Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26391 del 07/12/2011

Cassazione civile sez. trib., 07/12/2011, (ud. 27/10/2011, dep. 07/12/2011), n.26391

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.M., + ALTRI OMESSI

rappresentati e difesi dall’avv.

Natola Giuseppe, presso il quale sono elettivamente domiciliati in

Rana in via Claudio Monteverdi n. 16;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato presso la

quale è domiciliata in Roma in via dei Portoghesi n. 12;

– ccntroricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Calabria n. 67/08/07, depositata il 31 maggio 2007.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27 ottobre 2011 dal Relatore Cons. Antonio Greco.

Fatto

LA CORTE

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

” C.M. e altri propongono ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria che, accogliendo tre appelli, riuniti, dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Crotone, ha negato ai contribuenti il rimborso della ritenuta IRPEF operata, nella misura del 20%, dal Comune di Crotone sulle soma percepite negli anni 1996 e 1997 a titolo di indennità di espropriazione di terreni, aventi titolo in procedimenti ablativi conclusisi tra il 1976 e 1980.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Il ricorso contiene due motivi, che rispondono ai requisiti fissati dall’art. 366 bis cod. proc. civ..

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione della L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 5 e segg., per essere stata ritenuta applicabile la ritenuta su indennità di espropriazione liquidate in periodi successivi al triennio 31 dicembre 1988 – 31 dicembre 1991, ma in forza di provvedimenti adottati anteriormente;

con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 81 e 82 del t.u.i.r. del 1986, si dolgono che la ritenuta sia stata considerata applicabile sull’intera indennità di esproprio piuttosto che sulla plusvalenza costituita dalla differenza fra le somme a tale titolo percepite ed il valore del terreno alla data in cui lo stesso è divenuto suscettibile di utilizzazione edificatoria.

Questa Corte ha affermato che “in tema di imposte sui redditi e con riguardo al regime fiscale delle plusvalenze derivanti dalla percezione di somme a seguito di procedimenti espropriativi, dettato dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11 è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., del canna settimo di detto art. 11, nella parte in cui prevede che la ritenuta del 20 per cento si applichi sull’intera somma percepita e non sulla sola plusvalenza, atteso che la norma stessa attribuisce al contribuente la facoltà di optare, in sede di dichiarazione dei redditi, per la tassazione ordinaria, in base alla quale l’ammontare dell’imposta dovuta è determinato tenendo conto della sola plusvalenza, unitamente alle altre componenti reddituali: cfr. Corte cost., ord. n. 395 del 2002” (Cass. n. 2490 del 2005).

Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui “in tema di imposte dirette sui redditi, ai sensi della L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11 ogni pagamento che realizzi una plusvalenza, conseguito, dopo la sua entrata in vigore, in dipendenza di procedimenti espropriativi, è assoggettato a tassazione, ancorchè il decreto di esproprio sia intervenuto in epoca anteriore al primo gennaio 1989, in quanto, per un verso, la disciplina transitoria di cui al nono cortina del citato art. 11 – che consente, con una parziale retroattività, la tassazione di plusvalenze percepite prima, dell’entrata in vigore della legge, purchè nel triennio successivo al 31 dicembre 1988 siano intervenuti sia il titolo, fonte della plusvalenza, sia la percezione della satina – non si riferisce anche alle riscossioni di plusvalenze successive all’entrata in vigore della legge, e, per altro verso, il comma 1, lett. f) (che allarga la previsione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81, comma 1, lett. b) assoggettando ad imposta, come redditi diversi, le plusvalenze realizzate a seguito di cessione a titolo oneroso di terreni edificabili), e quinto (che equipara l’espropriazione volontaria a quelle a titolo oneroso) dello stesso art. 11 dispongono per l’avvenire e rendono imponibili anche i redditi realizzati e percepiti in data successiva all’entrata in vigore della legge, indipendentemente dalla data degli atti ablativi che ne abbiano determinato la percezione. Ne tale disciplina confligge con l’art. 42 Cost. (con riferimento all’art. 53 Cost.) in ragione di un preteso effetto doppiamente espropriativo della tassazione dell’indennità determinata secondo la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis in misura sensibilmente inferiore al valore di mercato, occorrendo distinguere gli aspetti fiscali da quelli sostanziali – indennitari, con rigorosa delimitazione dei rispettivi ambiti di riferimento, nel senso che la questione circa la congruità dell’indennizzo è estranea all’area di operatività dell’art. 53 Cost. e, all’inverso, quando sia censurata una misura fiscale alla stregua di provvedimento ablatorio, la denuncia di incostituzionalità è disattesa ove sia rinvenibile una giustificazione economica alla specifica inposizione, indipendentemente dall’ incidenza sul patrimonio del soggetto passivo, purchè sussista il collegamento oggettivo del tributo ad un concreto presupposto inpositivo” (Cass. n. 12706 del 2004, n. 10218 del 2003, n. 1228 del 2007).

In conclusione, si ritiene che, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, e art. 380-bis cod. proc. civ., il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio in quanto manifestamente infondato”;

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti costituite;

che non sono state depositate conclusioni scritte nè memorie;

considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e pertanto, ribaditi i principi di diritto sopra enunciati, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 5-200, ivi compresi Euro 100 per spese vive.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2011

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