Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26424 del 17/10/2019

Cassazione civile sez. I, 17/10/2019, (ud. 12/07/2019, dep. 17/10/2019), n.26424

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24447/2018 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via Taranto, 90

presso lo studio dell’avvocato Luciano Natale Vinci e rappresentato

e difeso dall’avvocato Giuseppe Mariani giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., elettivamente

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 5 presso l’Avvocatura

Generale dello Stato ex legge;

– intimato –

avverso il decreto n. 887/2018 del Tribunale di Potenza, sezione

specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale

e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, pubblicato

il 27/06/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia

nella camera di consiglio del 12/07/2019.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.L., cittadino del (OMISSIS), di fede musulmana, ricorre in cassazione con quattro motivi avverso il decreto in epigrafe indicato con cui il Tribunale di Potenza, nel confermare la decisione della competente Commissione territoriale, ha rigettato le domande di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria dal primo proposte nella ritenuta insussistenza dei relativi presupposti di legge.

2. Il Ministero dell’Interno, intimato, ha irritualmente depositato una memoria da valere ai fini della discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente, originario del (OMISSIS) e di fede musulmana, ha dichiarato alla competente Commissione territoriale di aver lasco il Paese di origine a causa di contrasti con la matrigna; il padre aveva due mogli e tutti vivevano sotto uno stesso tetto ed alla morte del primo, mutate in peggio le condizioni economiche della famiglia, il richiedente non aveva potuto proseguire negli studi e con i suoi familiari faceva fatica a pagare il fitto, trovandosi a litigare spesso con la matrigna, anche se la madre prendeva le difese del figlio.

Proseguendo nel racconto, il richiedente ha esposto che nel 2016 la matrigna lo aveva fatto picchiare da alcune persone che, ferendolo al braccio sinistro, lo avevano minacciato di morte, ragione per la quale egli aveva deciso di espatriare, raggiungendo l’Italia ancora minorenne.

1.1. Con il primo motivo il ricorrente fa valere la violazione degli artt. 3,10,24,111 e 117 Cost., la lesione del diritto di difesa e la violazione dell’art. 6 Cedu e solleva dubbio di legittimità costituzionale della Legge di riforma 13 aprile 2017, n. 46.

L’eliminazione di un grado di giudizio, quello di appello, ad opera della L. 13 aprile 2017, n. 46, art. 6, comma 13, avrebbe determinato una lesione del diritto di difesa.

Inoltre l’accertamento sulla protezione internazionale, ricondotto nell’alveo del rito camerale di volontaria giurisdizione previsto dall’art. 737 c.p.c. – con adozione di un modello processuale sconosciuto al sistema italiano quanto alla composizione dei conflitti relativi a diritti soggettivi e fondamentali della persona -, sarebbe stato affidato ad un giudizio privo di regole predeterminate dal legislatore, che avrebbe visto la formazione della prova rimessa alla discrezionale valutazione del giudice, con conseguente lesione del principio del contraddittorio e del giusto processo.

Il contraddittorio sarebbe stato reso solo eventuale, e cartolare, non essendo prevista la comparizione della parte all’udienza che sarebbe stata esclusivamente disposta dal giudice, dopo aver scrutinato la videoregistrazione, in caso di chiarimenti, se ritenuti necessari, o in caso di non disponibilità della videoregistrazione.

E tanto là dove invece le dichiarazioni del richiedente asilo, si deduce nell’atto difensivo, sono il presupposto soggettivo per l’esame della credibilità intrinseca ed estrinseca e devono essere entrambe esaminate dall’autorità competente, sia amministrativa che giurisdizionale. Il sacrificio di un grado di giudizio in un accertamento di diritto a rilievo costituzionale sarebbe in contrasto con le affermazioni del giudice delle leggi (ord. 170/2009).

Il motivo è infondato e come tale è da rigettare.

Come condivisibilmente rilevato da Cass. n. 27700 del 2018, ripresa nelle sue affermazioni in diritto da Cass. n. 32319/2018, è infatti manifestamente infondata la dedotta questione di legittimità costituzionale dell’impugnata disposizione, secondo la quale il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile, con soppressione dell’impugnazione in appello, e tanto per le seguenti ragioni: perchè è necessario soddisfare esigenze di celere definizione del processo; perchè non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado di giudizio, che non opera già in una pluralità di ipotesi nel procedimento di cognizione ordinaria; perchè il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione.

Con l’ulteriore rilievo, come ancora affermato da questa Corte di cassazione – con sentenza a cui vuol qui darsi convinta adesione in continuità applicativa degli ivi affermati principi di diritto -, che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, poichè il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte (Cass. n. 17717 del 05/07/2018).

2. Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza con cui il Tribunale di Potenza avrebbe motivato il diniego della protezione facendo riferimento a disposizioni normative non calate nel caso concreto e con un uso della tecnica del “copia e incolla” per la quale sarebbe stata riportata una circostanza mai allegata (l’essersi reso il dichiarante irreperibile alle autorità), facendo altresì il Tribunale riferimento ad asserite dichiarazioni rese dal richiedente in corso di istruttoria e tanto là dove, invece, lo stesso non era mai stato ascoltato poichè si trovava in Francia.

Il motivo è inammissibile perchè generico e manifestamente infondato.

La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. SU 03/11/2016 n. 22232; in termini: Cass. n. 27112 del 25/10/2018).

Tanto si realizza là dove le motivazioni siano del tutto incongrue rispetto alle questioni prospettate e come tale incapaci di sostenere la decisione.

Ciò posto, la sentenza impugnata non si presta alla dedotta valutazione di nullità avendo con la stessa i giudici provveduto a scrutinare le concrete questioni portate al loro esame per le categorie della protezione internazionale e umanitaria.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge (art. 1 Convenzione di Ginevra del 1951; art. 25 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, Delibera 10 dicembre 1948; D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,7,14,16 e 17; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 15, comma 6; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1,; art. 10, Cost.; artt. 2 e 32 Cost.); omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio; mancato esame della richiesta di protezione umanitaria con violazione dell’art. 132 c.p.c.

Il Tribunale avrebbe ritenuto l’insussistenza di una situazione legittimante il riconoscimento dello status di rifugiato in ragione della natura personale della dedotta situazione ed escludendo in forza delle COI più accreditate sul (OMISSIS) che vi fosse nel Paese di provenienza un rischio di morte, tortura o altro trattamento inumano e degradante tale da giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria. Era stata esclusa anche la condizione di vulnerabilità del richiedente, legittimante il riconoscimento della protezione umanitaria, apprezzando l’allontanamento dal paese di origine determinato dal desiderio del richiedente di trovare migliori condizioni di vita e di lavoro.

I giudici di merito non avrebbero valutato la credibilità del narrato e quindi l’esistenza di ogni ragionevole sforzo compiuto dal narrante – sostenuto da allegazione di documentazione relativa alla situazione generale del paese – mancando di ogni approfondimento istruttorio di ufficio.

E tanto là dove, quanto alla situazione di violenza indiscriminata del paese di origine, sul sito “(OMISSIS)” del M.A.E. si segnalava particolare attenzione in punto di ordine pubblico e criminalità comune, e veniva definito come non scongiurato il rischio terrorismo, in quanto rischio di minaccia globale.

Non sarebbe stato scrutinato, in forza delle sentenze sui casi Elgafaji, n. 172 del 2009 e Diakitè, n. 285 del 2014, il suo diritto alla protezione sussidiaria. L’incertezza o il dubbio sulla gravità di una situazione oggettiva, allegata e parzialmente documentata dalla parte, doveva in ogni caso essere colmato attraverso l’esercizio del potere-dovere istruttorio ufficioso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8.

Il motivo è infondato e finanche inammissibile.

Il Tribunale ha apprezzato, con argomentazione che non si espone a censura in questa sede, il carattere personale del racconto e rispetto ai descritti avvenimenti i giudici di merito correttamente hanno escluso sia ragioni di persecuzione sia rischio di morte, tortura o altro trattamento degradante, integrante, per le lettere a) e b), la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. L’ulteriore condizione di violenza indiscriminata sui civili e di conflitto armato interno o internazionale è stata debitamente esclusa con richiamo a fonti internazionali (sito (OMISSIS)), dandosi conto degli esiti delle elezioni con la vittoria di B. e la fine della crisi politica del paese segnata dal precedente governo del dittatore J..

Come affermato da questa Corte di legittimità, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019). La correttezza dello svolto accertamento, che non si segnala per mancanza assoluta di motivazione e la decisività dell’omissione nei termini indicati, sottrae fondatezza al motivo.

La ritenuta mancata individualizzazione del rischio e l’estraneità della evidenza in fatto dedotta con situazioni di conflitto armato o di violenza generalizzata, richieste ad integrazione della protezione sussidiaria, esclude l’ammissibilità stessa del profilo del proposto motivo.

La contrapposta lettura, rispetto a quella osservata dal tribunale, degli esiti delle medesime fonti scrutinate nell’impugnata ordinanza (sito (OMISSIS) del M.A.E.) è anch’essa portatrice di una critica inammissibile.

Con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poichè in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, (Cass. 24/09/2018 n. 22478).

Gli oneri di collaborazione istruttoria, destinati a valere nella materia della protezione sussidiaria, restano invero subordinati nella loro attivazione, come da costante giurisprudenza di legittimità, dall’adempimento della parte dei correlati oneri di allegazione, profilo, quest’ultimo, rispetto al quale il ricorrente non fa valere nel presente giudizio i contenuti dell’atto di primo grado che avrebbero registrato l’omissione nell’impugnata pronunciata.

4. Con il quarto motivo si denuncia l’illegittimità del diniego della protezione umanitaria per violazione di legge ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Nella natura residuale della tutela, il tribunale avrebbe dovuto esaminare i diritti che più interessavano la sfera personale ed umanitaria e che avrebbero rischiato di essere compressi al ritorno nel paese di origine come quello alla salute o all’alimentazione (artt. 2 e 32 Cost.; art. 25 Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo) nel rispetto di un livello di vita adeguato per sè e la propria famiglia.

Il motivo è inammissibile perchè non autosufficiente; a fronte dell’accertamento operato dal tribunale il ricorrente non allega situazioni di vulnerabilità integrative della protezione umanitaria che prontamente dedotte dinanzi ai giudici di merito siano state da costoro omesse nella valutazione.

Come affermato da questa Corte di legittimità, la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente haòl’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 29/10/2018 n. 27336; Cass. 31/01/2019 n. 3016).

5. Il ricorso va in via conclusiva rigettato.

Nulla sulle spese nella mancanza di una rituale costituzione da parte dell’amministrazione intimata.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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