Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26432 del 20/11/2020

Cassazione civile sez. III, 20/11/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 20/11/2020), n.26432

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19063/2017 R.G. proposto da:

S.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO 13,

presso lo studio dell’avvocato SAVERIO COSI, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, COMUNE DI MAIORI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3444/2017 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

20/02/2017;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio non partecipata

del 14/10/2020 dal relatore Dott. Franco DE STEFANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

S.P. ricorre, con atto notificato a mezzo p.e.c. il 03/08/2017, per la cassazione della sentenza del 21/02/2017 con cui il Tribunale di Roma ha rigettato il suo appello avverso il solo parziale accoglimento della sua opposizione ad intimazione di pagamento riferita a due cartelle per violazioni al C.d.S., per dedotta carenza di notificazione del verbale di accertamento e della stessa cartella;

in particolare, il primo giudice aveva accolto l’opposizione quanto alla prima cartella, per crediti verso Roma Capitale (già da questa annullata), ma l’aveva respinta, nel contraddittorio pure con Equitalia Sud spa, quanto alla seconda, per crediti verso il Comune di Maiori, ritenuti violati i termini di cui alla L. n. 689 del 1981;

Roma Capitale ed Agenzia delle Entrate – Riscossione restano intimate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

la ricorrente articola motivi ricondotti a plurime rubriche: “A. Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, con riguardo agli artt. 615,112,115 e 116 c.p.c., art. 2697 c.c. – L. n. 689 del 1981, artt. 13, 14, 22 e 23 – violazione art. 360 c.p.c., n. 5”; seguita da: “A) Violazione degli artt. 115,116 e 2697 c.c.”, “B) Violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 112 c.p.c.”, “C) violazione dell’art. 2697 c.c., violazione e falsa applicazione della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7, come modificato dal D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 2-quater, convertito nella L. 28 febbraio 2008, n. 31, nonchè dell’art. 325 c.p.c.”, “D) violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, con riguardo all’art. 112 c.p.c. – art. 2953 c.c. ed L. n. 689 del 1981, art. 28”;

il ricorso è inammissibile;

è violato invero il disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 3, in quanto l’esposizione dei fatti di causa è operata con solo parziale fotoriproduzione di alcuni stralci – oltretutto incompleti – di atti del processo (un avviso di ricevimento della raccomandata di notifica dell’intimazione, la sola pagina 4 della comparsa di costituzione di Equitalia in primo grado, le sole pagine 1 e 4 della sentenza di primo grado), priva di dati decisivi per la definizione, tra cui le date di notifica delle cartelle e di instaurazione del giudizio, la specifica indicazione delle ragioni di contestazione, delle repliche delle controparti e delle argomentazioni dei giudici di merito;

tanto comporta l’applicazione delle conclusioni già raggiunte da Cass. Sez. U. 28/11/2018, n. 30754 (e numerose successive), in ordine all’inidoneità del ricorso ai fini dell’adeguata esposizione delle circostanze di causa rilevanti per la decisione;

del resto, le censure articolate su pretese violazioni dell’art. 2697 c.c. o degli artt. 115 o 116 c.p.c., sarebbero tutte inammissibili anche perchè formulate non già per denunciare la violazione dei rispettivi paradigmi legali (accollo di un onere di prova alla parte sbagliata, decisione in base a prove non ammesse et similia), ma per dolersi del risultato dei giudizi di fatto presupposti da quelli di diritto;

ancora, dovendo rilevarsi anche di ufficio la violazione di termini perentori condizionanti la proposizione dell’azione (salvo il solo caso, che qui non ricorre, di un giudicato interno sul punto), la principale delle ragioni del decidere sta nella qualificazione dell’opposizione dell’odierna ricorrente, articolata sulla dedotta carenza di notifica del necessariamente presupposto verbale di accertamento dell’infrazione al C.d.S., quale recuperatoria della tutela ordinariamente ammessa contro quest’ultima: e, quindi, si trova ad essere pienamente conforme ai principi poi fissati da Cass. Sez. U. 22/09/2017, n. 22080, ai quali va data continuità pure nella presente fattispecie: “l’opposizione alla cartella di pagamento, emessa ai fini della riscossione di una sanzione amministrativa pecuniaria, comminata per violazione del C.d.S., ove la parte deduca che essa costituisce il primo atto con il quale è venuta a conoscenza della sanzione irrogata, in ragione della nullità o dell’omissione della notificazione del processo verbale di accertamento della violazione, deve essere proposta ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7 e non nelle forme dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.”;

ogni contestazione della valutazione di riferibilità delle prove alla notifica del verbale difetta poi di specificità in ordine alla sua non novità, visto che in ricorso vi è la fotoriproduzione di un atto da cui dovrebbe desumersi la conclusione esposta, ma non anche l’indicazione di quando, come e in quale atto la questione sia stata esposta al giudice del merito (appena dovendosi notare che la trascrizione di solo alcuni stralci della costituzione dell’agente della riscossione non sopperisce a tale carenza, attesa la desumibile soccombenza dell’odierna ricorrente fin dal primo grado sul punto);

inoltre, la tesi di omessa pronuncia sulla prescrizione è erronea, perchè la gravata sentenza ha rilevato essere stata sollevata la relativa eccezione solo in appello: ciò che non è certamente contraddetto dalla trascrizione in ricorso delle sole conclusioni dell’atto di primo grado in cui invece la questione sarebbe stata posta, occorrendo, per la configurabilità di una domanda o censura, che essa sia argomentata e non soltanto ed apoditticamente enunciata nel suo segmento conclusivo;

il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, ma non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità, per non avervi svolto attività difensiva gli intimati;

peraltro, poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2020

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