Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26437 del 26/11/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 26437 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

Data pubblicazione: 26/11/2013

depositato in data 9 novembre 2012. (1,°f1

Udita

la relazione della causa svolta nella pubblica

udienza del 5 novembre 2013 dal Consigliere relatore Dott.
Stefano Petitti;
sentito l’Avvocato Giovanni Lo Bello;

generale Dott. Luigi Salvato, che ha chiesto il rigetto del
ricorso.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 6 dicembre 2010
presso la Corte d’appello di Caltanissetta, De Castro Luigi
chiedeva la condanna del Ministero dell’economia e delle
finanze al pagamento del danno non patrimoniale derivato
dalla irragionevole durata di un giudizio amministrativo
iniziato il 15 marzo 1998 presso il TAR Sicilia, sezione di
Palermo, ancora pendente alla data della domanda;
che l’adita Corte d’appello, rilevato che non risultava
presentata istanza di prelievo, dichiarava improcedibile la
domanda per il periodo successivo al 25 giugno 2008, data
di entrata in vigore dell’art. 54 del d.l. n. 112 del 2008,
e che quindi, dalla data di deposito del ricorso (25 marzo
1998) al 25 giugno 2008, il giudizio presupposto avesse
avuto una durata irragionevole di sette anni e tre mesi, in
relazione ai quali liquidava un indennizzo di euro 3.500,00
in considerazione del lungo periodo nel quale non vi era
stato impulso sollecitatorio da parte del ricorrente;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

compensava per metà le spese di lite in considerazione
dell’accoglimento solo parziale della domanda;
che per la cassazione di questo decreto Giglio Achille
ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi;

Considerato

che il Collegio ha deliberato l’adozione

della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con i quattro motivi, congiuntamente esposti, il
ricorrente denuncia: a) violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 2, coromi 1 e 2, della legge n. 89 del 2001, con
riferimento alla giurisprudenza della Corte europea
sull’art. 6, par. 1, della CEDU; b) omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione; c) violazione e falsa
applicazione dell’art. 2, comma 1, della legge n. 89 del
2001; violazione e falsa applicazione dell’art. 54 del
decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008;
che ad avviso del ricorrente la Corte d’appello avrebbe
adottato un criterio riduttivo nella liquidazione
dell’indennizzo in assenza di eccezioni da parte del
Ministero e in contrasto con la giurisprudenza di
legittimità in tema di liquidazione del danno non
patrimoniale da irragionevole durata del processo;

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che l’intimato Ministero non ha svolto difese;

che, inoltre, la Corte distrettuale avrebbe errato nel
fare applicazione dell’art. 54 del decreto-legge n. 112 del
2008 e avrebbe immotivatamente disposto la compensazione
parziale delle spese;

che infatti, se è vero che il giudice nazionale deve,
in linea di principio, uniformarsi ai criteri di
liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti
dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che la
liquidazione sia satisfattiva di un danno e non
indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a euro
750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre
anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a
euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in
capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in
misura ragionevole / qualora, avuto riguardo alle
peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi
concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali
deve dar conto in motivazione (Cass. 18617 del 2010; Cass.
17922 del 2010);
che, nella specie, la Corte d’appello ha motivato lo
scostamento dagli ordinari criteri di determinazione
dell’indennizzo facendo riferimento alla circostanza che il

che il ricorso è infondato;

ricorrente non ha depositato istanze di prelievo nel
giudizio presupposto;
che tale motivazione appare del tutto in linea con la
giurisprudenza di questa Corte, nella quale si è affermato

sollecitatori non sospende né differisce il dovere dello
Stato di pronunciare sulla domanda, in caso di omesso
esercizio degli stessi, e non implica il trasferimento sul
ricorrente della responsabilità per il superamento del
termine ragionevole per la definizione del giudizio,
tuttavia resta salva la valutazione del comportamento della
parte al fine dell’apprezzamento della entità del lamentato
pregiudizio;
che, quanto alla determinazione dell’indennizzo, va poi
ricordato che, in applicazione dei criteri elaborati dalla
Corte europea dei diritti dell’uomo (decisioni
autres c. Italia,
Italia,

Volta et

del 16 marzo 2010 e Falco et autres c.

del 6 aprile 2010) e recepiti dalla giurisprudenza

di questa Corte (Cass., 18 giugno 2010, n. 14753; Cass., 10
febbraio 2011, n. 3271; Cass., 13 aprile 2012, n. 5914),
relativamente a giudizi amministrativi protrattisi per
oltre dieci anni, questa Corte è solita liquidare un
indennizzo che rapportato su base annua corrisponde a circa
500,00 euro per la durata del giudizio;

il principio per cui se la previsione di strumenti

che tale approdo consente di escludere che un
indennizzo di 500,00 euro per anno di ritardo possa essere
di per sé considerato irragionevole e quindi lesivo
dell’adeguato ristoro che la giurisprudenza della Corte

termine di durata ragionevole del processo;
che infondate sono anche le, invero non del tutto
chiare, censure svolte con riferimento all’art. 54 del
decreto-legge n. 112 del 2008, atteso che la Corte
d’appello si attenuta al principio per cui «in tema di equa
riparazione da irragionevole durata di un processo
amministrativo, iniziato prima del 25 giugno 2008 ma ancora
pendente in tale data, il diritto all’indennizzo del
ricorrente che non abbia depositato istanza di prelievo nel
processo presupposto sorge solo per il periodo precedente
al giorno sopraindicato, ma non per il segmento temporale
successivo» (Cass. n. 15303 del 2012), mentre, in assenza
di ricorso incidentale, non può essere esaminata la
questione della stessa proponibilità della domanda di equa
riparazione ai sensi dell’art. 54 citato, come modificato
dal d.lgs. n. 104 del 2010, applicabile ai procedimenti
presupposti pendenti, come quello di specie, alla data del
16 settembre 2010;
che è infondato infine il motivo concernente la
disposta compensazione parziale, atteso che la Corte

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europea intende assicurare in relazione alla violazione del

d’appello ha dato conto della propria statuizione motivando
con specifico riferimento all’accoglimento solo parziale
della domanda,
che tale statuizione risponde al costante orientamento

riduzione, anche sensibile, della somma richiesta con la
domanda giudiziale non integra gli estremi della reciproca
soccombenza, ma ugualmente, con valutazione discrezionale
incensurabile in Cassazione purché adeguatamente motivata,
il giudice ne può tener conto ai fini della compensazione,
totale o parziale, delle spese (Cass. n. 16526 del 2005);
che il ricorrente, del resto, non svolge specifiche
deduzioni in ordine alla non configurabilità, nel caso di
specie, di un non integrale accoglimento della domanda
proposta;
che non vi è luogo a provvedere sulle spese del
presente giudizio non avendo l’amministrazione intimata
svolto attività difensiva.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Seconda Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione,
il 5 novembre 2013.

di questa Corte che ha affermato in più occasioni che la

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