Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2639 del 05/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 2639 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: TRICOMI IRENE

SENTENZA
sul ricorso 26030-2010 proposto da:
ZANETTIN

MAURIZIO

C.F.

ZNTMRZ65D09B006E,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AGRI l, presso
lo studio dell’avvocato NAPPI PASQUALE, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

U013
3648

TRENTINO

TRASPORTI

ESERCIZIO

S.P.A.

P.I.

018007370224, in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
L. G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato

Data pubblicazione: 05/02/2014

MARESCA ARTURO,

che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato VALCANOVER FILIPPO, giusta
delega in atti;

controri corrente

avverso la sentenza n. 72/2010 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/12/2013 dal Consigliere Dott. IRENE
TRICOMI;
udito l’Avvocato GIANNI’ GAETANO per delega MARESCA
ARTURO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

di TRENTO, depositata il 18/08/2010 R.G.N. 94/2009;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’Appello di Trento, con la sentenza n. 72 del 2010, rigettava
l’impugnazione proposta da Zanettin Maurizio nei confronti della società Trentino
Trasporti esercizio spa avverso la sentenza n. 214/09 emessa dal Tribunale di Trento.
2. Zanettin Maurizio aveva adito il Tribunale chiedendo che venisse accertata la
nullità dei contratti a tempo determinato in data 9 dicembre 2003 e 9 aprile 2004, stipulati
con la suddetta società, per illegittima apposizione del termine e per l’effetto chiedeva che
si dichiarasse l’automatica trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo
indeterminato a far data dal 9 dicembre 2003, con conseguente diritto a percepire il premio
di risultato previsto dall’accordo 21 gennaio 2004 tra Trentino Trasporti spa e le 00.SS.
per il “personale ex Atesina” già assunto alla data del 21 gennaio 2004 e per l’effetto
condannare la resistente società a corrispondere le somme a tale titolo dovute.
3. Il Tribunale respingeva le domande.
4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre Zanettin
Maurizio, prospettando due motivi di ricorso.
5. Resiste con controricorso la società Trentino Trasporti Esercizio spa.
6. In prossimità dell’udienza il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza per la
violazione dell’art. 112 cpc (art. 360, comma 1, n. 4).
Assume il ricorrente che la Corte d’Appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla
doglianza avente Ad oggetto l’illegittimità dell’apposizione del termine al contratto di
lavoro, in presenza di ragioni sostitutive di carattere non temporaneo, affermando che su
tale questione non era necessario prendere posizione. Espone lo Zanettin che, come si
rileva dalla sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, emergeva che con
l’entrata in vigore del d.lgs n. 368 del 2001 e l’abrogazione della legge n. 230 del 1962,
non si determinava il venir meno del requisito legittimante l’apposizione del termine
costituito dalla sostituzione di lavoratori con diritto alla conservazione del posto di lavoro.
2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata violazione e falsa applicazione di
norme di diritto per violazione dell’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001 (art. 360, n. 3, cpc).
Deduce lo Zanettin che la società datrice di lavoro aveva posto a fondamento
dell’apposizione del termine “ragioni di carattere tecnico, organizzativo e sostitutivo…”,
dichiarando che esso ricorrente doveva sostituire un dipendente, il quale avrebbe lasciato
il servizio a fine anno 2003. Atteso che il lavoratore da sostituire sarebbe andato in
pensione alla fine dell’anno 2003, per le ragioni già esposte nell’illustrare il primo motivo
di ricorso, l’apposizione del termine si palesava illegittima.
L’apposizione del termine sarebbe illegittima, per violazione dell’art. l , comma 2,
del digs 368 del 2001, anche sotto altro profilo.
Ed intatti, la società nel corso del giudizio di primo grado aveva ammesso che
l’assunzione a termine avveniva non per la sostituzione del lavoratore prossimo al
collocamento a riposo, ma di altro dipendente, con ciò contravvenendo all’indicazione
specifica dei motivi posti a fondamento dell’apposizione del termine. Ciò, atteso che, come
si rilevava dalla già citata sentenza del Giudice delle Leggi n. 214 del 2009, attraverso la
specificazione delle ragioni giustificatrici dell’apposizione del termine si intendeva
garantire un livello di tutela adeguato e non inferiore a quello assicurato dalla legge n. 230
del 1962, senza con ciò incorrere nella cd. clausola di non regresso, contenuta nella
direttiva comunitaria n. 1999/70/CE, di cui il d.lgs. n. 368 del 2001 costituisce attuazione.
In tal senso richiamava anche alcune pronunce di questa Corte (Cass. n. 100033 del 2010,
n. 2279 del 2010).
Quanto statuito dalla Corte d’Appello, e cioè che l’espressione sintetica adottata
nel contratto per indicare le ragioni organizzative sottese all’apposizione del termine per
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l’assugziesie dello Zanettin per la residenza di Lento, nel trascurare i passaggi attraverso
ì quali, per effetto dei concorsi interni indetti per la copertura del posto lasciato vacante dal
lavoratore andato in pensione, si veniva a liberare la residenza di Trento poi assegnata allo
Zanettin, sarebbe idonea ad ottemperare all’onere di specificazione, contrasterebbe con
quanto sancito dal citato art.1, comma 2.
3. I due motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro
connessione. Gli stessi non sono fondati e devono essere rigettati.
4. La fattispecie in esame ricade sotto la disciplina dell’art. 1 del d.lgs. n. 368 del
2001. Tale disciplina ha sostituito il precedente assetto normativo, fondato prima su un
elenco tassativo e tipico di ipotesi autorizzative, ai sensi della legge n. 230 del 1962, e
successivamente sulla “delega” alla contrattazione collettiva, ai sensi della L. n. 56 del
1987, art. 23
Il citato art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, nel testo applicabile ratione temporis, al
comma 1 prevede: “È consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di
lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o
sostitutivo”, e al comma 2 prevede “La apposizione del termine è priva di effetto se non
risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di
cui al comma
Le questioni poste con i motivi di ricorso vertono, da un lato, sull’esigenza o
meno, ai fini della legittimità del termine, che il lavoratore sostituito abbia diritto alla
conservazione del posto di lavoro; dall’altro sull’adeguatezza o meno, rispetto alla
specificazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo,
della causale indicata, nei contratti a termine in questione “sostituirà infatti l’agente
Lazzeri Giovanni titolare della residenza di Trento che lascerà il servizio a fine anno
2003″.
4.1. Quanto al primo profilo, occorre rilevare che, come si evince dalla
giurisprudenza di questa Corte (Cass., n. 1576, n. 1577 del 2010), enunciata tenendo conto
della sentenza n. 214 del 2009 della Corte costituzionale, il diritto alla conservazione del
posto di lavoro da parte del lavoratore sostituito non costituisce, ai sensi del d.lgs. n. 368
del 2001, ex sé requisito necessario ai fini della legittimità dell’apposizione del termine al
contratto di lavoro, ma può venire in rilievo quale elemento di specificazione delle ragioni
di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui all’art. 1, comma 2, del
d.lgs n. 368 del 2001.
4.2. Ed infatti, l’apposizione del termine per -ragioni sostitutive” è legittima se
l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad
assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di
elementi ulteriori (quali, l’ambito territoriale i riferimenti, il luogo della prestazione
lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione
del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire,
ancorché non identificati nominativamente, ferma restando in ogni caso la verificabilità
circa la sussistenza effettiva del presupposto di legittimità prospettato (citata sentenza n.
1576 del 2010).
4.3. Così, in tema di lavoro a tempo determinato, il requisito della specificità delle
ragioni di carattere sostitutivo – di cui all’art. 1 del d.lgs. 368 del 2001 – non deve essere
riferito, in una situazione aziendale complessa, all’indicazione delle generalità del singolo
lavoratore da sostituire, ma può ritenersi soddisfatto, con la verifica della corrispondenza
quantitativa tra il numero dei lavoratori assunti con contratto a termine per lo svolgimento
di una data funzione aziendale e le scoperture che per quella stessa funzione si sono
realizzate per il periodo dell’assunzione (Cass., sentenza n. 8647 del 2012)

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Non è, dunque, ravvisabile il vizio di omessa pronuncia, atteso che l’esame di detta
censura è ricompresa nella statuizione della Corte d’Appello relativa alla specificità della
causale.
4.4. Quanto al secondo profilo, è opportuno ricordare, come ritenuto da questa
Corte con le sentenze n. 2279 del 2010 (richiamata nella sentenza n. 10033 del 2010,
citata dal ricorrente) e n. 1931 del 2011, alle quali si intende dare continuità, che con
l’espressione sopra riprodotta, di chiaro significato già alla stregua delle parole usate, il
legislatore ha inteso stabilire un vero e proprio onere di specificazione delle ragioni
oggettive del termine finale, perseguendo la finalità di assicurare la trasparenza e la
veridicità di tali ragioni nonché l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto (così
Corte costituzionale sentenza n. 214 del 2009).
Il decreto legislativo n. 368 del 2001, abbandonando il precedente sistema di rigida
tipizzazione delle causali che consentono l’apposizione di un termine finale al rapporto di
lavoro (in parte già oggetto di ripensamento da parte del legislatore precedente), in favore
di un sistema ancorato alla indicazione di clausole generali (ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo), cui ricondurre le singole situazioni legittimanti
come individuate nel contratto, si è posto il problema, nel quadro disciplinare tuttora
caratterizzato dal principio di origine comunitaria del contratto di lavoro a tempo
determinato, del possibile abuso insito nell’adozione di una tale tecnica.
Per evitare siffatto rischio di un uso indiscriminato dell’istituto, il legislatore ha
imposto la trasparenza, la riconoscibilità e la verificabilità della causale assunta a
giustificazione del termine, già a partire dal momento della stipulazione del contratto di
lavoro, attraverso la previsione dell’onere di specificazione, vale a dire di una indicazione
sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia
quanto al contento che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e più in generale
circostanziale. In altri termini, per le finalità indicate, tali ragioni giustificatrici,
contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, devono essere sufficientemente
particolareggiate, in maniera da rendere possibile la conoscenza dell’effettiva portata delle
stesse e quindi il controllo di effettività delle stesse; che questo debba ritenersi il
significato del termine “specificate” usato dall’art. 1, 2 comma del decreto legislativo,
risulta del resto confermato dalla interpretazione della relativa disciplina anche alla luce
della direttiva comunitaria a cui il decreto medesimo da attuazione.
stato chiarito dalla Corte di giustizia CE (cfr., in particolare sent. 23 aprile 2009
nei procc. riuniti da C – 378/07 a C – 380/07, Kiziaki e altri nonché seni. 22 novembre
2005, C – 144/04, Mangold) che l’accordo quadro trasfuso nella direttiva 1999/70/CE
contiene nel preambolo e nel testo, sia norme riguardanti ogni tipo di contratto a termine,
sia norme riferibili esclusivamente al fenomeno della reiterazione di tale tipo di contratto e,
quindi, ai lavoratori dei contratti a termine ed. successivi; “risulta infatti chiaramente sia
dall’obiettivo perseguito dalla direttiva 1999/70, sia dall’accordo quadro e dalla
formulazione delle pertinenti disposizioni di esso, che … l’ambito disciplinato da tale
accordo non è limitato ai soli lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato
successivi, ma che, al contrario, si estende a tutti i lavoratori che forniscono prestazioni
retribuite nell’ambito di un determinato rapporto di lavoro che li vincola ai rispettivi datori
di lavoro, indipendentemente dal numero di contratti a tempo determinato stipulati da tali
lavoratori” (punto 116 della sentenza Kiziaki).
In particolare, nella prima categoria rientra a pieno titolo la clausola 8, n. 3
dell’accordo, alla stregua della quale “la applicazione” (della direttiva) “non costituisce un
motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito
coperto dall’accordo”. Tale clausola, cd. di non regresso, è stata esplicitamente ritenuta
dalla Corte di giustizia come riferita ad ogni aspetto della disciplina nazionale del contratto
a termine e quindi anche a quella del primo o unico contratto a tempo determinato. Ed
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infatti: “la verifica dell’esistenza di una reformatio in pejus ai sensi della clausola 8 n. 3
dell’accordo quadro deve ritenersi in rapporto all’insieme delle disposizioni di diritto
interno di uno Stato membro relative alla tutela dei lavoratori in materia di contratti di
lavoro a tempo determinato” (punto 120 della medesima sentenza); come è stato
recentemente rilevato in dottrina, in tal modo la clausola di non regresso persegue lo scopo,
in generale, di impedire arretramenti ingiustificati della tutela nella materia considerata,
nella ricerca di un difficile equilibrio tra esigenze di modernizzazione dei sistemi sociali
nazionali, flessibilità del rapporto per i datori e sicurezza per i lavoratori; a tanto consegue
che una interpretazione del termine “specificate” che non consentisse, nella piena
trasparenza, quel controllo di effettività, assicurato, seppur in maniera diversa, dalla
disciplina previgente, risulterebbe in contrasto con la clausola di non regresso di cui alla
clausola 8 n. 3 dell’accordo quadro recepito dalla direttiva, in quanto rappresenterebbe un
ingiustificato arretramento in rapporto al precedente livello generale di tutela applicabile
nello Stato Italiano e finirebbe altresì per configurare un eccesso di delega da parte del
governo rispetto a quanto stabilito dalla legge 29 dicembre 2000, n. 422, che a questo
attribuiva unicamente il potere di attuare la direttiva 1999/70/CE, con la possibilità di
apportare nei settori interessati dalla normativa da attuare unicamente modifiche o
integrazioni necessarie ad evitare disarmonie tra le norme introdotte e quelle già vigenti.
Va, peraltro, affermato che siffatta specificazione delle ragioni giustificatrici del termine
può risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso per relationem in altri
testi scritti accessibili alle parti, in particolare nel caso in cui, data la complessità e la
articolazione del fatto organizzativo, tecnico o produttivo che è alla base della esigenza di
assunzioni a termine, questo risulti analizzato in documenti specificatamente ad esso
dedicati per ragioni di gestione consapevole e/o concordata con i rappresentanti del
personale.
Nel caso in esame appare adeguatamente motivata, in relazione ai principi sopra
enunciati, la valutazione fatta dalla Corte di merito circa la presenza di specificità della
causale apposta ai contratti di lavoro a termine in esame. Ed infatti, la Corte d’Appello,
con la sentenza impugnata, nel ricondurre, congruamente, ad una più complessa ragione
organizzativa l’indicata esigenza di sostituzione, rileva che l’espressione sintetica
utilizzata in contratto, specificava le ragioni organizzative in modo conforme a quanto
previsto dal d.lgs. n. 368 del 2001, poiché l’assunzione dello Zanettin per la residenza di
Trento, era conseguenza della sequela di trasferimenti verificatisi a seguito del
pensionamento del lavoratore indicato come da sostituire in contratto, e della scopertura in
concreto venuta a verificarsi.
5. 11 ricorso deve essere rigettato.
6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
giudizio che liquida in euro cento per esborsi ed euro tremila per compenso professionale,
oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma I’ll dicembre 2013.

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