Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26428 del 17/10/2019

Cassazione civile sez. I, 17/10/2019, (ud. 12/07/2019, dep. 17/10/2019), n.26428

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27650/2018 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour

presso la cancelleria della prima sezione civile della Corte di

cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato Damiano Fiorato

giusta procura speciale in calce al ricorso

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., elettivamente

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 5 presso l’Avvocatura

Generale dello Stato ex legge;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1342/2018 della Corte di appello di Milano

pubblicata il 19/03/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Scalia Laura

nella camera di consiglio del 12/07/2019.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.S., cittadino del (OMISSIS), ricorre in cassazione con quattro motivi avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte di appello di Milano, nel confermare la decisione del locale Tribunale, ha rigettato le domande di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria dal primo proposte, nella ritenuta insussistenza dei relativi presupposti di legge.

Il ricorrente esponeva di essere una persona politicamente esposta e di primo piano nel (OMISSIS) ((OMISSIS)), già responsabile nazionale dei giovani del suo partito e segretario generale della Federazione del partito nella regione di (OMISSIS).

Egli lasciava il paese di origine il 17 gennaio 2011 per recarsi dapprima in Egitto e quindi in Libia dove era fatto oggetto di ulteriori e gravi violenze oltre a quelle patite in patria.

In (OMISSIS) il richiedente protezione si era candidato nel 2008 alle elezioni per il suo partito e uscitone sconfitto dal contrapposto partito “(OMISSIS)”, egli aveva iniziato a subire minacce di morte e violenti pestaggi che lo avevano costrinsero a fuggire a (OMISSIS) presso un cugino dove era rimasto nascosto per circa venti mesi.

Incolpato di alcuni incidenti, della morte di due persone e del ferimento di altre in occasione di un incontro non autorizzato del (OMISSIS) nella impossibilità di ricevere un giusto processo nel proprio paese, ricercato con accuse pretestuose dalla polizia, il ricorrente ha esposto di essere stato costretto a lasciare il (OMISSIS).

COI e fonti internazionali avrebbero attestato come la persecuzione politica in (OMISSIS) assumesse i caratteri di una persecuzione poliziesco-giudiziaria.

2. Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, commi 1 e 2, art. 8, comma 1, lett. a) e art. 3, comma 5, lett. c) sul riconoscimento dello status di rifugiato nonchè contraddittorietà ed illogicità della motivazione.

I giudici di merito di primo e secondo grado non avrebbe, considerato che l’audizione dinanzi alla competente commissione territoriale era stata condotta in modo tale da non consentire al richiedente di fornire, in modo logico ed ordinato, elementi utili a legittimare la propria richiesta tramutandosi, a tratti, la condotta del vice-questore in un vero e proprio interrogatorio di polizia.

La Commissione dapprima e poi i giudici con gli adottati provvedimenti giurisdizionali erano venuti meno all’obbligo di cooperare con il richiedente per una obiettiva valutazione dello status, risultando i passaggi motivatori dei primi diretti solo a confutare il racconto del richiedente.

Il giudice non può formare il proprio convincimento esclusivamente sulla base della credibilità soggettiva del richiedente e sull’adempimento di questi di provare il fumus persecutionis a suo danno, ma è tenuto a verificare la condizione di persecuzione di opinioni, abitudini e pratiche sulla base di informazioni esterne e oggettive relative alla situazione reale del paese di provenienza là dove invece la riferibilità del fumus persecutionis può essere fondata anche su elementi di valutazione personale tra i quali figura la credibilità delle dichiarazioni dell’interessato.

Il motivo si presta ad una duplice lettura che è nel contempo di inammissibilità e di infondatezza.

1.1. Il profilo del motivo che involge le modalità secondo le quali il ricorrente sarebbe stato ascoltato in sede amministrativa, che si denunciano vicine a quelle proprie di un interrogatorio di polizia, è, come già ritenuto dalla Corte di appello, generico.

Il ricorrente non provvede infatti a denunciare condotte che avrebbero inciso sulla genuinità del narrato là dove lamenta modalità di conduzione dell’ascolto che non gli avrebbero consentito di esporre la propria vicenda in modo ragionevole ed ordinato o, ancora, l’inosservanza di forme a presidio del contraddittorio.

1.2. Nel resto, la denunciata valutazione condotta dagli organi amministrativi e dai giudici di merito che si vorrebbe in ricorso impropriamente orientata a confutare il racconto del richiedente non urta con nessuna disposizione di legge diretta a dare governo allo scrutinio di quelle dichiarazioni (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5) e come tale si rivela non ammissibile.

1.3. L’ulteriore affermazione di principio, poi, addotta dal ricorrente per denunciare l’illegittimità dell’impugnata sentenza per mal governo degli elementi di prova e per la quale, “In tema di accertamento del diritto ad ottenere una misura di protezione internazionale, il giudice non può formare il proprio convincimento esclusivamente sulla base della credibilità soggettiva del richiedente e sull’adempimento dell’onere di provare la sussistenza del “fumus persecutionis” a suo danno nel paese d’origine (anche nel quadro normativo, applicabile “ratione temporis” vigente prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3), essendo, invece, tenuto a verificare la condizione di persecuzione di opinioni, abitudini, pratiche sulla base di informazioni esterne e oggettive relative alla situazione reale del paese di provenienza, mentre solo la riferibilità specifica al richiedente del “fumus persecutionis” può essere fondata anche su elementi di valutazione personale quali, tra i quali, la credibilità delle dichiarazioni dell’interessato” (Cass. n. 26056 del 23/12/2010; in termini: Id., 17576/2010) non va intesa nel senso dedotto dal ricorrente.

Ed invero i contenuti, da un canto, dell’onere di allegazione che incombe sul richiedente protezione internazionale e, dall’altro, dell’obbligo di collaborazione istruttoria gravante sul giudicante, tenuto a richiedere informazioni attuali sulle condizioni di persecuzione di opinione, abitudini e pratiche di vita nel paese del richiedente, vanno intesi nel senso che la situazione di obiettiva consistenza nel paese di provenienza della persecuzione nei termini indicati grava sul decidente, tenuto ad acquisire sul punto informazioni attuali, non potendo lo stesso, per escludere la sussistenza di ragioni di persecuzione in un determinato paese, affidarsi soltanto ad un giudizio sulla credibilità soggettiva del dichiarante.

D’altra parte, l’individualizzazione del rischio che vale a rendere il richiedente protezione internazionale quale destinatario della condotta di persecuzione nel paese di provenienza grava su quest’ultimo che deve allegare sul punto specifici fatti (vd. Cass. n. 27503 del 30/10/2018).

Il principio sopra enunciato e riportato in ricorso a sostegno del proposto motivo, correttamente inteso.

Ed infatti la Corte di appello di Milano ha respinto la domanda di riconoscimento di protezione internazionale e tanto non perchè abbia ritenuto non dimostrata una situazione di generale persecuzione politica nel paese di origine del richiedente, ma per aver apprezzato come non assolto da questi l’onere di circostanziare in modo attendibile condotte di persecuzione politica in suo pregiudizio.

La Corte di merito non ha mancato quindi di accertare l’obiettiva condizione del (OMISSIS) rispetto alla manifestazione di pensiero ed espressione di opinioni politiche, ma ha correttamente, ritenuto, non discostandosi dal principio sopra richiamato, che quel rischio non fosse stato individualizzato dal richiedente secondo onere sul medesimo ricadente.

Il motivo è quindi in via conclusiva infondato.

2. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 sulla protezione sussidiaria che non sarebbe stata scrutinata in sentenza secondo i contenuti sui propri.

Ed infatti, pure escluso lo status di rifugiato, le condizioni particolari del richiedente e le condizioni del suo paese di origine avrebbero dovuto determinare la Corte di merito a riconoscere la protezione sussidiaria risultando il primo esposto, al suo rientro nel paese di origine, a trattamenti degradanti tra i quali la detenzione in carceri disumane o l’uccisione da parte degli avversari politici.

La Corte di merito, dopo aver precisato che l’appellante aveva richiesto il riconoscimento della protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) -circostanza rispetto alla quale la contestazione in questa sede anche delle diverse fattispecie di cui alle precedenti art. 14, lett. a) e b) risulta quindi inammissibilmente direttamente portata all’esame dei giudici di legittimità -, esclude in applicazione dei principi fatti propri dalla sentenza della Corte di Lussemburgo n. 172 del 2009, Elgafaji, e quindi l’esistenza nel (OMISSIS), attingendo a fonti internazionali (Rapporto A.I. 2016-2017; Report Human Right Watch del 2017), di un conflitto armato ad alta intensità che, ai sensi dell’art. 15, comma 18 della direttiva 2004/83/CE, sosterebbe il riconoscimento della protezione sussidiaria.

Il motivmenerico, non contesta fondatezza e contenuti di quelle fonti nè la ricostruzione operatane dalla Corte di appello di Milano che conclude per l’esistenza di problemi di ordine pubblico, di attacchi terroristici al confine con l’India, di forti limitazioni alle libertà fondamentali non ancora integranti però l’esistenza di un conflitto armato ad alta intensità.

2. Con il terzo motivo si fa valere la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in materia di protezione umanitaria.

Il rientro in patria del richiedente lo avrebbe privato della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto di quel nucleo, ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale e tanto in comparazione con la situazione di integrazione raggiunta in Italia, svolgendo il richiedente in Italia l’attività di macellaio e parlando egli, ormai, un fluente italiano.

Il motivo è inammissibile.

A fronte della motivazione impugnata che argomenta dalla mancata deduzione di condizioni di personale vulnerabilità del richiedente, il ricorrente reitera la posizioni difensiva fatta valere dinanzi alla Corte di merito in via diretta e non mediata da una argomentata critica.

Il giudizio di comparazione nell’impugnata sentenza resta escluso in difetto di allegazione che comprovi l’attività lavorativa dedotta, giudizio che resta fermo nella reiterazione in sede di legittimità della medesima deduzione non accompagnata da una denuncia di omesso esame di una allegazione e produzione tempestivamente fatta valere davanti ai giudici di merito.

Il motivo è pertanto inammissibile.

4. Con il quarto motivo si fa valere l’omesso esame di un fatto decisivo relativo al ruolo politico rivestito dal ricorrente nel proprio paese ed alla corruzione delle forze di polizia e giudiziarie e delle conseguenze rispetto agli appartenenti al partito del (OMISSIS) che avrebbe integrato il divario quanto al godimento dei diritti fondamentali tra Italia e (OMISSIS).

Il motivo contesta in modo inammissibile, sub specie dell’omesso esame di una circostanza in fatto decisiva, le valutazioni di merito condotte dalla Corte territoriale introducendo un diretto sindacato sul fatto non proponibile in questa sede.

4. Il ricorso, pertanto, va in via conclusiva dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese nella mancanza di costituzione da parte dell’amministrazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dichiarata la non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ammesso in via provvisoria al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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