ed altri titoli di medico specialista non rispondono alle denominazioni di cui agli artt. 5 e 7, i diplomi, i certificati e gli altri titoli rilasciati da tali Stati membri, accompagnati da un certificato di equivalenza rilasciato dalle autorità o enti competenti”), poichè la norma afferisce al riconoscimento dei titoli ai soli fini della circolazione dei professionisti nel perimetro Europeo e nulla dice, nemmeno per implicito, in tema di retribuzione del periodo formativo post lauream.

Deve altresì escludersi che l’obbligo di remunerazione adeguata possa considerarsi contemplato dalla direttiva n. 82/76 in via generale e “trasversale” tra le “caratteristiche della formazione a tempo pieno e della formazione a tempo ridotto dei medici specialisti” (art. 13), ovvero per tutti i medici specialisti, e quindi sia di quelli che l’art. 5 della direttiva 75/362 contemplava già specificamente negli elenchi delle specializzazioni oggetto di riconoscimento “automatico”, sia di quelli che l’art. 7 della stessa direttiva 75/362 contemplava negli elenchi delle specializzazioni oggetto di riconoscimento “relativamente automatico”, sia di tutti gli altri, contemplati in via residuale e generale dall’art. 8 della direttiva 75/362.

Il citato art. 8 della direttiva 75/362 (a tenore del quale “lo Stato membro ospitante può esigere dai cittadini degli Stati membri che desiderino ottenere uno dei diplomi, certificati o altri titoli di formazione di medico specialista, che non figurano negli artt. 4 e 6 o che, pur menzionati nell’art. 6, non sono rilasciati in uno Stato membro di origine o di provenienza, che soddisfino le condizioni di formazione che esso Stato membro prescrive a tal fine nelle rispettive disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative”), ha ratio e ambito applicativo diversi rispetto al diritto all’adeguata remunerazione, regolando l’ipotesi in cui lo Stato decida, senza averne l’obbligo (“può”), di stabilire le condizioni di formazione da rispettare qualora cittadini degli Stati membri vogliano conseguire un titolo non compreso negli articoli indicati.

Non esiste, dunque, un elenco di specializzazioni ex art. 8, che si affianca a quelli per i quali è previsto il riconoscimento “automatico” (art. 5 direttiva 75/362) o “relativamente automatico” (art. 7 direttiva 75/362).

Ciò premesso, è appena il caso di soggiungere, non essendovi sul punto contestazione alcuna, che la specializzazione in Oncologia non compare formalmente nell’elenco di cui agli artt. 5 e 7 della c.d. Direttiva “Riconoscimento”, ovvero la Direttiva 75/362/CEE, nè negli artt. 4 e 5 della Direttiva 75/363/CEE.

Per completezza si osserva che questa Corte ha già rilevato che la specializzazione in Oncologia non è inclusa nell'”acquis communautaire” (v. Cass. n. 13280 del 01/07/2020; n. 20303 del 26/07/2019).

7. Con la memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. il ricorrente “aggiunge” (così testualmente a pag. 2 della memoria), alle argomentazioni svolte in ricorso, il rilievo del sopravvenuto inserimento – con il D.M. 31 ottobre 1991 (emanato in attuazione del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 1, comma 2) – nell’elenco delle specializzazioni riconosciute ai fini della remunerazione, anche di quella in Oncologia.

Trattasi però di questione nuova, come detto “aggiuntiva” a quelle svolte in ricorso ma da esse ben distinta, da ritenere in ammissibilmente introdotta per la prima volta con la memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., ben al di là della logica e della funzione propria di essa.

Questa Corte ha più volte chiarito, al riguardo, che la memoria non può integrare i motivi del ricorso per cassazione, poichè assolve all’esclusiva funzione di chiarire ed illustrare i motivi di impugnazione che siano già stati ritualmente – cioè in maniera completa, compiuta e definitiva – enunciati nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, con il quale si esaurisce il relativo diritto di impugnazione, e di confutare le tesi avversarie (Cass., sez. un., 15/05/2006, n. 11097; Cass., ord., 18/12/2014, n. 26670; Cass. 25/02/2015, n. 3780); pertanto, con la memoria non è possibile integrare i motivi del ricorso per cassazione, considerata la peculiare natura e struttura di quest’ultimo, ai fini dell’introduzione stessa del peculiare gravame a critica vincolata in cui si risolve il giudizio di legittimità (tra moltissime, v. Cass. n. 17893 del 2020; n. 1894 del 2019; n. 11792 del 2018; n. 24007 del 2017; n. 20394 del 2015; n. 3780 del 2015; n. 12739 del 2012; n. 17603 del 2011; n. 12713 del 2011; n. 13257 del 2010; n. 7825 del 2006; n. 7237 del 2006; n. 2704 del 2005; Cass. Sez. U. 11/11/1994, n. 9409).

8. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Avuto tuttavia riguardo all’esito difforme dei due gradi del giudizio di merito e considerato che sulla questione trattata la giurisprudenza di questa Corte si è formata in epoca recente, si ravvisa la sussistenza di giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso principale, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2020

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