Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26425 del 19/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 19/10/2018, (ud. 13/07/2018, dep. 19/10/2018), n.26425

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M. G – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso

i cui Uffici in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI N. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Olimpia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al

controricorso, dagli Avv.ti ODESCALCHI Angela Maria e CAPOREALE

Antonio Michele, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SARDEGNA N.

38, presso lo studio di quest’ultimo difensore;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale delle Marche, n. 239/1/10, depositata in data 20 settembre

2010;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 luglio 2018

dal Consigliere Dott. TRISCARI Giancarlo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott.ssa SANLORENZO Rita che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del primo motivo di ricorso ed il rigetto del secondo

e terzo motivo di ricorso;

udito per l’Agenzia delle entrate l’Avvocato dello Stato DE BONIS

Eugenio e per la società l’Avv. ROVEDA Angela.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche con la quale è stato rigettato l’appello da essa proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Pesaro.

Il giudice di appello ha premesso, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti della società contribuente un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2003, aveva rettificato il reddito di impresa contestando, per quanto oramai di interesse, la illegittima deduzione di costi a fronte di operazioni inesistenti e ricavi non dichiarati; il suddetto atto impositivo era stato impugnato dalla società contribuente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pesaro che accoglieva il ricorso; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l’Agenzia delle entrate, nel contraddittorio con la contribuente.

La Commissione tributaria regionale delle Marche ha rigettato l’appello.

In particolare, ha ritenuto che: per quanto riguarda la contestazione relativa alla deduzione di costi non deducibili per operazioni inesistenti, gli stessi (sostenuti a favore della ditta Tecnotex di V., a titolo di servizio di manutenzione e assistenza alle mostre cui la contribuente partecipava in varie parti d’Italia) erano da considerarsi inerenti rispetto all’attività svolta; sussistevano elementi di prova che la ditta Tecnotex di V. fosse un soggetto esistente, tenuto conto della iscrizione alla Camera di Commercio, dell’inerenza dell’attività all’oggetto sociale, della presenza di collaboratori esterni e di banche presso cui appoggiare il consistente volume di affari; non risultava, inoltre, allegato il p.v.c. redatto nei confronti della suddetta ditta Tecnotex di V.; circa le fatture di acquisto di listelli di faggio dalla V. s.a.s., le stesse erano regolari e relative a operazioni effettivamente esistenti e inerenti; per quanto riguardava, poi, la ripresa relativa a ricavi non dichiarati, era da ritenersi precluso all’Ufficio finanziario procedere ad un ricostruzione induttiva del reddito, a fronte di una regolare tenuta della contabilità aziendale, del mancato rinvenimento di documentazione extracontabile o di movimentazione finanziarie sospette o anomale o di svolgimento di attività in nero, e, peraltro, la stessa ripresa non era fondata in quanto meramente approssimativa, basata solo su 28 categorie di merci rispetto alle 1400 che caratterizzavano l’attività della contribuente, e su risultanze che avevano fatto emergere solo uno scostamento del 2,1 per cento rispetto all’ammontare dei ricavi dichiarati.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate, affidato a tre motivi di censura.

La Olimpia s.r.l. si è costituita depositando controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio.

In particolare, la ricorrente lamenta che il giudice di appello non ha tenuto conto che il fatto decisivo e controverso per il giudizio risiedeva nella sussistenza di elementi di prova sufficienti per accertare l’inesistenza delle operazioni intercorse tra la contribuente e la ditta individuale Tecnotex di V. M. e la V. & C. s.a.s., e che i suddetti elementi di prova erano stati del tutto pretermessi dal giudice di appello, che si era limitato a valorizzare circostanze del tutto irrilevanti, quali l’inerenza dei costi e l’avere la Tecnotex di V. M. una struttura in astratto idonea a svolgere le attività di cui alle fatture.

Il motivo è fondato.

Va premesso che, secondo il consolidato orientamento di questa Suprema Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che prevede l'”omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, comporta che la motivazione omessa o insufficiente è configurabile qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento (Cass. civ. Sez. 5^, 11 aprile 2018, n. 8913).

Si è, in particolare, precisato che per fatto decisivo e controverso deve intendersi un vero e proprio fatto, non una “questione” o un “punto”, posto che l’art. 360 cod. proc. civ. (nella parte in cui prevedeva l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia) è stato modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006 nel senso, appunto, che l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve riguardare un fatto controverso e decisivo. La modifica non può essere ritenuta puramente formale e priva di effetti: il fatto di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5), è perciò un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo) o anche, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo.

Ciò premesso, la questione di fondo di questa controversia, in relazione al profilo in esame, atteneva alla verifica della legittimità della pretesa in relazione a costi dedotti per operazioni inesistenti. La pronuncia oggetto di censura, pur motivando sul punto, ha ritenuto infondata la ripresa ragionando sulla sola base della inerenza dei costi nonchè sulla effettiva esecuzione delle prestazioni e sulla ritenuta esistenza della ditta Tecnotex di V. e della V. & c. s.a.s..

Sotto tale profilo, se, da un lato, la questione dell’inerenza dei costi non costituisce aspetto conferente alla verifica da compiere ai fini della decisione della controversia, d’altro lato, proprio con riferimento all’accertamento dell’effettiva esecuzione delle prestazioni rese dalla ditta Tecnotex di V. con cui la contribuente ha avuto rapporti commerciali, non risulta che il giudice di appello abbia tenuto conto di elementi, pur prospettati dall’Ufficio finanziario, che avrebbero potuto assumere rilevanza, quali: le condizioni di salute del titolare della ditta V.; il mancato ritrovamento di beni strumentali dell’impresa; la mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi e Iva per l’anno 2003; la dichiarazione del V. della diversità dell’attività effettivamente svolta rispetto a quella oggetto del contratto stipulato; la condanna penale del V. per emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Per quanto riguarda, poi, le operazioni rese dalla V. s.a.s., nessuna specifica considerazione di diversi elementi prospettati dall’Agenzia delle entrate risulta compiuta dal giudice di appello, quali: la circostanza che la V. & c. s.a.s. era cessata sin dal 1987 e la circostanza che le targhe utilizzate dai presunti vettori delle merci erano risultate inesistenti.

Si tratta, a ben vedere, di un complesso di elementi non presi in considerazione dal giudice di appello che, ove adeguatamente valutati, potrebbero assumere rilevanza ai fini della verifica della legittimità della pretesa dell’Ufficio finanziario, in quanto introducono la necessità di verificare se la ditta V. s.a.s. fosse nelle condizioni, strutturali e organizzative, di eseguire le prestazioni e se la V. & c. s.a.s. fosse un soggetto effettivamente esistente, al di là di profili meramente formali, considerati dal giudice di appello, quale l’iscrizione alla Camera di commercio ovvero la esistenza delle fatture.

Non si tratta, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa della controricorrente, di procedere ad un ulteriore esame nel merito degli stessi elementi valutati dal giudice di appello, ma di una non sufficiente motivazione, non avendo la sentenza tenuto conto di fatti decisivi per il giudizio, secondo quanto sopra evidenziato, avendo fatto unicamente riferimento alla contestazione della non regolare tenuta della contabilità o all’equivoco comportamento fiscale del V..

In realtà, sul punto in esame il giudice di appello si è limitato a motivare sulla questione della effettiva esistenza delle operazioni svolte dalla Tecnotex di V. nonchè della esistenza della V. s.a.s. sulla base di profili meramente formali, senza pronunciarsi sui diversi elementi dedotti dall’Agenzia delle entrate, sopra indicati, decisivi ai fini del giudizio.

Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d) e L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 54, comma 2.

In particolare, la ricorrente lamenta che il giudice di appello ha erroneamente ritenuto che, a fronte di una regolare tenuta della contabilità aziendale, all’Ufficio finanziario sarebbe preclusa la possibilità di una ricostruzione induttiva del reddito, mentre, nella fattispecie, si era proceduto ad un accertamento analitico-induttivo, avendo proceduto ad una ricostruzione induttiva di singoli elementi attivi di cui risultava provata aliunde la mancanza di partite attive, risultate ingiustificatamente sottratte all’imposizione.

Con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio, avendo il giudice di appello erroneamente ritenuto che la società aveva regolarmente tenuto la contabilità e non era stata rinvenuta contabilità in nero, nonchè che non erano stati considerati tutti i 1400 articoli venduti. I motivi, che possono essere unitamente esaminati, sono infondati. Con riferimento al secondo motivo, va osservato, in primo luogo, che parte ricorrente censura la sentenza sia sotto il profilo della violazione di legge che, in via alternativa, della falsa applicazione di legge: si tratta, tuttavia, di due profili di censura diversi per presupposti, in quanto la prima postula che la pronuncia abbia applicato erroneamente una norma o una norma inesistente ovvero ha ad essa attribuito un significato e un contenuto non corretto, la seconda, invece, attiene alla non corretta sussunzione della fattispecie concreta all’ambito applicativo di una previsione normativa.

In entrambi i casi, il riferimento alla violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), non è corretto, posto che, da un lato, la ricorrente non indica quale sarebbe la difforme interpretazione della fattispecie astratta resa nella pronuncia e, dall’altro, non tiene conto che la sentenza impugnata ha chiaramente precisato che, nella fattispecie, non sussistevano ragioni per procedere all’accertamento induttivo, tenuto conto di una serie di molteplici elementi, quali: la regolarità della contabilità, il mancato ritrovamento di documentazione extracontabile, l’inesistenza di movimentazione finanziarie sospette o anomale o di lavoro prestato in nero, e, sulla base di questi elementi, ha ritenuto non corretto il procedimento applicato ai fini della ripresa di ricavi non dichiarati. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, peraltro, parte ricorrente si limita ad affermare che risultava provata aliunde la mancanza di partite attive risultate ingiustificatamente sottratte, ma, in difetto del principio di autosufficienza, non chiarisce in cosa concretamente tale profilo trovi fondamento e, soprattutto, sotto quale aspetto sia idoneo a demolire il percorso argomentativo della motivazione in esame.

Con riferimento, poi, al terzo motivo di ricorso, premesso quanto detto in relazione alla non legittimità del procedimento applicato, esaminato in relazione al secondo motivo di ricorso, va altresì detto che lo stesso non tiene conto della complessiva ratio decidendi della pronuncia che, dopo avere comunque contestato la ricostruzione induttiva operata, ha ritenuto che lo scostamento di appena il 2,1% rispetto all’ammontare dei ricavi dichiarati non fosse tale da giustificare la ripresa.

Questo punto della decisione del giudice di appello non è stato oggetto di specifica censura da parte della ricorrente, e, tuttavia, lo stesso costituisce il profilo centrale della valutazione compiuta nella sentenza, in quanto implica che, al di là della correttezza o meno della ricostruzione operata, in ogni caso le risultanze non erano tali da condurre a ritenere che, nella fattispecie, vi fosse stata una produzione di redditi non dichiarati.

Per quanto sopra esposto, va accolto il primo motivo di ricorso, con cassazione della sentenza e rinvio alla commissione tributaria regionale, in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese di lite del presente grado di giudizio.

Preme evidenziare, inoltre, che al caso di specie (attinente come si è detto ad accertamento di operazioni soggettivamente e oggettivamente inesistenti), ricorrendone le condizioni, va applicato d’ufficio, limitatamente all’accertamento delle imposte sui redditi, lo ius superveniens di cui al D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, commi 1 e 2, (convertito dalla L. 26 aprile 2012, n. 44) (cfr. Cass. n. 2064 del 2016), sicchè il giudice del rinvio dovrà procedere, nell’esaminare la questione di merito conseguente all’accoglimento del ricorso, anche al suddetto accertamento.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo e terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale delle Marche, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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