Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26412 del 07/12/2011

Cassazione civile sez. III, 07/12/2011, (ud. 10/11/2011, dep. 07/12/2011), n.26412

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 3416-2010 proposto da:

D.A.P. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE 142, presso lo studio

dell’avvocato DI CIOMMO FRANCESCO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRAFICANTE DONATO, giusta mandato a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ REALE MUTUA ASSICURAZIONI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 266/2008 della CORTE D’APPELLO di POTENZA del

2.12.08, depositata il 29/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/11/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RENATO

FINOCCHI GHERSI.

Letti gli atti depositati.

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 9 febbraio 2010 D.A. P. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 29 dicembre 2008 dalla Corte d’Appello di Potenza, confermativa della sentenza del Tribunale, che aveva rigettato la domanda volta ad ottenere la condanna della Società Reale Mutua Assicurazioni S.p.A. al pagamento di L. 153.400.000 quale indennità da infortunio dovuta in virtù di polizza stipulata tra le parti.

L’intimata non ha espletato attività difensiva.

2- I due motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366-bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 per omessa motivazione della sentenza.

Le argomentazioni a sostegno della censura attengono più al vizio di motivazione, non denunciato (la censura è stata formulata con esclusivo riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3), che alla violazione di legge.

Di ciò è palese conferma il quesito finale, che non postula l’enunciazione di un principio di diritto fondato sulle norme indicate, che sia, al tempo stesso, decisivo per il giudizio e di applicabilità generalizzata, ma chiede una verifica di altro genere, peraltro prescindendo dalla motivazione della sentenza impugnata e implicando esame delle risultanze processuali e apprezzamenti di fatto.

Il secondo motivo lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’omessa valutazione del giudicato derivante dalla sentenza penale, nonchè in relazione alla mancata indicazione degli elementi di fatto e di diritto atti ad individuare il soggetto operante sul cantiere teatro del sinistro.

La censura è inammissibile a causa del riferimento ad un documento (la sentenza penale), nei cui confronti non è stato rispettato il disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6. Infatti è orientamento costante (confronta, tra le altre, le recenti Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2008; Cass. Sez. 3 n. 22302 del 2008) che, in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità. In altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile. Inoltre le argomentazioni a sostegno implicano indagini di fatto e il momento finale di sintesi non è idoneo poichè non specifica per quali ragioni la motivazione della sentenza impugnata sarebbe, rispettivamente, omessa, insufficiente e contraddittoria.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti; Non sono state presentate conclusioni scritte nè memorie nè alcuna delle parti ha chiesto d’essere ascoltata in camera di consiglio.

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; nulla spese;

visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Nulla spese.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2011

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