Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26393 del 17/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 17/10/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 17/10/2019), n.26393

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2706-2018 proposto da:

COMUNE DI SAN CESARIO SUL PANARO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 37, presso lo

studio dell’avvocato MARCELLO FURITANO, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati CECILIA FURITANO, MARCO ZANASI;

– ricorrente –

contro

LAVORAZIONE E CONSERVAZIONE FRUTTA S. ADRIANO SOCIETA’ AGRICOLA

COOPERATIVA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VILLA SACCHETTI 9, presso

lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARINI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato RICCARDO VIANELLO;

– controricorrente –

avverso le sentenze n. 2035/2037/2039/2041/2/2017 della COMMISSIONE

TRIBUTARIA REGIONALE di BOLOGNA, depositate il 28/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 29/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

CASTORINA ROSARIA MARIA.

Fatto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue;

La CTR dell’Emilia Romagna con sentenze n. 2035, 2037, 2039 e 2041/2/2017, tutte depositate il 28.6.2017 non notificate, accoglieva gli appelli proposti da Lavorazione e Conservazione Frutta S. Adriano Società Agricola Cooperativa avverso le pronunce di primo grado della CTP di Modena che aveva rigettato il ricorso della contribuente avverso avvisi di accertamento ICI per gli anni dal 2006 al 2009 su alcuni fabbricati iscritti in catasto non appartenenti alle categorie A6 o D10 sul presupposto che le domande di variazione catastale presentate ai sensi del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 7, comma 2-bis producessero gli effetti previsti per il riconoscimento del requisito di ruralità.

Avverso le sentenza della CTR il Comune di San Cesario sul Panaro ha proposto unico ricorso per cassazione affidato a

due motivi, illustrati con memoria.

L’intimata resiste con controricorso.

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.L. n. 70 del 2011, art. 7 commi 2 bis, 2 ter, 2 quater convertito nella L. n. 106 del 2011, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 13, comma 14 bis e del D.L. 31 agosto 2013, n. 102, art. 2, comma 5 ter e del D.M. 26 luglio 2012, art. 1, comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto, erroneamente, i giudici d’appello avevano riconosciuto l’esenzione richiesta sebbene la domanda di variazione fosse annotata negli atti catastali solo con riferimento ai due fabbricati abitativi e non ai fabbricati strumentali.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 non avendo la CTR motivato sulla circostanza che i vecchi fabbricati erano stato soppressi e avevano originato nuovi fabbricati.

La censure sono suscettibili di trattazione unitaria.

Esse sono fondate.

Va in primo luogo, qui ribadito l’orientamento di legittimità in tema di IC dei fabbricati rurali secondo cui, per la dimostrazione della ruralità dei fabbricati, ai fini del trattamento esonerativo, è dirimente l’oggettiva classificazione catastale con attribuzione della relativa categoria (A/6 per le unità abitative, o D/10 per gli immobili strumentali); sicchè l’immobile che sia stato iscritto come “rurale”, in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9 (conv. in L. 26 febbraio 1994, n. 133) non è soggetto all’imposta, ai sensi del D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, art. 23, comma 1 bis (conv. in L. 27 febbraio 2009, n. 14) e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. a); – per converso, qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale (di non ruralità), è onere del contribuente, che invochi l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento per la ritenuta ruralità del fabbricato, restandovi altrimenti quest’ultimo assoggettato; allo stesso modo, il Comune deve impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’Ici. Si tratta di orientamento già fissato dalla sentenza SSUU n. 18565/09, secondo cui (in motivazione): “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’immobile che sia stato iscritto nel catasto fabbricati come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, conv. con L. n. 133 del 1994, e successive modificazioni, non è soggetto all’imposta ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 14 del 2009 e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a). L’attribuzione all’immobile di una diversa categoria catastale deve essere impugnata specificamente dal contribuente che pretenda la non soggezione all’imposta per la ritenuta ruralità del fabbricato, restando altrimenti quest’ultimo assoggettato ad ICI: allo stesso modo il Comune dovrà impugnare l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10 al fine di potere legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta”.

Tuttavia, vanno evidenziati, quale ius superveniens, i seguenti disposti che hanno incidenza per l’esito della presente controversia: 1) il D.L. n. 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla L. 12 luglio 2011, n. 106, che all’art. 7, comma 2 bis, ha previsto che, ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili, i contribuenti avessero la facoltà (esercitabile entro il 30 settembre 2011) di presentare all’allora Agenzia del Territorio una domanda di variazione della categoria catastale per l’attribuzione delle categoria A/6 e D/10, a seconda della destinazione, abitativa o strumentale dell’immobile, sulla base di un’autocertificazione attestante che l’immobile possedeva i requisiti di ruralità di cui al D.L. n. 557 del 1993, art. 9, convertito in L. n. 133 del 1994, e modificato dal D.L. n. 1 ottobre 2007, n. 159, art. 42 bis, convertito con modificazioni in L. 29 novembre 2007, n. 159, “in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”; 2) dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, in L. 22 dicembre 2011, n. 214, che ha quindi previsto, all’art. 13, comma 14 bis, che le domande di variazione di cui al predetto D.L. n. 70 del 2011 producessero “gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito della ruralità fermo restando il classamento originario degli immobili ad uso abitativo”; 3) il Ministero Economia e Finanze D.M. 26 luglio 2012, che ha stabilito, all’art. 1, che “Ai fabbricati rurali destinati ad abitazione ed ai fabbricati strumentali all’esercizio dell’attività agricola è attribuito il classamento, in base alle regole ordinarie, in una delle categorie catastali previste nel quadro generale di qualificazione. Ai fini dell’iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralità in capo ai fabbricati rurali di cui al comma 1, diversi da quelli censibili nella categoria D/10 (Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole), è apposta una specifica annotazione. Per il riconoscimento del requisito di ruralità, si applicano le disposizioni richiamate al D.L. n. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133 e art. 2 “Presentazione delle domande per il riconoscimento del requisito di rurali”; 4) dal D.L. n. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, in L. 28 ottobre 2013, n. 124, all’art. 2, comma 5 ter, che ha stabilito che “ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, comma 2, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 3, comma 14 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 7, comma 2 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 maggio 2011, n. 106, e l’inserimento dell’annotazione degli atti catastali, producono gli effetti previsti per il requisito di ruralità di cui al D.L. 30 dicembre, n. 557, art. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”.

Si tratta di disposizioni che rafforzano l’orientamento esegetico già adottato dalle SSUU nel 2009, in quanto disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione ICI, sulla base di una procedura ad hoc che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme. Secondo il dettato normativo, su menzionato, di cui al D.L. n. 102 del 2013, art. 2, comma 5 ter, convertito in L. n. 124 del 2013 le domande di variazione catastale, ai fini del riconoscimento del requisito di ruralità, producono effetto “a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda” (da ultimo Cass.21878/2018)

Nel caso di specie la CTR ha dato atto della mancata annotazione negli atti catastali, giustificando tale circostanza con il fatto che tale annotazione era tecnicamente impossibile, evidentemente a seguito della soppressione di alcuni degli immobili non più esistenti.

Tale interpretazione è errata.

La Corte Costituzionale, con l’Ordinanza n. 115/2015 ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 102 del 2013, art. 2, comma 5-ter sollevata dalla Commissione tributaria regionale della Toscana con due pronunce del 16 aprile 2014, nella parte in cui fa retroagire di cinque anni gli effetti delle domande per ottenere la ruralità catastale dei fabbricati ai fini ICI ed IMU sul presupposto che l’art. 13, comma 14-bis, della Manovra Salva Italia, stabilisce che “con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalità per l’inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito di ruralità, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo”. Ad avviso della Consulta, le ordinanze di rimessione non avrebbero esaminato la conseguente regolamentazione data al procedimento di annotazione della ruralità dal MEF D.M. 26 luglio 2012 (Individuazione delle modalità di inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito della ruralità) e, in particolare, l’art. 1, comma 2 e l’art. 4, (rubricato “Verifica delle domande e delle autocertificazioni”). Ed invero, con riferimento a tale aspetto, è stato evidenziato come i giudici tributari toscani abbiano omesso di considerare che il procedimento di “annotazione” della ruralità è stato regolamentato con Dm del 26 luglio 2012, che prevede tra l’altro una verifica, anche a campione, delle autocertificazioni allegate alle domande.

La legittimità della norma si fonda, dunque sulla annotazione della ruralità, nella specie non sussistente.

Il ricorso deve essere, conseguentemente accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla CTR dell’Emilia che si atterrà al principio di diritto sopra affermato e liquiderà le spese anche del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR dell’Emilia anche per le spese anche del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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