Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26399 del 20/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 20/12/2016, (ud. 19/10/2016, dep.20/12/2016),  n. 26399

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25344/2015 proposto da:

LAROMA SRL, nella persona della Sig.ra P.L., in qualità

di legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

BARTOLOMEO MALFATTO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 441/17/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di FIRENZE del 12/2/2015, depositata il 12/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ENRICO MANZON.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Atteso che ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata e ritualmente comunicata la seguente relazione:

“Con sentenza in data 12 febbraio 2015 la Commissione tributaria regionale della Toscana respingeva l’appello proposto da Laroma srl avverso la avverso la sentenza n. 97/1/2013 della Commissione tributaria provinciale di Arezzo che aveva rigettato il ricorso della medesima contro gli avvisi di accertamento IRPEF, IVA, IRAP 2006/2008.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la contribuente deducendo un motivo unico.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Il ricorso si palesa infondato.

Denuncia la ricorrente – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione/falsa applicazione di alcune disposizioni legislative, ma la censura si incentra essenzialmente su quella della L. n. 212 del 2000, art. 12. In particolare si duole della mancata redazione e comunicazione del processo verbale di constatazione all’esito della verifica fiscale e del mancato rispetto del relativo termine dilatorio previsto dal comma 7 di detta disposizione dello Statuto del contribuente. Ne deriva la violazione del principio del contraddittorio endoprocedimentale, quale espresso nella consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia della UE.

Come correttamente sottolineato nella sentenza impugnata e nel controricorso, vi è tuttavia pregiudizialmente da rilevare che detta normativa non è pertinente al caso di specie, nel quale nessuna verifica “presso i locali aziendali” è stata effettuata, ma soltanto una richiesta di chiarimenti verbalizzata, sicchè si è peraltro realizzata una forma di contraddittorio sulla materia del contendere (utilizzo di fatture per operazioni inesistenti).

Comunque, dirimentemente, questa Corte ha consolidato la propria giurisprudenza nel senso che “In materia di garanzie del contribuente, la violazione del diritto di difesa, ed in particolare del diritto di essere sentiti, determina l’invalidità del provvedimento conclusivo solo se in mancanza di tale irregolarità il procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso, come si desume dalle sentenze della Corte di giustizia del 3 luglio 2014 in C-129/13 e del 22 ottobre 2013 in C-276/12. (Principio applicato in relazione ad un accertamento induttivo originato dall’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, di cui è stata confermata la legittimità, nonostante l’omessa attivazione del contraddittorio preventivo, non avendo il ricorrente neppure prospettato un risultato diverso)” (Sez. 5, n. 16036 del 2015). Orbene, la contribuente non ha mai nemmeno allegato una ragione per la quale un contraddittorio formalizzato secondo le prescrizioni di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12 (quindi non come quello in concreto avvenuto) avrebbe potuto indirizzare diversamente l’attività di controllo dell’ Agenzia delle entrate, essendovi comunque stato un sufficiente intervallo di tempo per poter sviluppare le proprie difese prima dell’ emissione dell’avviso di accertamento.

Si ritiene pertanto la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 375 c.p.c., per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio e se ne propone il rigetto”.

Il Collegio condivide la relazione depositata.

Sulle questioni evidenziate nella memoria della ricorrente ex art. 378 c.p.c., osserva ulteriormente quanto segue.

In relazione alla necessarietà del contraddittorio endoprocedimentale preventivo va ribadito il principio che “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito” (Sez. U., Sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637604).

Nel caso di specie il problema si porrebbe quindi al più solo per quanto riguarda l’IVA, ma qui sovviene l’altro principio richiamato nella relazione ex art. 380 bis c.p.c., tratto da Sez. 5, n. 16036 del 2015.

In secondo luogo non è ravvisabile pertinenza alcuna dei principi del “giusto processo” ex art. 6, CEDU con la questione del contraddittorio in sede amministrativa, pacifico essendo che tale disposizione convenzionale non trova applicazione ai procedimenti non giurisdizionali (tra le molte, da ultimo v. Sez. 2, Sentenza n. 8210 del 22/04/2016).

Infine va comunque ribadito che nel caso di specie, non essendovi stato alcun “accesso, ispezione, verifica”, non può trovare applicazione la L. n. 212 del 2000, art. 12, ed in particolare la previsione di cui al comma 7 della disposizione medesima, mentre l’evocata previsione generale di cui alla L. n. 4 del 1929, art. 24, è comunque, di per sè, priva di sanzione alcuna per il caso dell’inosservanza.

Il ricorso va dunque rigettato e la ricorrente condannata alle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento oltre alle spese prenotate a debito delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 8.000, Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2016

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