Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26420 del 19/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 19/10/2018, (ud. 04/06/2018, dep. 19/10/2018), n.26420

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosa Maria – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.I., elettivamente domiciliata in ROMA C.SO TRIESTE 61,

presso lo studio dell’avvocato SGOBBO TIZIANA, che la rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 85/2009 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LIVORNO, depositata il 19/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/06/2018 dal Consigliere Dott.ssa FASANO ANNA MARIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS UMBERTO, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato SGOBBO TIZIANA, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.I. impugnava una cartella di pagamento innanzi alla CTP di Livorno, emessa per imposta di Registro ed INVIM, sul presupposto di precedenti avvisi di accertamento e liquidazione, confermati da sentenze divenute definitive della CTR della Toscana. La pretesa fiscale riguardava l’imposta relativa a tre atti di compravendita stipulati negli anni 1996 e 1997 reclamata alla ricorrente in qualità di coobbligata al pagamento dell’imposta quale venditrice. La CTP di Livorno respingeva il ricorso in quanto l’iscrizione a ruolo era stata effettuata sulla base di sentenze passate in giudicato, ritenendo inammissibili i motivi aggiunti, atteso che parte ricorrente aveva violato il divieto di integrazione dei motivi del ricorso. La contribuente appellava la decisione innanzi alla CTR della Toscana che, con la sentenza in epigrafe indicata, rigettava il gravame, in quanto la cartella di pagamento era stata notificata nel rispetto del termine di prescrizione decennale secondo le disposizioni di cui al D.P.R. n. 131 del 1986. M.I. ricorre per cassazione, svolgendo quattro motivi. L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione proposta dall’Agenzia delle entrate con controricorso, in quanto notificato direttamente a mezzo di servizio postale, con raccomandata A/R, quindi, senza il tramite dell’Ufficiale giudiziario. Si argomenta che, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 2, “Al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le regole dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto”, con la conseguenza che la notificazione diretta a mezzo del servizio postale non è ammessa nel giudizio di legittimità, in quanto non prevista dal codice di procedura civile.

1.1. L’eccezione non è fondata per le considerazioni che seguono.

La L. n. 53 del 1994 introduce la possibilità per il difensore di procedere alla notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali, servendosi del servizio postale o con modalità telematica, ovvero anche provvedendovi di persona, nel caso in cui destinatario del procedimento notificatorio sia un altro difensore. La legge consente, pertanto, anche la notifica del ricorso per cassazione a mezzo posta, purchè sussistano alcuni necessari presupposti. Condizione essenziale per accedere alla notifica diretta è costituita dalla procura alle liti, a norma dell’art. 83 c.p.c. Altra condizione essenziale è costituita dall’autorizzazione del Consiglio dell’ordine nel cui albo è iscritto l’avvocato, la quale è rilasciata preventivamente, a condizione che il professionista non abbia procedimenti disciplinari pendenti e che non abbia riportato la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio professionale, o altra più grave sanzione. Per poter eseguire le notificazioni previste dalla legge in esame, il difensore deve munirsi di apposito registro cronologico (art. 8), il cui modello è stato stabilito con D.M. 27 maggio 1994. Quanto alla notificazione per mezzo del servizio postale, la legge in esame fa esplicito riferimento alla L. n. 890 del 1982 (cfr. art. 149 c.p.c.), sicchè ad essa si applicano le stesse modalità previste per la notificazione compiuta dall’ufficiale giudiziario per mezzo posta e gli adempimenti imposti al difensore sono gli stessi imposti all’ufficiale giudiziario. Il difensore, una volta predisposta l’apposita busta, e l’avviso di ricevimento, con le indicazioni concernenti il destinatario, con il numero di registro cronologico, con il proprio domicilio e la propria sottoscrizione, deve presentarla all’ufficiale postale con l’originale dell’atto da notificare.

L’originale dell’atto deve recare la relazione di notificazione redatta dal difensore, con l’espressa menzione dell’ufficio postale per mezzo del quale sia stata spedita la copia al destinatario in piego raccomandato con avviso di ricevimento, nonchè il timbro di vidimazione del detto ufficio postale.

1.2. Nella specie, non risulta dagli atti di causa che la notifica del ricorso eseguita a mezzo del servizio postale dallo stesso procuratore della ricorrente, sia stata autorizzata dal Consiglio dell’Ordine, con la conseguenza che il difensore non poteva avvalersi della facoltà concessagli dalla L. n. 53 del 1994 (Cass. n. 13922 del 2002).

Tuttavia, questa Corte, con specifico riferimento all’ipotesi di mancanza di autorizzazione preventiva alla notifica del ricorso, ha stabilito che: “La notificazione dell’atto introduttivo del giudizio compiuta personalmente dall’avvocato, in caso di violazione di uno qualsiasi dei presupposti stabiliti dalla L. 21 gennaio 1994, n. 53, è nulla e non inesistente, ma la nullità, non riguardando un vizio formale, bensì la stessa sussistenza della facoltà dell’avvocato di eseguire la notificazione in proprio, può essere sanata soltanto dalla tempestiva sostituzione dell’intimato, essendo a tal fine irrilevante l’avvenuta consegna dell’atto”. (Cass. n. 5743 del 2011).

Pertanto, la nullità della notifica, per il principio del raggiungimento dello scopo (ex art. 156 c.p.c.), è stata sanata dalla costituzione in giudizio dell’Agenzia delle entrate.

2. Prima delle esame delle censure va rilevata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e finanze atteso che: “In tema di contenzioso tributario, a seguito del trasferimento delle agenzie fiscali, da parte del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 3000, art. 57, comma 1, di tutti i “rapporti giuridici”, i “poteri” e le “competenze” facenti capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze, a partire dal primo gennaio 2001 (giorno di inizio di operatività delle Agenzie fiscali in forza del D.M. 28 dicembre 2000, art. 1), unico soggetto passivamente legittimato è l’Agenzia delle entrate, sicchè è inammissibile il ricorso per cassazione promosso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze” (Cass. n. 1550 del 2015).

3. Con il primo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, denunciando violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e n. 5, tenuto conto che applicando il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17 la notifica della cartella di pagamento sarebbe dovuta avvenire entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui l’accertamento era divenuto definitivo, nella fattispecie entro il 31 dicembre 2003, mentre era avvenuta in data 24 febbraio 2005, oltre il termine decadenziale di notifica.

4. Con il secondo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata denunciando violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e 5, atteso che l’argomentazione sostenuta dalla CTR non potrebbe ritenersi giuridicamente fondata atteso che, pur dovendosi ritenere l’inapplicabilità del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, l’imposta avrebbe dovuto essere richiesta nei termini fissati dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 2, lett. b).

5. Il primo ed il secondo motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente per connessione logica.

Le censure sono infondate.

La questione sottoposta all’esame della Corte, riguarda la decadenza dell’Ufficio dal potere impositivo in base ad un accertamento divenuto definitivo con sentenza passata in giudicato, e, quindi, la decorrenza del termine di prescrizione del relativo credito iscritto a ruolo.

Questa Corte ha chiarito, in tema di Imposta di registro ed INVIM, che: “Qualora la pretesa erariale si fondi su di una sentenza passata in giudicato, la relativa cartella esattoriale, avendo ad oggetto un credito definitivamente accertato, va emessa entro il termine decennale di prescrizione previsto dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 78, non trovando applicazione, nell’ipotesi in questione, il termine triennale di decadenza di cui all’art. 76 del medesimo D.P.R. che concerne, invece, l’esercizio del potere di imposizione” (Cass. n. 6617 del 2011), nè è applicabile il termine annuale di decadenza sancito dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, lett. c) (rilevante “pro tempore”), che attiene alle somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio divenuti definitivi per mancata impugnazione dell’atto impositivo che li contiene (Cass. n. 8380 del 2013). E’ stato, altresì, precisato che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, nel prevedere il termine triennale di decadenza dal passaggio in giudicato della sentenza, tende ad accellerare non l’attività di riscossione, ma quella ulteriore di determinazione dell’imposta ed ha, perciò, carattere residuale, concernendo la sola ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria debba procedere ad un ulteriore accertamento (Cass. n. 20153 del 2014; Cass. n. 13179 del 2014).

6. Con il terzo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, denunciando violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e n. 5, per quanto riguarda il mancato esame di un altro motivo aggiunto presentato in sede di ricorso innanzi alla CTP di Livorno, secondo cui la cartella impugnata non conterrebbe nè l’indicazione del rappresentante del concessionario, nè la firma meccanografica ai sensi della L. n. 212 del 2000.

6.1. Il motivo è inammissibile per carenza di autosufficienza, non essendo riportato in ricorso nè il contenuto dei motivi aggiunti, di cui sarebbe stato pretermesso l’esame, nè l’atto difensivo con cui sono stati proposti, nè è stato trascritto il contenuto della cartella censurata, restando precluso al giudice di legittimità l’esame della censura, nonchè la verifica della corrispondenza tra il contenuto del provvedimento impugnato e quanto asserito dal contribuente (Cass. n. 16010 del 2015).

7. Con il quarto motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, denunciando violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e n. 5, atteso che la CTR avrebbe omesso di considerare la necessità di trattare nel medesimo processo altri ricorsi concernenti l’impugnazione del medesimo atto tributario.

7.1. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, oltre che per genericità delle censure, non essendo comprensibile se si lamenti un difetto di integrità del contraddittorio o una omessa riunione dei ricorsi, dovendosi rilevare che in quest’ultimo caso non sono state esplicitate le ragioni dell’eventuale lesione del diritto di difesa (art. 24 Cost.), tenuto conto che la riunione dei giudizi (se non obbligatoria ai sensi dell’art. 335 c.p.c.), sul presupposto dell’unitarietà sostanziale e processuale della controversia (Cass. S.U., n. 18050 del 2010) rientra tra le valutazioni discrezionali del giudice del merito, pertanto, non può costituire un vizio della sentenza.

8. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso nei termini di cui in motivazione e ne dichiara l’inammissibilità nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze; condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite, liquidate in Euro 5000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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