Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26416 del 29/09/2021
Cassazione civile sez. VI, 29/09/2021, (ud. 20/05/2021, dep. 29/09/2021), n.26416
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – Presidente –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12136-2020 proposto da:
S.M.A.T., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA
CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,
rappresentata e difesa dall’avvocato MAESTRI ANDREA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende ope legis;
– resistente –
avverso il decreto n. cronol. 2279/2020 del TRIBUNALE di BOLOGNA,
depositato il 30/03/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 20/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. NAZZICONE
LOREDANA.
Fatto
RILEVATO
– che con decreto in data 30.3.2020 il Tribunale di Bologna ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla competente Commissione territoriale;
– che avverso tale pronuncia ricorre per cassazione il soccombente;
– che l’intimato Ministero dell’interno non ha svolto difese, costituendosi ai soli fini della discussione orale.
Diritto
CONSIDERATO
– che l’unico motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’ art. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3, e Cedu, 13 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2 e art. 19, comma 1, in quanto il tribunale non ha concesso la protezione umanitaria, sebbene egli abbia avuto rinnovato un contratto di lavoro ed abbia un alloggio idoneo, mentre il giudice non ha esposto una motivazione adeguata sulla situazione complessiva del paese di origine;
– che il tribunale ha ascoltato in udienza l’istante, ritenendo come le dichiarazioni del medesimo non possano ritenersi veritiere, sulla base di una serie di ampie argomentazioni al riguardo, e che esse neppure in astratto integrano i presupposti per la protezione internazionale, dato che non si allega il rischio di fatti di persecuzione D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 8, né il danno grave di cui alle lett. a) e b) di tale testo; né, del pari, sussistono in concreto le situazioni di cui alla lett. c), nella sua regione di provenienza, il Bangladesh, e che tale assenza di presupposti in relazione all’ultima fattispecie menzionata risulta da ampia documentazione, dal tribunale esaminata; che non vi sono i presupposti della protezione umanitaria, in quanto non risultano violati ivi i diritti umani fondamentali, quale statuto della dignità personale, avendo in loco egli la sua famiglia, né rilevando il transito in Libia, non essendo stati neppure dedotte particolari conseguente in forza di ciò; onde non vi è la concreta situazione di vulnerabilità cui è sottoposta la concessione della figura;
– che il motivo si palesa inammissibile;
– che – quanto alle principali forme di rifugio – il ricorso nulla osserva; al riguardo, il tribunale ha escluso, sulla base delle stesse allegazioni del richiedente, la sussistenza di ragioni tali da comportare – alla stregua della normativa sulla protezione internazionale – per il richiedente medesimo un pericolo di un grave pregiudizio alla persona, in caso di rientro in Patria, per la vicenda narrata, la quale, neppure è credibile, oltre a porsi al di fuori dai presupposti per l’applicazione della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 (cfr. Cass., 15 febbraio 2018, n. 3758);
– che tali rilievi, motivatamente operati dal giudice del merito, escludono in radice il riconoscimento dello status di rifugiato e la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b);
– che, con riguardo alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicché il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass., 28 settembre 2015, n. 19197; Cass., 28 giugno 2018, n. 17069): nel caso concreto, il giudice del merito ha accertato che, sulla base di notizie attinte da siti internazionali aggiornati (EASO-COI), sono assenti situazioni di violenza e di violazioni dei diritti umani nella zona di provenienza dell’istante;
– che, quanto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, secondo la disciplina previgente, applicabile ratione temporis (Cass., 19 febbraio 2019, n. 4890), la censura è inammissibile, risolvendosi per buona parte in una disamina teorica del regime giuridico di tale forma di protezione, e per il resto nel tentativo di ripetere un giudizio sul fatto, ampiamente esposto e motivato dal tribunale;
– che l’allegazione da parte del richiedente che in un paese di transito (nella specie la Libia) si consumi la violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione (Cass. 6 dicembre 2018, n. 31676; Cass. 6 febbraio 2018, n. 2861), come già affermato dal decreto impugnato;
– che non occorre provvedere sulle spese.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021