Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2643 del 30/01/2016

Cassazione civile sez. trib., 30/01/2019, (ud. 20/12/2018, dep. 30/01/2019), n.2643

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11195/2015 R.G. proposto da:

D.L.P., rappresentato e difeso dall’avv. Maurizio Di

Salvo, elettivamente domiciliato in Roma alla piazza dell’Orologio

n. 7, presso l’avv. Corrado Marinelli;

– ricorrente – controricorrente incidentale –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1122/6/2014 della Commissione Tributaria

Regionale dell’Abruzzo, depositata in data 24 ottobre 2014 e non

notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 20 dicembre

2018 dal Consigliere Andreina Giudicepietro.

Fatto

RILEVATO

che:

1. D.L.P. ricorre con due motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 1122/6/2014 della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, depositata in data 24 ottobre 2014 e non notificata, che, in controversia relativa all’impugnativa del rigetto dell’istanza di annullamento in autotutela del diniego parziale di condono, ha accolto l’appello dell’Ufficio, ritenendo che non fosse giustificata la revoca del diniego di condono a seguito di quanto emerso da una nota inviata dall’Agenzia delle Entrate all’autorità giudiziaria;

2. in particolare, con la sentenza impugnata, la C.T.R. dell’Abruzzo (di seguito C.T.R.) preliminarmente ha ritenuto che non fosse fondata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso del contribuente, sia perchè l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, non doveva intendersi come tassativa, sia perchè l’impugnativa aveva ad oggetto il diniego di autotutela e non il provvedimento di diniego parziale del condono, per il quale vi era l’efficacia preclusiva del giudicato;

nel merito, il giudice di appello ha ritenuto, invece, che il riferimento al condono tombale, contenuto nella comunicazione inviata il 6/9/2006 dall’Amministrazione finanziaria al giudice penale, costituisse una precisazione ultronea, alla quale non poteva attribuirsi la valenza di un provvedimento di revoca del parziale diniego di condono (per alcune annualità), giacchè essa non investiva direttamente la sfera giuridica dell’interessato;

riteneva il giudice di appello che “solo con un provvedimento ad hoc, dotato di tutti i requisiti di legge e diretto ad un soggetto determinato, la Pubblica Amministrazione può riconoscere o negare motivatamente un diritto”;

pertanto, secondo la C.T.R., il ricorso del contribuente, era ammissibile, ma infondato;

3. a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso ed avanza ricorso incidentale affidato ad un unico motivo;

4. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 20 dicembre 2018, ai sensi dell’art. 375, u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. con il primo motivo, il ricorrente principale denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, artt. 9e 9 bis, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo il ricorrente, il giudice di appello avrebbe errato nell’affermare che la comunicazione dell’Agenzia delle Entrate al giudice penale del 6/9/2006, nella quale l’Amministrazione finanziaria aveva affermato la validità del condono, non investiva direttamente la sfera giuridica dell’interessato;

tale comunicazione, invero, costituiva un atto che aveva la sua efficacia nella sfera giuridica del contribuente, perchè da essa il giudice penale avrebbe tratto le proprie conseguenze in ordine all’esistenza delle esimenti, L. n. 289 del 2002, ex art. 9 (senza che vi fosse alcuna attinenza con la norma di cui all’art. 9 bis della stessa legge);

con il secondo motivo del ricorso principale, il contribuente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.M. 11 febbraio 1997, n. 37 , della L. 27 luglio 2000, n. 212, artt. 2 e 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo il ricorrente la rimozione del diniego di autotutela risponderebbe ad un motivo di interesse di rilevanza generale, ricorrendo i presupposti dell’illegittimità dell’atto e della sussistenza di un interesse pubblico alla sua eliminazione;

il ricorrente conclude nel senso che vi sarebbe stato un interesse pubblico alla rimozione della nota del 6 settembre 2006, che comunicava al giudice penale la validità del condono al fine del riconoscimento degli effetti premiali di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 10, lett. c);

con il ricorso incidentale, a sua volta, l’Agenzia delle Entrate denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 e dell’art. 2909 c.c.;

deduce la ricorrente incidentale che la C.T.R. ha erroneamente rigettato l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, stante il giudicato formatosi in data 22/4/2007 sulla sentenza della C.T.P. di Pescara, che ha dichiarato legittimo il diniego di condono opposto dall’Ufficio, in presenza delle cause ostative di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9;

secondo l’Agenzia delle Entrate, sebbene la presente controversia abbia ad oggetto l’impugnativa del diniego di annullamento in autotutela del diniego di condono, l’esercizio del sindacato sull’attività di autotutela non può essere un mezzo sostitutivo dei rimedi giurisdizionali non esperiti;

il ricorso proposto al giudice tributario avverso il diniego di autotutela non può risolversi nell’impugnazione dell’atto impositivo (nella specie del diniego parziale di condono), in ordine al quale siano decorsi i termini di impugnazione per esperire i rimedi giurisdizionali suoi propri;

nel caso di specie il provvedimento di diniego parziale del condono è stato impugnato dal contribuente ed il relativo ricorso è stato rigettato, con sentenza passata in giudicato, per cui il contribuente non può proporre una nuova azione giudiziaria, a seguito del rigetto di un’istanza di autotutela, motivandola con il rinvenimento di un documento (la comunicazione dell’Amministrazione all’Autorità giudiziaria), che gli era già noto ed, al più, avrebbe potuto costituire oggetto di un eventuale giudizio di appello;

l’Amministrazione conclude nel senso che, comunque, non sarebbe impugnabile il diniego, tacito o espresso, di annullamento in autotutela di un atto regolarmente notificato ed autonomamente impugnabile, divenuto definitivo in virtù di sentenza passata in giudicato;

1.2. ragioni di priorità logica impongono l’esame preliminare del ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate, che è fondato e va accolto, con conseguente assorbimento dei motivi del ricorso principale;

1.3. invero, le Sezioni Unite di questa Corte hanno più volte affermato il principio secondo il quale avverso l’atto con il quale l’Amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo non è esperibile un’autonoma tutela giurisdizionale, sia per la discrezionalità propria, in questo caso, dell’attività di autotutela, quanto per l’inammissibilità di un nuovo sindacato giurisdizionale sull’atto di accertamento munito del carattere di definitività, atteso che diversamente opinando, si darebbe inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (Cass., Sez. un., nn. 2870 e 3698 del 2009; Cass., Sez. un., n. 16097 del 2009);

nel caso di specie, il contribuente ha precisato che oggetto dell’attuale impugnazione non è il diniego di condono, oggetto di autonomo giudizio che si è chiuso con la conferma del provvedimento impugnato, ma il provvedimento di diniego reso sull’istanza di annullamento in autotutela;

contro il rifiuto espresso di autotutela può ammettersi solo un sindacato sulla legittimità del rifiuto stesso e non anche sulla fondatezza della pretesa tributaria, ciò che comporterebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa propria dell’Amministrazione finanziaria e, nel caso in esame, anche un’illegittima ablazione del giudicato che ha riguardato la legittimità del medesimo atto impositivo (Cass. n. 11457/2010; Cass. n. 10020/2012; Cass. nn. 25563, 15194 e 255524/2014);

secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, “il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo” (Cass. n. 18999/18; 7616/2018;n. 1965/2018; n. 20314/2017);

il giudice, chiamato a decidere sul rifiuto dell’esercizio dei poteri di autotutela da parte dell’Autorità Finanziaria, può valutare solo la legittimità dell’omissione, senza entrare nel merito della vicenda e della fondatezza della pretesa;

nella fattispecie in esame, deve, di conseguenza, escludersi l’ammissibilità di ogni profilo dell’impugnazione del diniego di autotutela, che in realtà sia volto a far valere eventuali vizi dell’atto impositivo (nel caso di specie del diniego parziale di condono), il cui esame deve ritenersi definitivamente precluso;

per altro verso, il contribuente, nell’affermare con il ricorso in Cassazione l’esistenza di un interesse generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto (in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che, ai sensi del D.L. 20 settembre 1994, n. 564, art. 2 quater, convertito con modificazioni dalla L. 30 novembre 1994, n. 656 e del D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, art. 3, ne giustificano l’esercizio – vedi Cass. sent. n. 16769/16), ha fatto riferimento all’interesse pubblico alla rimozione della nota del 6 settembre 2006 (cioè della comunicazione al giudice penale, in cui si afferma la validità del condono), che non costituisce oggetto dell’istanza di annullamento in autotutela, rivolta invece al precedente diniego di condono (provvedimento divenuto definitivo a seguito del rigetto del ricorso del contribuente ed al più lesivo dell’interesse individuale di quest’ultimo);

nel caso in esame, a fronte della definitività del diniego parziale del condono, a seguito di sentenza passata in giudicato, il ricorrente non ha evidenziato quali sarebbero le ragioni di interesse di rilevanza generale dell’amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto stesso;

il ricorso, quindi, è inammissibile perchè da un lato postula l’illegittimità dell’atto definitivo di diniego di condono, che non è più in discussione, e dall’altro non evidenzia l’interesse pubblico che avrebbe reso illegittimo il diniego di autotutela, attività contrassegnata da un’ampia discrezionalità e non surrogabile in via giudiziaria;

1.4 in conclusione, in accoglimento del ricorso incidentale, assorbito il ricorso principale con esso incompatibile, va cassata la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, va dichiarato inammissibile il ricorso originario del contribuente;

sussistono giusti motivi, in relazione alla complessità della controversia, per compensare le spese dei gradi di merito;

le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del D.P.R. n. 115 del 2002 , art. 13,comma 1 bis.

PQM

La Corte accoglie il ricorso incidentale, assorbito il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile il ricorso originario del contribuente;

compensa tra le parti le spese dei due gradi di merito;

condanna D.L.P. al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2019

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