Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26401 del 26/11/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 26401 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: MANCINO ROSSANA

SENTENZA

sul ricorso 23849-2010 proposto da:
SA.R0 COSTRUZIONI DI RONDINELLI & CO S.N.C. C.F.
00660730771, in persona del legale rappresentante pro
tempore, domiciliata in ROMA, VIA A. BROFFERIO 7,
presso lo studio dell’avvocato MURANO GIULIO,
I.

rappresentata e difesa dall’avvocato GULFO NICOLA,
2013

giusta delega in atti;
– ricorrente –

2863

contro

VIOLANTE GIUSEPPE;
– intimato –

Data pubblicazione: 26/11/2013

avverso la sentenza n. 1265/2009 della CORTE D’APPELLO
di POTENZA, depositata il 27/01/2010 r.g.n. 349/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/10/2013 dal Consigliere Dott. ROSSANA
MANCINO;

Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

r.g.n. 23849/2010 SA.RO.Costruzioni di Rondinelli & co. s.n.c. c/Violante Giuseppe
ud 10 ottobre 2013

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 2 gennaio 2010, la Corte d’Appello di Potenza respingeva il

Giuseppe per la condanna della predetta società al pagamento del risarcimento
del danno morale, per la somma complessiva di euro 17.267,00, in conseguenza
dell’infortunio sul lavoro verificatosi il 25.2.2002.
2. La Corte territoriale, per quanto qui rileva, sul motivo di gravame concernente la
mancanza di prova della responsabilità penale del datore di lavoro e
l’inutilizzabilità dei documenti prodotti tardivamente dal ricorrente, osservava
che:
il lavoratore aveva tempestivamente versato in atti, unitamente al ricorso
introduttivo, copia del decreto penale di condanna del 24.11.2003 e relativa
richiesta della Procura di Matera a carico di Rondinelli Vincenzo, legale
rappresentante della società, con l’annotazione dell’esecutività per mancata
opposizione in data 7.2.2004;
il decreto penale era sufficiente a fondare il giudizio di responsabilità civile
della società in base al rilievo secondo cui la condanna del datore di lavoro
per il reato di lesioni colpose in danno del dipendente aveva efficacia di
giudicato, ai sensi dell’art. 615 c.p.p., quanto all’accertamento della
sussistenza del fatto e della sua illiceità penale ed all’affermazione che
l’imputato l’aveva commesso;
a fronte dell’indicata autonoma valenza probatoria dell’imputazione per
violazione di specifiche norme di prevenzione, la documentazione
integrativa prodotta dal lavoratore infortunato (e cioè copia degli atti del
giudizio penale) risultava superflua per essere ormai incontestabile la
condotta violativa contestata al legale rappresentante e consacrata in una
pronuncia passata in giudicato, idonea a far stato nel giudizio civile;
l’accertata responsabilità penale del datore di lavoro, in dipendenza
dell’accertata sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del reato, soggettivi e
oggettivi, secondo la legge penale, aveva soddisfatto l’esigenza probatoria
richiesta per il risarcimento del danno ;
né vi era traccia, nella prova orale articolata dalla società, di un eventuale
comportamento abnorme del lavoratore nella causazione dell’evento
infortunistico, e la stessa consacrazione del fatto nell’imputazione penale

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Rossana Mancino est.

r.g.n. 23849/2010 SA.RO .Costruzioni di Rondinelli & co. s.n.c. c/Violante Giuseppe

gravame svolto dalla SA.RO .Costruzioni di Rondinelli & co. s.n.c. avverso la
sentenza impugnata che aveva accolto la domanda proposta da Violante

escludeva l’esistenza di una totale dissociazione tra comportamento del
lavoratore ed evento lesivo.
3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, SA.RO .Costruzioni di
Rondinelli & co. S.n.c. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due
motivi; l’intimato non ha resistito.

4. Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione di legge (artt.2087,
2059, 2043, 1218, 1362, 2697 c.c.; art.4 d.P.R. 547/1955 e art. 16 d.P.R.
164/1956; artt. 115, 116 c.p.c.) e vizio di motivazione su un punto decisivo della
controversia, la parte ricorrente si duole che il Giudice del gravame abbia
erroneamente fondato il giudizio di responsabilità civile del datore di lavoro solo
ed esclusivamente sul contenuto del decreto penale di condanna, ritenendo
l’imputazione ascritta idonea a dimostrare il nesso eziologico tra l’addebitata
inosservanza di legge e l’infortunio. Assume che il decreto penale di condanna
non esplica alcun effetto nel giudizio civile per il risarcimento del danno non
patrimoniale e che il giudice civile avrebbe dovuto istruire la causa al fme di
accertare tutti gli elementi costitutivi della presunta condotta illecita del datore.
Deduce che il lavoratore non avrebbe assolto l’onere, a suo carico, di fornire
valida prova del fatto costituente inadempimento dell’obbligo di sicurezza, né del
nesso eziologico tra inadempimento e danno subito, per avere tardivamente
versato in giudizio il decreto penale di condanna, con relativa documentazione a
corredo, e richiesto la prova orale. Si duole che la predetta produzione sia stata
inammissibilmente ammessa ed erroneamente ritenuta ritualmente acquisita con
il deposito del ricorso introduttivo, che non menzionava invece alcun mezzo
istruttorio, e del pari ritenuta essenziale, ai fini del decidere, dal giudice di prime
cure che nulla aveva statuito sulla dedotta tardività. Infme, reputa erronea la
ricostruzione dell’infortunio operata dal giudice del merito ed illogica in forza
della ricorrenza di un’eventuale situazione di caso fortuito ovvero di
responsabilità datoriale attenuata dal concorso di colpa del lavoratore
5. Con il secondo motivo, deducendo violazione di legge (artt.2721 c.c. e 244 e ss.
c.p.c.) ed insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia, si duole che la Corte di merito abbia ritenuto inammissibile la prova
orale, formulata in prime cure e reiterata nell’atto di gravame, tesa a dimostrare
l’esatto adempimento, da parte della società, degli obblighi legali di prevenzione
avverso gli infortuni.
6. Il primo mezzo d’impugnazione non è meritevole di accoglimento.
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Rossano Mancino est.
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Motivi della decisione

7. Rileva innanzitutto il Collegio, quanto al profilo della censura che investe il tema
dell’inutilizzabilità dei documenti asseritamente prodotti tardivamente dal
lavoratore, che la Corte territoriale, dato atto dell’allegazione unitamente al
ricorso introduttivo, ne ha rilevato la tempestività e tale statuizione non è stata
adeguatamente criticata dalla parte ricorrente limitatasi a dedurre la tardività della
produzione del decreto penale di condanna e l’omesso deposito contestualmente
al ricorso, senza svolgere argomenti per infirmare l’assunto dei Giudici del

8. Invero, oltre ad una generica deduzione, secondo la quale il lavoratore avrebbe
tardivamente, e solo in corso di causa, versato in giudizio il richiamato decreto
penale di condanna con la relativa documentazione, la parte ricorrente,
svolgendo la censura nei termini detti, non indica, a suffragio della tesi difensiva,
in violazione dell’art. 366, n.6 c.p.c., la sede processuale ove il predetto
documento sarebbe rinvenibile, non consentendo così comunque alla Corte di
legittimità il vaglio della censura e la verifica, ex actis, della deduzione.
9. Volgendo, invece, l’esame al nucleo centrale della censura svolta con il primo
mezzo, è indiscussa l’intangibilità delle statuizioni contenute nel decreto penale di
condanna divenuto irrevocabile, al pari di quelle contenute nella sentenza di
condanna, costantemente affermata da questa Corte di legittimità (v., ex multis,
Cass. pen. 7475/2008 e successive conformi e, più di recente, Cass. pen.
27114/2011, non massimata), ma nella vicenda in esame l’irretrattabilità del
decreto penale di condanna non opposto viene in rilievo per il diverso profilo
dell’efficacia extrapenale del giudicato penale così formatosi, efficacia sulla quale
la Corte territoriale ha, in parte, fondato il decisum.
lo. Occorre, allora, da subito premettere che l’efficacia vincolante del decreto penale

di condanna nel giudizio extrapenale è esclusa dall’articolo 460, quinto comma,
del codice di procedura penale vigente, applicabile ratione temporis, che prevede
espressamente che il decreto penale di condanna, anche se divenuto esecutivo,
non abbia efficacia di giudicato nel giudizio civile ed amministrativo.
Vero che l’art. 28 del codice di procedura penale previgente, approvato con regio
decreto 19 ottobre 1930, n. 1399, recava, invece, previsione di segno opposto,
risultando codificato il principio per cui il decreto penale esecutivo faceva stato
nel giudizio civile in ordine ai fatti materiali accertati in sede penale.
12 La Corte costituzionale, immediatamente adita sul presupposto della vigenza

della predetta disposizione anche dopo l’entrata in vigore del nuovo codice di
rito, ai sensi del combinato disposto degli artt. 258, 241 e 242 del decreto-legge n.
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gravame che ne hanno, per converso, affermato la contestualità.

271 del 1989, ritenne la questione di legittimità costituzionale non fondata
(sentenza n. 366 del 1990).
13. Il Giudice delle leggi, escludendo che, in quel giudizio di costituzionalità, potesse
venire invocato, come tertium comparationis, l’art. 460, quinto comma, del nuovo

14. Peraltro, richiamando il proprio precedente (sentenza n. 27 del 1966), il Giudice
delle leggi ribadì come “il decreto penale di condanna rimette all’imputato la
facoltà di scelta: accettare o meno la condanna; ed è evidente che l’accettazione
non solo elimina di per se stessa qualsiasi questione difensiva, ma dimostra che
l’imputato non ha motivo né interesse di chiedere che si proceda all’esperimento
del pubblico dibattimento. Il che si traduce molto spesso in un vantaggio per lo
stesso interessato” (così Corte cost. n. 27/1966 cit.).
15. Tanto premesso sull’applicabilità, nel tempo, delle diverse regole dell’efficacia
(nel codice previgente) e dell’inefficacia extrapenale (nel codice vigente) del
decreto penale di condanna, va ribadito, in linea con la costante giurisprudenza di
questa Corte di legittimità, che le eccezioni in tema di efficacia extrapenale del
giudicato penale, contemplate dal nuovo codice di procedura penale in deroga al
principio di separazione e autonomia tra giurisdizione civile e penale al quale si è
improntato il nostro ordinamento con la riforma del 1989, non sono suscettibili
di interpretazione estensiva o analogica.
16. Va rammentato, sul tema, l’arresto delle Sezioni unite della Corte che, con
sentenza n. 674 del 2010, hanno ritenuto “testualmente confermato …che ai fini
dell’efficacia del giudicato penale nei giudizi civili o amministrativi, il legislatore,
nel fare riferimento alla pronuncia della sentenza a seguito di dibattimento, ha
inteso escludere la rilevanza della sentenza pronunciata nel giudizio abbreviato,
mentre ha parificato quest’ultima, con disposizione espressa e a determinate
condizioni, solo ai fini del giudizio civile o amministrativo per le restituzioni o il
risarcimento, evidentemente in considerazione della corrispondenza dell’oggetto
della controversia civile nella sede penale e in quella civile o amministrativa,
corrispondenza che non si verifica invece nelle ipotesi di cui all’art. 654 c.p.p.”
(così, Cass., SU, n. 674 del 2010 e, con altro recente arresto, Cass., SU, n. 1768
del 2011).
17. Se la regola applicabile, nella specie, ratione temporis e in base al principio tempus
regit actum, è dunque l’inefficacia extrapenale del decreto penale di condanna
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codice di procedura penale, rimarcò che quest’ultima disposizione della nuova
disciplina del processo penale era sopravvenuta in un sistema profondamente
innovato, non invocabile per la difformità con la norma temporalmente
precedente, conservata nei suoi effetti solo in regime di diritto transitorio.

passato in giudicato, è sufficiente, tuttavia, seguire il dipanarsi dell’argomentare
della sentenza impugnata per avvedersi che, contrariamente all’assunto della parte
ricorrente che svolge essenzialmente la critica avverso la ritenuta efficacia
extrapenale, i Giudici del gravame non si sono limitati a fondare il decisum sulla

società: violazione dell’art. 16 del d.P.R. 164/67, per la specifica condotta
omissiva con riferimento all’adozione di adeguate impalcature o ponteggi o
idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad evitare pericoli di
caduta di persone (il lavoratore precipitava dall’alto per circa cinque metri,
lavorando, ad un’altezza superiore ai due metri, su una scala a mano).
18. La Corte territoriale ha, dunque, affermato l’idoneità, dal punto di vista
probatorio, della predetta imputazione penale, per violazione non già di un
generico dovere di protezione del lavoratore sibbene per l’inosservanza di
specifici obblighi di protezione, a dimostrare, nel giudizio civile, il nesso
eziologico tra l’addebitata inosservanza di legge e l’infortunio; ed ha altresì
rimarcato l’autonoma valenza probatoria dell’accertata violazione delle specifiche
norme prevenzionali, così ritenendo soddisfatta l’esigenza probatoria per il
preteso risarcimento del danno morale.
19. In altre parole il Giudice del gravame ha tratto elementi di giudizio dalla richiesta
di emissione del decreto penale di condanna e dal relativo provvedimento che
costituiscono comunque documenti sui quali il giudice può fondare il
convincimento, sia pure non vincolanti, al pari delle sentenze pronunciate in altri
giudizi o fra parti diverse che hanno, comunque, il valore non della cosa giudicata
ma di documenti dai quali attingere elementi di giudizio, sia pure non vincolanti.
20. A compendio della ritenuta soddisfatta esigenza probatoria, la Corte ha anche
correttamente ritenuto che, quand’anche nell’evento infortunistico vi fosse stato
un comportamento del lavoratore imprudente o sbagliato, ma non abnorme,
nondimeno sussisteva la responsabilità del datore di lavoro, garante anche della
correttezza dell’agire dei lavoratori, per essere allo stesso imposto anche di
esigere, dal prestatore di lavoro, il rispetto delle regole di cautela; e, per converso,
ha ritenuto non assolto, dal datore di lavoro, l’onere di provare il comportamento
abnorme del lavoratore esorbitante dalle ordinarie attribuzioni (profilo,
quest’ultimo, del quale si dirà nell’esame del secondo mezzo d’impugnazione).

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predicata, e non corretta, efficacia extrapenale del decreto penale di condanna,
ma hanno, nella specie, ritenuto soddisfatta l’esigenza probatoria richiesta per il
risarcimento del danno morale vagliando la condotta violativa delle norme di
prevenzione per gli infortuni sul lavoro, anche sulla base del tenore
dell’imputazione contestata nel giudizio penale al legale rappresentante della

21.

Del resto la Corte di merito, con statuizione non adeguatamente censurata in
questa sede di legittimità, ha pure aggiunto che non solo la ricostruzione del fatto
come consacrata nell’imputazione penale escludeva l’esistenza di una totale
dissociazione tra comportamento del lavoratore ed evento infortunistico, ma in
definitiva la mancanza o insufficienza delle cautele, pure oggetto di accertamento
in sede penale, portava ragionevolmente ad affermare che tali cautele, se adottate,

22

La statuizione impugnata, in tali passaggi argomentativi, si conforma, pertanto, al
riparto degli oneri probatori delineati in materia, nel senso che spetta al
lavoratore l’allegazione dell’omissione commessa dal datore di lavoro nel
predisporre le misure di sicurezza (suggerite dalla particolarità del lavoro,
dall’esperienza e dalla tecnica) necessarie ad evitare il danno, non essendo
sufficiente la generica deduzione della violazione di ogni ipotetica misura di
prevenzione, a pena di fare scadere una responsabilità per colpa in una
responsabilità oggettiva.

23. Nella specie, la deduzione del lavoratore si è fondata sulla violazione di specifiche
misure di prevenzione, come cristallizzata nell’imputazione penale, e ciò è in linea
con l’interpretazione data da questa Corte dell’art. 2087 cod. civ., nel senso che il
dovere di protezione del datore di lavoro non configura, ove non assolto,
un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di
lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da
norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento
(v. exp/urimis, da ultimo, Cass. nn. 2038 e 8855 del 2013).
24. La parte che subisce l’inadempimento, pur non dovendo dimostrare la colpa
dell’altra parte – dato che ai sensi dell’art. 1218 cod. civ. è il datore di lavoro che
deve provare che l’impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della
stessa o comunque il pregiudizio che colpisce la controparte derivano da causa a
lui non imputabile – è tuttavia soggetta all’onere di allegare e dimostrare
l’esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume essere
state violate, provando che l’asserito debitore ha posto in essere un
comportamento contrario o alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto
o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede
o alle misure che, nell’esercizio dell’impresa, debbono essere adottate per tutelare
l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
25.

Correttamente, pertanto, la Corte territoriale, accertata la violazione di specifici
obblighi di protezione come cristallizzata nell’imputazione elevata in sede penale,

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sarebbero valse a neutralizzare anche il rischio del comportamento imprudente
ed eziologicamente ricollegato alla verificazione dell’incidente.

ha ritenuto il lavoratore non tenuto a dare nessuna prova ed onerato il datore di
lavoro della prova del comportamento abnorme del lavoratore.
26. E veniamo all’esame del secondo motivo con il quale, deducendo violazione di
legge (artt. 2721 c.c. e 244 c.p.c.) e vizio di motivazione, il ricorrente critica la
negata ammissione della prova testimoniale, a suo dire rilevante a suffragio della
dimostrazione dell’esatto adempimento degli obblighi legali di prevenzione degli
infortuni.

28. Osserva il Collegio che, a fronte della statuizione della Corte del gravame nel
senso che “di tale comportamento abnorme del Violante non vi è traccia nei
capitoli di prova articolati dalla società in sede di richieste istruttorie”, le critiche
mosse dal ricorrente non possono essere valutate dalla Corte in applicazione del
principio di diritto, assorbente ogni altra questione, secondo il quale, quando sia
denunziato, con il ricorso per Cassazione, un vizio di motivazione della sentenza
sotto il profilo della mancata ammissione di un mezzo istruttorio, il ricorrente ha
l’onere, in virtù del principio di autosufficienza del ricorso, di indicare
specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova, la loro
rilevanza, i soggetti chiamati a rispondere e le ragioni per le quali essi sono
qualificati a testimoniare, onde consentire al giudice di legittimità il controllo sulla
decisività della prova testimoniale non ammessa sulla base delle deduzioni
contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini
integrative (ex multis, Cass.nn. 9748/2010, 5479/2006 e numerosi precedenti).
29. Tali indicazioni, nella fattispecie, non risultano fornite dal ricorrente, limitatosi a
trascrivere i capitoli di prova testimoniale formulati nel ricorso introduttivo e ad
indicare genericamente, fra i testi non ammessi, solo di taluni perché qualificati a
testimoniare, senza peraltro criticare espressamente la motivazione con la quale la
Corte territoriale ha sorretto la denegata prova orale non imperniata sul
comportamento abnorme del lavoratore esorbitante dalle ordinare attribuzioni e
del tutto estraneo al processo produttivo e alle mansioni attribuite.
30. Risulta peraltro inconferente la doglianza per violazione di legge non centrata
sulla ragione del decidere emergente dalla sentenza impugnata con riferimento
all’incombente istruttorio non ammesso.
31. In definitiva, il ricorso va rigettato. Non si provvede alla regolamentazione delle
spese per non aver la parte intimata svolto attività difensiva

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27. Il motivo è inammissibile.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso ; nulla spese.

Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2013.

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