Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26433 del 17/10/2019

Cassazione civile sez. I, 17/10/2019, (ud. 12/07/2019, dep. 17/10/2019), n.26433

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18337/2018 proposto da:

D.Y., elettivamente domiciliato in Roma Via Di Santa Costanza

2 presso lo studio dell’avvocato Ruggiero Stefano che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 10/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/07/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale ordinario di Roma, con decreto depositato il 10.5.2018, ha rigettato la domanda di D.Y., cittadino della (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

Il giudice di merito ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, oltre che per l’inverosimiglianza del racconto del richiedente (costui, di etnia (OMISSIS), riferiva di aver avuto uno scontro con esponenti dell’etnia (OMISSIS) nel corso di una partita di calcio, che era degenerato con l’uccisione del proprio fratello, a seguito del quale il patrigno dell’omicida, appartenente alle forze dell’ordine, aveva mandato la polizia ad arrestarlo, così costringendolo alla fuga).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, ritenendo che i rilievi in ordine all’inattendibilità complessiva del dichiarante si riflettessero anche su tale richiesta.

Ha proposto ricorso per cassazione D.Y. affidandolo a sei motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Il ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g) in relazione all’art. 3 Cost..

Il ricorrente lamenta la disparità di trattamento, fondata sulla nazionalità, tra cittadini italiani e cittadini stranieri non appartenenti all’Unione Europea, per essere questi ultimi stati esclusi dalla possibilità di far ricorso al secondo grado di giudizio.

In sostanza, è stata lamentata l’abrogazione del grado d’appello nei giudizi di protezione internazionale, essendo questi ormai definiti con decreto non reclamabile.

Rileva, inoltre, il ricorrente che tale esclusione, che riguarda la materia dei diritti della personalità, è illogica in un ordinamento che contempla la garanzia del doppio grado di merito anche in controversie civili di minore importanza.

2. Il motivo è infondato.

Va osservato che questa Corte, con ordinanza n. 27700 del 30/10/2018 (conf. ord. n. 28119 del 05/11/2018), la cui esaustiva motivazione deve essere richiamata integralmente, ha già statuito che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, per violazione dell’art. 3, comma 1, artt. 24 e 111 Cost. – nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile – in quanto è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c. (omessa pronuncia su un motivo d’appello).

Lamenta il ricorrente che il Tribunale di Roma ha omesso ogni valutazione in ordine al motivo riguardante il riconoscimento della protezione umanitaria.

4. Il motivo è infondato.

Il Tribunale di Roma non ha affatto omesso di pronunciarsi sul motivo ~1:9 in punto di protezione umanitaria, avendo evidenziato che il richiedente non aveva nè allegato nè dimostrato di versare in una specifica condizione di vulnerabilità idonea per il riconoscimento del relativo permesso.

Il ricorrente non si è confrontato con tale argomentazione, limitandosi ad ignorarla.

5. Con il terzo motivo è stato dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo ai fini della decisione, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale di Roma, ai fini della valutazione della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) ha omesso l’esame del rapporto di Amnesty International 2016/2017, allegato al ricorso di primo grado come documento n. 5.

6. Il ricorso è infondato.

Va osservato che dall’esame del contenuto del documento – ritrascritto dal ricorrente nel ricorso per cassazione – non emerge affatto una sua decisività ai fini della decisione.

In proposito, questa Corte ha più volte statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858 del 31/05/2018).

Orbene, dal testo del documento non risulta affatto una situazione di violenza diffusa ed indiscriminata tale da mettere a rischio l’incolumità di un civile per il solo effetto del suo ingresso nel territorio della (OMISSIS), emergendo solo delle criticità in ordine al rispetto di diritti umani.

Infine, il ricorrente mette apoditticamente in relazione il rapporto di Amnesty International sulla situazione generale della Guinea con le asserite minacce di morte che lo stesso avrebbe ricevuto dal gruppo dei (OMISSIS) a seguito dell’episodio della parte di calcio, ritenuto non credibile dal giudice di merito.

7. Con il quarto motivo stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per motivazione insufficiente e apparente.

Lamenta il ricorrente che il giudice di merito ha ritenuto inverosimile il suo racconto senza motivare le ragioni del suo convincimento, non prendendo posizione alcuna sui motivi di censura sollevati in primo grado.

8. Il motivo è inammissibile.

In primo luogo, il ricorrente non si è confrontato minimamente ignorandole – con le precise argomentazioni del decreto impugnato con cui sono state evidenziate le ragioni della valutazione d’inverosimiglianza del suo racconto (vedi pag. 2 del decreto impugnato da “osservazioni del collegio”).

Ne consegue che del tutto generica ed apodittica è la censura di omessa motivazione svolta dal ricorrente.

Inoltre, va osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che l’onere di specifica indicazione dei motivi non può ritenersi soddisfatto qualora il ricorso per cassazione sia basato sul mero richiamo dei motivi svolti nel precedente grado, atteso che una tale modalità di formulazione del motivo rende impossibile individuare la critica mossa ad una parte ben identificabile del giudizio espresso nella sentenza impugnata, rivelandosi del tutto carente nella specificazione delle deficienze e degli errori asseritamente individuabili nella decisione. (Cass. n. 1479 del 22/01/2018).

9. Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis dir. 2004/83.

Lamenta il ricorrente che nel decreto emesso dal Tribunale di Roma non vi è traccia di un’istruttoria in ordine alla sua situazione personale ed al suo timore di far ritorno in patria.

10. Il motivo presenta profili di infondatezza e inammissibilità.

In primo luogo, il giudice di merito ha ritenuto, con argomentazioni che non sono state oggetto di specifica censura, l’inverosimiglianza del racconto del richiedente, con la conseguenza che lo stesso giudice si è occupato della situazione personale del ricorrente, rispetto al quale ha valutato altresì l’eventuale rischio di ritorno in patria, esaminando in modo specifico, alla luce di fonti internazionali accreditate, la situazione generale della (OMISSIS).

La censura del ricorrente è generica, omettendo di confrontarsi con l’iter logico argomentativo del provvedimento impugnato.

11. Con il sesto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, agli art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale di Roma non ha valutato la grave violazione dei diritti umani nel paese d’origine del ricorrente, come emergente dal rapporto di Amnesty International.

Il decreto impugnato ha disatteso ogni criterio di valutazione e discernimento del racconto dichiarato inverosimile senza valutare le condizioni del ricorrente al momento dell’esposizione dei fatti.

12. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che sebbene con l’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018 sia stato soppresso l’istituto della protezione umanitaria (residuando per alcune ipotesi speciali), questa Sezione, con sentenza n. 4890/2019, ha elaborato il seguente principio di diritto: “La normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione…”.

Se è pur vero che tale indirizzo è stato messo in dubbio dall’ordinanza interlocutoria di questa Corte n. 11749/19, che ha, peraltro, rimesso alle Sezioni Civili non solo la valutazione della retroattività o meno del D.L. n. 113 del 2008, ma anche lo scrutinio sui principi elaborati da questa Corte con la sentenza n. 4455/2018, tuttavia, nel caso di specie, non è necessario attendere la decisione del Supremo Collegio, palesandosi il motivo inammissibile per aspecificità.

Il ricorrente ha genericamente dedotto la violazione dei diritti fondamentali nel Paese d’origine senza minimamente correlarla alla sua condizione personale.

Sul punto, questa Corte ha già affermato che pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale, atteso che, diversamente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018).

Il richiedente si è limitato ad evidenziare circostanze (quali le minacce di morte che avrebbe ricevuto nel suo villaggio) che la Corte di merito aveva già coerentemente ritenuto non attendibili con argomentazioni con le quali lo stesso non si è confrontato.

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendo il Ministero dell’Interno costituito in giudizio.

Non si applica il doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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