Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26410 del 07/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 07/12/2011, (ud. 14/10/2011, dep. 07/12/2011), n.26410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 14469-2010 proposto da:

F.P.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE CARSO 23, presso lo studio dell’avvocato DAMIZIA MARIA

ROSARIA, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS) in

persona del Presidente e legale rappresentante pro-tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli

avvocati LANZETTA ELISABETTA, MASSIMILIANO MORELLI, giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4916/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

12.6.08, depositata il 19/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito per il ricorrente l’Avvocato Maria Rosaria Damizia che si

riporta ai motivi del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato Antonietta Coretti (per

delega avv. Elisabetta Lanzetta) che si riporta agli scritti.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MAURIZIO

VELARDI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La causa è stata chiamata alla odierna adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 c.p.c.:

“Con ricorso notificato il 19 maggio 2010 F.M.P., già dipendente dell’INPS in pensione dal primo luglio 1999, chiede, con due motivi, la cassazione della sentenza depositata il 19 maggio 2009, con la quale la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della decisione i primo grado, ha respinto tutte le domande originariamente da lei proposte nei confronti dell’ex datore di lavoro INPS, di rideterminazione della retribuzione annua utile ai fini del calcolo del suo trattamento di previdenza e di quiescenza, ricomprendendo nella stessa tutte le voci retributive di cui all’art. 5 regolamento del fondo integrativo, art. 28 C.C.N.L. 1998-2001, 19 contratto integrativo 1998-2001, in particolare inserendo il salario di professionalità.

I motivi riguardano:

– la violazione degli artt. 112, 334, 346, 434 e 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per non aver tenuto conto che l’INPS avrebbe impugnato la decisione di primo grado unicamente in ordine alla determinazione della buonuscita, per cui la decisione relativa al trattamento di previdenza avrebbe dovuto essere ritenuta passata in giudicato;

– la violazione degli artt. 5 e 34 del regolamento 18.3.1971 per il trattamento di previdenza e di quiescenza dei dipendenti INPS, della L. n. 70 del 1975, della L. n. 144 del 1999, art. 64, art. 2120 c.c., art. 28 C.C.N.L. dipendenti enti pubblici non economici 1998-2001 e 19 dell’integrativo del medesimo periodo, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Il procedimento, in quanto promosso con ricorso avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e antecedentemente alla data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69 è regolato dagli artt. 360 e segg. c.p.c. con le modifiche e integrazioni apportate dal D.Lgs. citato.

L’INPS si è difeso con controricorso.

Il ricorso va trattato in camera di consiglio per le ragioni si seguito esposte.

Il primo motivo è inammissibile, per difetto di autosufficienza, non avendo la ricorrente specificato gli esatti termini dell’impugnazione dell’INPS in relazione ai singoli capi della decisione del Tribunale e inoltre per la insufficienza dei quesiti ex art. 366-bis c.p.c., facendo solo generico riferimento alla non rispondenza della motivazione alle statuizioni impugnate, senza il necessario grado di specificazione del preteso errore interpretativo che darebbe luogo al vizio in procedendo denunziato.

Quanto al secondo motivo, si rileva che le sezioni unite di questa Corte, risolvendo un contrasto verificatosi all’interno della sezione lavoro, hanno escluso l’assimilazione del regime di computo della pensione integrativa e del trattamento di quiescenza e di fine rapporto sostenuto dalla ricorrente (Cass. S.U. 25 marzo 2010 n. 7154 e più di recente Cass. 28 giugno 2011 n. 14234).

In proposito, secondo tale arresto, in tema di base di calcolo della pensione integrativa dei dipendenti dell’INPS, ai sensi dell’art. 5 del Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza dell’ente, adottato con Delib. 12 giugno 1970 e successivamente modificato con Delib. 30 aprile 1982, ai fini della computabilità nella pensione integrativa già erogata dal fondo istituito dall’ente (e ancora transitoriamente prevista a favore dei soggetti già iscritti al fondo, nei limiti dettati dalla L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 64) è sufficiente che le voci retributive siano fisse e continuative, dovendosi escludere la necessità di una apposita deliberazione che ne disponga l’espressa inclusione. Non osta che l’elemento retributivo sia attribuito in relazione allo svolgimento di determinate funzioni o mansioni, anche se queste, e la relativa indennità, possano in futuro venire meno, mentre non può ritenersi fisso e continuativo un compenso la cui erogazione sia collegata ad eventi specifici di durata predeterminata oppure sia condizionata al raggiungimento di taluni risultati e quindi sia intrinsecamente incerto. (Fattispecie relativa all’indennità mensile L. n. 88 del 1989, ex art. 15, comma 2, e al salario di professionalità o assegno di garanzia retribuzione.

Diversamente, in tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del cd. parastato, la L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 13, di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto (rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 cod. civ.), non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un’indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all’autonomia regolamentare dei singoli enti solo l’eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio. Il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico-giuridica, sicchè deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari (nella specie, l’indennità di funzione L. n. 88 del 1989, ex art. 15, comma 2, il salario di professionalità o assegno di garanzia retribuzione e l’indennità particolari compiti di vigilanza per i dipendenti dell’INPS) e devono ritenersi abrogate o illegittime, e comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti come quello dell’Inps, prevedenti, ai fini del trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo.

La sentenza impugnata non si è adeguata a tale giurisprudenza, avendo escluso il carattere fisso e continuativo degli elementi retributivi dedotti dalla ricorrente sia ai fini della pensione integrativa che del trattamento di fine rapporto, per cui il ricorso se appare manifestamente infondato per ciò che riguarda le censure relative alla pronuncia su quest’ultimo trattamento, è invece manifestamente fondato sull’altro versante relativo alla pensione integrativa.

Tra gli elementi considerati dalle sezioni unite utili ai fini del computo della pensione integrativa rientrano infatti anche quelli richiesti dalla ricorrente, che nella domanda originariamente proposta”.

E’ seguita la rituale notifica della suddetta relazione, unitamente all’avviso della data della presente udienza in camera di consiglio.

Condividendo le considerazioni svolte nella relazione, il collegio dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso e accoglie, per quanto di ragione il secondo, cassando conseguentemente la sentenza impugnata, con rinvio, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie per quanto di ragione il secondo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il primo; cassa conseguentemente la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2011

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