Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 264 del 10/01/2017

Cassazione civile, sez. III, 10/01/2017, (ud. 18/11/2016, dep.10/01/2017),  n. 264

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22625-2014 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ATTILIO

REGOLO 12/D, presso lo studio dell’avvocato MARCO LANZILAO,

rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE CARAGLIANO giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente-

contro

RIUNIONE ADRIATICA DI SICURTA’ SPA, F.LLI MISTRETTA & C SNC,

V.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 665/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 29/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/11/2016 dal Consigliere Dott. DELL’UTRI MARCO;

udito l’Avvocato SALVATORE CARAGLIANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza definitiva resa in data 29/4/2014, la Corte d’appello di Catania, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato interamente soddisfatto il credito vantato da S.S. nei confronti di V.A., della F.LLi Mistretta e C. s.n.c. e della Lavoro & Sicurezza s.p.a. (di seguito incorporata nella Riunione Adriatica Sicurtà s.p.a.) per il risarcimento dei danni subiti dallo S. a seguito di un sinistro stradale.

A sostegno della decisione assunta, la corte territoriale – dato atto che, con sentenza non definitiva del 16 aprile 2012 (non impugnata), la stessa Corte aveva escluso l’efficacia vincolante della sentenza penale di assoluzione dello S. dal reato di omicidio colposo del terzo trasportato e della sentenza di patteggiamento di A.V. per il medesimo reato (non incidente sulle lesioni riportate dallo S.), e che, per quantificare il concorso di colpa tra la condotta stradale di costui (caratterizzata da velocità eccessiva senza indosso la cintura di sicurezza) e quella del V., era stata disposta la prosecuzione del giudizio – ha riconosciuto nella misura del 25% il concorso di colpa dello S., a norma dell’art. 1227 c.c., ritenendo integralmente satisfattivo il pagamento, da parte della RAS in suo favore, della somma di Euro 226.468,00 corrisposta in diverse rate, anche in corso di causa.

2. Avverso la sentenza definitiva d’appello, ha proposto ricorso per cassazione Sebastiano S. sulla base di cinque motivi d’impugnazione.

3. Nessuno degli intimati ha svolto difese in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1227, 2697 e 2054 c.c., degli artt. 530 e 542 c.p.p., art. 3 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale erroneamente affermato la pretesa formazione di un giudicato interno sulla sentenza non definitiva emessa nel corso del presente giudizio, con la quale la stessa corte d’appello avrebbe ritenuto non vincolante il giudicato penale di assoluzione dello S. dall’imputazione relativa all’omicidio colposo del passeggero trasportato sulla propria autovettura in occasione del sinistro in esame.

Al riguardo, osserva il ricorrente come, con l’indicata sentenza non definitiva, la corte d’appello si sarebbe unicamente limitata, in riforma della sentenza di primo grado, a rigettare l’eccezione di prescrizione del diritto dello S. al risarcimento dei danni sollevata dalla controparte, senza assumere alcuna definitiva determinazione in ordine alla corresponsabilità del medesimo S. nella causazione del sinistro.

Sulla base di tali premesse, del tutto illegittimamente la corte territoriale si sarebbe discostata dall’accertamento di fatto contenuto nella sentenza penale di assoluzione dello S., da ritenere viceversa vincolante in relazione al punto concernente l’assenza di alcuna responsabilità del ricorrente nella provocazione del fatto.

Sotto altro profilo, secondo lo S., la corte territoriale avrebbe comunque errato nell’ascrivere una percentuale di colpa a suo carico nella causazione del sinistro, essendosi la stessa basata su un omesso o quantomeno travisato esame degli elementi di prova e delle risultanze di causa.

4.1. Il motivo è inammissibile.

Osserva il collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, la formazione del giudicato interno è possibile, non soltanto sull’affermazione o sulla negazione del bene della vita oggetto della controversia, bensì anche su tutti gli accertamenti in fatto e le considerazioni in diritto logicamente preliminari e indispensabili ai fini della decisione; accertamenti e considerazioni che si presentino come una premessa indefettibile della pronunzia idonea a costituire un capo autonomo della sentenza, sì come destinata alla risoluzione di una questione controversa avente una propria individualità e autonomia e in quanto tale suscettibile di integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 20692 del 10/09/2013, Rv. 628077; Sez. 2, Sentenza n. 1815 del 08/02/2012, Rv. 621374).

Sulla base di tale premessa – tenuto conto della rilevabilità d’ufficio del giudicato interno verificatosi nel corso del giudizio osserva il collegio come, nel caso di specie, a seguito della mancata impugnazione della sentenza non definitiva emessa dalla corte territoriale in data 16 aprile 2012, si sia effettivamente formato il giudicato interno sulla circostanza del carattere non vincolante dell’assoluzione dello S. dall’imputazione di omicidio colposo (e del patteggiamento della pena per il medesimo reato da parte reato del V.) rispetto all’accertamento dell’eventuale concorso dei protagonisti del sinistro nella provocazione delle lesioni riportate dallo S..

Al riguardo, del tutto irrilevante deve ritenersi la circostanza che, nel dispositivo di detta sentenza non definitiva, la corte d’appello si sia limitata al rigetto dell’eccezione di prescrizione del credito dello S., assumendo piuttosto un carattere determinante l’avvenuto accertamento (con evidenza attestato nella motivazione) della ridetta insussistenza di alcuna efficacia vincolante del giudicato desumibile da quelle sentenze penali sull’oggetto dell’accertamento rimesso al giudice civile; rilievo che la corte territoriale ha espressamente correlato all’autonomia del giudizio civile rispetto a quello penale, “tanto più in un’ipotesi come quella in esame in cui l’accertamento di quest’ultimo ha riguardato non il reato di lesioni in danno dello S. bensì l’omicidio colposo del terzo trasportato” (cfr. fl. 7 della sentenza non definitiva in atti).

La censura in esame deve pertanto ritenersi inammissibile; e tanto, anche sotto il profilo del preteso travisamento o della contestata omissione degli elementi di prova e delle risultanze di causa sul punto concernente il concorso di colpa dello S. nella causazione del fatto dannoso oggetto di giudizio: circostanza in relazione alla quale risulta essersi ulteriormente esteso l’accertamento positivo compiuto nella medesima sentenza non definitiva (non impugnata), così come precisato nel successivo par. 5.1.

5. Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2697 e 2054 c.c., in relazione agli artt. 112 e 115 c.p.c. (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale erroneamente accertato la corresponsabilità dello S. nella causazione del sinistro in esame, nonostante le controparti non avessero mai processualmente contestato la circostanza relativa all’assenza di alcuna responsabilità del ricorrente al riguardo, e nonostante la Ras s.p.a. avesse espressamente riconosciuto, in chiave confessoria, l’esclusività della colpa del V., attraverso i diversi accrediti risarcitori operati nel tempo in favore dell’originario attore.

Nella specie, proprio l’omesso esame di tali circostanze e di tali elementi di prova avrebbe sostanziato il vizio denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

5.1. Il motivo è inammissibile.

Osserva il collegio come, con la sentenza non definitiva emessa in data 16 aprile 2012, la corte territoriale abbia espressamente accertato l’avvenuta partecipazione dello S. alla causazione del sinistro oggetto d’esame, evidenziando la necessità di procedere alla prosecuzione dell’istruttoria al solo fine “di quantificare l’esatta percentuale di responsabilità da attribuire al V. e quella per converso da imputare allo stesso danneggiato”, essendosi quest’ultimo reso responsabile di una condotta di guida rilevante ai fini del concorso ex art. 1227 c.c., siccome caratterizzata da “velocità eccessiva” nonchè “eventualmente”, dall’ulteriore profilo di colpa consistito nel “non aver indossato la cintura di sicurezza” (cfr. fl. 8 della sentenza non definitiva in atti).

La mancata impugnazione di tale autonomo capo di decisione della corte d’appello è dunque valsa a rendere non più contestabile l’accertamento del concorso di colpa dello S. nella causazione del fatto dannoso oggetto d’esame, con il rilievo della conseguente radicale inammissibilità della censura in esame.

6. Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 61, 696 e 696 – bis c.p.c., con riferimento agli artt. 3, 24 e 32 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale illegittimamente negato al ricorrente la possibilità, attraverso il rinnovo di una consulenza tecnica in sede d’appello, di fornire la prova dell’effettiva entità dei danni alla salute sofferti dal ricorrente per effetto del sinistro, con particolare riguardo all’epoca dell’insorgenza della dedotta patologia tumorale.

6.1. Il motivo è infondato, là dove non inammissibile.

Diversamente da quanto indicato dal ricorrente, la sentenza impugnata ha partitamente considerato le valutazioni operate (anche in sede d’appello) dal c.t.u. in relazione alle condizioni di salute dello S. con riguardo ai postumi cagionati dal sinistro.

Sotto altro profilo, la stessa corte ha respinto la domanda proposta in sede di appello dallo S. per il risarcimento dei postumi permanenti sofferti a causa di una malattia oncologica e di un’epatite causata dall’operazione, non avendo l’interessato nè dedotto, nè provato, la circostanza dell’effettiva sopravvenienza di dette patologie alla deliberazione della sentenza di primo grado.

Tale ultima ratio decidendi – immune da vizi logici e giuridici -, non essendo stata posta a oggetto dell’odierna impugnazione, esclude ogni ammissibilità della presente doglianza, siccome diretta a censura la pretesa illegittimità del diniego, attraverso il mancato rinnovo di una consulenza tecnica sul punto, della possibilità di fornire la prova dell’effettiva entità dei danni alla salute sofferti dal ricorrente per effetto del sinistro, con particolare riguardo all’epoca dell’insorgenza della dedotta patologia tumorale: circostanza all’evidenza pregiudicata dall’incontestato difetto di alcuna prova circa la sopravvenienza di dette patologie alla deliberazione della sentenza di primo grado.

7. Con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 3, 24 e 32 Cost. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè per omesso esame di un fatto decisivo controverso (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale erroneamente escluso la liquidazione del danno morale patito dal ricorrente, nonchè la liquidazione del danno derivante dalla riduzione della capacità lavorativa specifica dallo stesso, in contrasto con gli elementi di prova documentale e le complessive risultanze processuali acquisite, dai quali era in particolare emersa l’espressa rivendicazione del denunciato danno da invalidità permanente, con puntuale riferimento anche alla riduzione della capacità lavorativa specifica.

7.1. Il motivo è inammissibile.

Osserva il collegio come Corte territoriale abbia liquidato il danno non patrimoniale rivendicato dallo S. sulla base delle c.d. “tabelle di Milano” corrispondenti all’anno 2013, espressamente affermando come nel computo degli importi a titolo di danno non patrimoniale calcolati da dette tabelle fosse ricompreso il c.d. danno morale (nella specie determinato come una frazione del danno biologico).

Ciò posto, non avendo il ricorrente denunciato alcun eventuale iniquo scostamento, da parte della corte d’appello, dal ridetto valore tabellare, l’odierna censura deve ritenersi, sul punto, radicalmente inammissibile.

Parimenti inammissibili sono le doglianze concernenti la mancata liquidazione del danno derivante dalla riduzione della capacità lavorativa specifica, avendo la corte territoriale espressamente evidenziato come il ricorrente avesse trascurato di approfondire la circostanza relativa al decremento della propria capacità di produrre reddito, tanto sul piano dell’allegazione, quanto in termini probatori: motivazione di per sè pienamente congrua sul piano logico – giuridico, rispetto alla quale il ricorrente ha trascurato di indicare con precisione l’identità del fatto decisivo e controverso pretesamente omesso, avendo lo stesso al più dedotto il ricorso di eventuali vizi d’indole revocatoria, come tali non proponibili in questa sede di legittimità.

8. Con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente disposto la compensazione per un terzo delle spese di entrambi i gradi di giudizio, nonostante il riconoscimento della fondatezza dell’appello proposto per la riforma (nella specie puntualmente intervenuta) della sentenza di primo grado sulla prescrizione del diritto al risarcimento.

8.1. Il motivo è infondato.

Nel pronunciare sul punto concernente la regolazione delle spese del giudizio, la corte territoriale si è correttamente allineata al consolidato principio, affermato nella giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse, e il suddetto criterio non può essere frazionato secondo l’esito delle varie fasi del giudizio, dovendo essere riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte, poi soccombente, abbia conseguito un esito a lei favorevole.

Ciò posto, con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite; e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 406 del 11/01/2008, Rv. 601214).

9. L’insieme delle argomentazioni sin qui illustrate impone la pronuncia del rigetto del ricorso.

Non vi è luogo all’adozione di alcuna statuizione in ordine alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità, non avendo nessuno degli intimati svolto difese in questa sede.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2017

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