Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26435 del 20/11/2020

Cassazione civile sez. III, 20/11/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 20/11/2020), n.26435

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22706/2017 R.G. proposto da:

G.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Antonino Di

Martino, con domicilio eletto in Roma, via San Tommaso d’Aquino, n.

116, presso lo studio dell’Avv. Alfredo Fiorentino;

– ricorrente –

contro

Comune di Piano di Sorrento, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Teodoro Anastasio, con

domicilio eletto in Roma, piazzale Clodio, n. 8, presso lo studio

dell’Avv. Sergio Falcone;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2308 del Tribunale di Torre Annunziata

depositata il 1 settembre 2017.

Udita la relazione svolta in Camera di consiglio dal Consigliere

Dott. Cosimo D’Arrigo.

 

Fatto

RITENUTO

Il Comune di Piano di Sorrento intentava un’espropriazione immobiliare nei confronti di G.A. innanzi al Tribunale di Torre Annunziata, per l’esecuzione di una condanna al pagamento della somma di Euro 374.431,25 oltre accessori.

Il G. presentava istanza di conversione del pignoramento. Successivamente, proponeva opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione aveva determinato l’importo a tal fine dovuto. Non essendo stata avanzata istanza di sospensione dell’esecuzione forzata, il G. provvedeva ad introdurre la fase di merito.

Si costituiva il Comune di Piano di Sorrento, chiedendo in via riconvenzionale la condanna dell’opponente al risarcimento dei danni da lite temeraria.

Il Tribunale di Torre Annunziata rigettava sia l’opposizione, sia la domanda riconvenzionale.

Avverso detta sentenza il Comune di Piano di Sorrento proponeva ricorso per cassazione. Con sentenza n. 6402/2015 la Corte di cassazione, accogliendo il ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava al Tribunale di Torre Annunziata anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Il Comune riassumeva il giudizio, chiedendo la condanna del G. al risarcimento dei danni da lite temeraria e al pagamento di spese, diritti ed onorari di lite.

Nel contraddittorio fra le parti, il Tribunale di Torre Annunziata condannava il G. al pagamento delle spese di lite dell’intero processo, nonchè al pagamento della somma di Euro 72.915,00 ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.

Avverso detta sentenza G.A. ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Il Comune di Piano di Sorrento ha resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.

Diritto

CONSIDERATO

In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata, conformemente alle indicazioni contenute nelle note del Primo Presidente di questa Corte del 14 settembre 2016 e del 22 marzo 2011.

Tutti i motivi del ricorso principale, proposto da G.A., sono diretti a censurare la sentenza impugnata nella parte in cui pronunzia la condanna al pagamento di Euro 72.915,00 per responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 96 c.p.c., u.c. e agli artt. 1226 e 2056 c.c.. In particolare, il G. censura la motivazione della sentenza impugnata, in quanto “apparente, tautologica e priva di reale contenuto”. Il ricorrente sostiene che la determinazione della somma per la quale è intervenuta condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, stabilita in via equitativa in misura corrispondente al 20% dell’importo ancora dovuto dal debitore al Comune – non sarebbe sorretta da un adeguato percorso argomentativo. In particolare, non risulterebbe dimostrato l’effettivo pregiudizio subito dal Comune sanzionabile ex art. 96 c.p.c., comma 3, non essendo stati dimostrati ulteriori oneri economici sopportati dall’Ente diversi dalle spese legali; nè il giudice avrebbe preso in considerazione il fatto che la procedura esecutiva era stata sospesa non a seguito della presente opposizione, ma per diverse ragioni, tutte addebitabili al Comune. Sarebbe, quindi, mancata una “compiuta valutazione degli elementi di fatto rilevanti ai fini dell’art. 96 c.p.c., commi 1 e 3 (sia in punto di an debeatur che di quantum)”.

Con il secondo motivo si censura il medesimo punto della sentenza sotto il profilo dell’inesistenza sostanziale della motivazione e conseguente nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c. e all’art. 118 disp. att. c.p.c.. Il giudice avrebbe preso in considerazione la questione oggetto della domanda, risolvendola però senza giustificare la sua decisione. In particolare, sarebbe carente la motivazione sotto il profilo dell’an e quantum debeatur.

Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 96 c.p.c., commi 1 e 3 e degli artt. 1126 e 2056 c.c. e si censura la sentenza impugnata relativamente a profili di illogicità, irragionevolezza e ingiustizia manifesta. In particolare, il mezzo si rivolge contro le valutazioni del giudice di merito relative al ritardo e al pregiudizio effettivamente arrecato dalla condotta processuale del G., in quanto il giudice di merito avrebbe omesso di considerare che:

– la procedura esecutiva si era arrestata non a causa dell’opposizione proposta dal G., bensì per l’incompletezza della documentazione di cui all’art. 567 c.p.c.;

– il G. aveva comunque pagato parte del debito in pendenza del processo esecutivo, avanzando anche congrue proposte transattive;

– la stessa ordinanza avversata dal G. era divenuta inefficace per la menzionata incompletezza della documentazione ipocatastale.

Tali circostanze avrebbero dovuto condurre il giudice, da un lato, a ritenere che nessun tipo di pregiudizio era concretamente derivato dalla proposizione dell’opposizione, nè per il Comune, nè per il sistema giudiziario; dall’altro, a valutare come non particolarmente intenso l’elemento soggettivo del debitore.

Con il quarto motivo è denunziata violazione di legge in riferimento agli artt. 2043 e 2697 c.c. e all’art. 96 c.p.c.: il Comune non avrebbe fornito alcun elemento di prova in ordine al danno o al pregiudizio subito.

I motivi, largamente sovrapponibili, possono essere esaminati congiuntamente e sono tutti infondati.

In tema di responsabilità aggravata, l’art. 96 c.p.c., comma 3 (come modificato dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 12) prevede una vera e propria pena pecuniaria, indipendente sia dalla domanda di parte (nella specie, per altro, ritualmente proposta), sia dalla prova del danno causalmente derivato dalla condotta processuale dell’avversario. Deve infatti escludersi la necessità dell’adduzione e della prova del danno, elementi invece indispensabili per la condanna ai sensi dei primi due commi dell’art. 96 c.p.c.: l’abuso del processo cagiona in sè e per sè un pregiudizio – il coinvolgimento di controparte nel processo – ed è ciò a dar luogo ad una condanna in favore della controparte. Piuttosto, è necessario l’accertamento della mala fede o colpa grave della parte soccombente, militando in tal senso tanto l’inserimento della relativa previsione nella disciplina della responsabilità aggravata, quanto il rilievo che non può considerarsi censurabile la mera azione in giudizio per far valere una pretesa che si riveli poi infondata (Sez. U., Sentenza n. 22405 del 13/09/2018, Rv. 650452-01; Sez. U., Sentenza n. 9912 del 20/04/2018, Rv. 648130-02).

Il ricorso non offre alcun elemento per porre in discussione il riferito orientamento.

Pertanto, occorreva unicamente che il giudice di merito verificasse l’elemento soggettivo dell’opponente-soccombente.

Ed invero la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata contiene una puntuale indagine della condotta processuale tenuta dal G., enumerando le specifiche condotte da questi tenute dalle quali si desume la colpa grave (pag. 10). Si tratta di una indagine di merito che non è censurabile in sede di legittimità.

Pertanto, in questa parte il ricorso è inammissibile.

Con riferimento al quantum debeatur – censurato nel ricorso sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione – deve ribadirsi che dell’art. 96 c.p.c., comma 3, nel disporre che il soccombente può essere condannato a pagare alla controparte una “somma equitativamente determinata”, non fissa alcun limite quantitativo – nè massimo, nè minimo – al contrario dell’art. 385 c.p.c., comma 4, che, prima dell’abrogazione ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, stabiliva, quale limite della condanna alle spese della parte che abbia proposto il ricorso o vi abbia resistito con colpa grave, il doppio dei massimi tariffari. Pertanto, la determinazione giudiziale deve solo osservare il criterio equitativo, potendo essere calibrata anche sull’importo delle spese processuali (o su un loro multiplo) o sul valore della controversia, con l’unico limite della ragionevolezza (Sez. 6-2, Ordinanza n. 21570 del 30/11/2012, Rv. 624394-01).

La sentenza impugnata parametra la somma liquidata ex art. 96 c.p.c., comma 3, a quanto l’esecutato ancora deve al creditore. Sebbene usualmente si prenda a riferimento l’importo delle spese legali, l’ampia discrezionalità riservata al giudice dalla disposizione in esame impedisce che possa affermarsi l’irragionevolezza del criterio adottato, in ogni caso parametrato ad un dato oggettivo qual è il valore della causa. Non vi sono margini, pertanto, per sottoporre a revisione in questa sede la decisione del giudice di merito.

Anche sotto questo profilo, pertanto, il motivo è inammissibile.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale il Comune di Piano di Sorrento contesta la liquidazione delle spese di lite operata dal giudice di merito, affermando che sarebbe stato erroneamente applicato uno scaglione di valore inferiore a quello dovuto. Nell’individuazione del valore della controversia – corrispondente agli effetti economici dell’accoglimento o del rigetto dell’opposizione (Sez. 3, Sentenza n. 1360 del 23/01/2014, Rv. 629943-01; Sez. 3, Ordinanza n. 15633 del 30/06/2010, Rv. 613794-01; Sez. 3, Sentenza n. 12354 del 24/05/2006, Rv. 591203-01) – il Comune opera il raffronto fra la somma finale determinata dal giudice dell’esecuzione in sede di conversione del pignoramento (Euro 685.106,77) e quella che il G. aveva (infondatamente) indicato come corretta (Euro 408.456,20). In realtà, detti importi sono comprensivi degli interessi, mentre l’importo davvero in contestazione assomma ad Euro 160.618,00.

Non ha rilievo, peraltro, la circostanza che il G. abbia poi modificato (riducendolo ad Euro 126.985,38) l’ammontare della somma controversa. Infatti, a prescindere dall’ammissibilità della mutatio libelli fra la fase sommaria e quella di merito del giudizio di opposizione all’esecuzione, in ogni caso si deve applicare lo scaglione tariffario per le cause di valore compreso fra Euro 103.300,01 ed Euro 258.300,00, correttamente individuato dal giudice di rinvio.

Il motivo è dunque infondato.

In conclusione, il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile e il ricorso incidentale è infondato.

Attesa la reciproca soccombenza, si dispone l’integrale compensazione delle spese legali del giudizio di legittimità.

Sussistono i presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte sia del ricorrente principale, sia del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per le rispettive impugnazioni, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale. Compensa integralmente le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2020

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