Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2639 del 04/02/2021

Cassazione civile sez. II, 04/02/2021, (ud. 09/12/2020, dep. 04/02/2021), n.2639

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15568-2018 proposto da:

M.A.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX

SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato BRUNO NICOLA SASSANI,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE MICCOLIS, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSOB, elettivamente domiciliata in ROMA, V.MARTINI GIOVANNI

BATTISTA 3, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE PROVIDENTI, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati SIMONA ZAGARIA,

GIANFRANCO RANDISI, in virtù di procura a margine del ricorso;

– controricorrenti –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il

20/11/2017; cron. 115/17;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/12/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI CARMELO, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito l’Avvocato Angelantonio Majorano, per delega dell’Avvocato

Miccolis, per la ricorrente, e l’Avvocato Simona Zagaria per la

Consob.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di opposizione ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 4 e ss. M.A.L., A.G. e P.A. lamentavano la nullità della Delib. Consob 17 settembre 2015, n. 19372 con la quale era stata loro irrogata la sanzione di Euro 50.000,00 per la M. e di Euro 60.000,00 ciascuno a carico degli altri due opponenti, e precisamente per la prima quale Presidente, ed per il P. e l’ A., quali componenti del collegio sindacale della (OMISSIS) S.p.A., per violazione dell’art. 195, comma 1 e 9, stante l’inottemperanza ai doveri di vigilanza “con riferimento all’inosservanza da parte del Comitato OPC delle disposizioni del regolamento OPC, concernenti l’emissione del parere sulle operazioni con parti correlate di maggiore rilevanza”.

La vicenda scaturiva da un’operazione tra parti correlate (OPC) perfezionatasi in data 11 aprile 2014, con la quale la (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione (società controllante e capogruppo) aveva ceduto alla (OMISSIS) S.p.A. (società quotata in borsa e controllata della prima con una partecipazione pari all’89,959%) dei crediti per il complessivo importo di circa 27 milioni di Euro, vantati nei confronti della GC Partecipazioni S. Agr. a r.l. (interamente partecipata da (OMISSIS) S.p.A.), rinunciando contestualmente a crediti per complessivi 33.000.000,00 vantati nei confronti della cessionaria, anche quale corrispettivo della cessione.

Secondo gli opponenti l’iniziativa era stata portata all’attenzione del collegio sindacale in data 8 aprile 2014 ed il giorno seguente si era riunito il Comitato OPC che aveva espresso un motivato parere favorevole, a seguito del quale, previa relazione del presidente del comitato, il consiglio di amministrazione della società quotata in borsa aveva approvato l’operazione delegando il presidente del CDA a sottoscrivere il relativo contratto, effettivamente perfezionatosi in data 17 Aprile 2014.

A detta degli opponenti, alla luce dei chiarimenti forniti alla Consob sia dal collegio sindacale sia dalla società quotata in borsa, non poteva ritenersi sussistente il presupposto della contestazione, rappresentato dalla non conformità del parere del comitato ai requisiti prescritti dal regolamento, con peculiare riferimento alla carenza delle ragioni e della convenienza dell’operazione per la società cedente e cessionaria, essendo pertanto escluso che i sindaci avessero violato il dovere di vigilanza loro imposto dalla legge.

La Corte d’appello di Bari con decreto del 20 novembre 2017 ha rigettato il ricorso degli opponenti, condannando gli stessi al rimborso delle spese di lite.

Quanto alla prima censura, avente ad oggetto l’estinzione del potere sanzionatorio, per essere stato esercitato una volta decorso il termine perentorio di 180 giorni dall’accertamento, i giudici di merito ritenevano che la corretta interpretazione dell’art. 195 TUF fosse nel senso che il termine invocato dagli opponenti, decorresse, non dal momento dell’immediata percezione dei fatti, bensì dal compimento delle attività istruttorie necessarie per la formazione del convincimento in ordine alla sussistenza della violazione. Erroneamente gli opponenti facevano riferimento alla data del 20 giugno 2014, allorchè la Consob ottenne dalla società tutta la documentazione necessaria per l’individuazione degli elementi costitutivi dell’illecito, ritenendo irrilevanti le ulteriori richieste di informazioni e le risposte fornite al riguardo. Tuttavia, doveva escludersi che la documentazione richiesta con la nota del 4 dicembre 2014 fosse superflua, in quanto concernente notizie e documentazione relative al piano di ristrutturazione finanziaria di GC Partecipazioni S. Agr., che risultava essere la società ceduta, le cui condizioni finanziarie e patrimoniali non potevano ritenersi trascurabili ai fini della valutazione circa la concreta possibilità di realizzo del credito ceduto.

Avuto riguardo a tale ultima data, la notifica della contestazione, avvenuta l’8 gennaio 2015, risultava del tutto tempestiva, ma del pari doveva escludersi la decadenza, anche laddove si prenda in esame la data di consegna della documentazione del 20 giugno 2014, non potendo ritenersi irragionevole, alla luce della copiosa documentazione esaminata e dell’importanza delle questioni trattate, il tempo impiegato per la valutazione degli elementi emersi, anche alla luce delle osservazioni e segnalazioni da parte dei soggetti interessati.

Pertanto, tenuto conto della data di notifica dell’atto di contestazione (8 gennaio 2015) e del termine di 180 giorni entro cui deve essere esercitato il potere di contestazione, l’accertamento risultava avvenuto appena 19 giorni dopo la scadenza dei 180 giorni dalla ricezione della documentazione, e cioè in un tempo ragionevolmente congruo per consentire alla Consob di poter esercitare le proprie prerogative in maniera sufficientemente attenta e diligente.

Del pari infondato era ritenuto il secondo motivo di opposizione.

Era infatti pacifico che il contratto intervenuto tra le parti fosse riconducibile alla nozione di operazione con parti correlate di cui alla disciplina del regolamento Consob n. 11722 del 2010 nonchè dell’art. 2391 bis c.c. Ciò trovava conferma anche nel parere emesso dal comitato per operazioni con parti correlate, nel quale si dava atto che l’operazione rientrava tra quelle di maggior rilevanza, in quanto l’indice di controvalore e capitalizzazione della società era pari al 50,37%, superiore alla soglia del 5% prevista dal regolamento OPC.

Tuttavia, il parere espresso dal detto comitato era risultato eccessivamente laconico e generico atteso il suo tenore: “in merito alla convenienza economica dell’operazione prospettata sembra abbastanza evidente come la complessiva operazione di cessione soddisfa la necessità per (OMISSIS) S.p.A. di rafforzare le sue dotazioni patrimoniali al fine di garantire un’ordinaria prosecuzione dell’attività sociale”.

Secondo i giudici di merito doveva condividersi la valutazione della Consob in quanto l’affermazione circa la convenienza dell’operazione per la società quotata in borsa era del tutto apodittica, mancando qualsivoglia elemento di valutazione in concreto, con particolare riferimento alla possibilità di realizzo del credito ceduto. Lacunosità ancor più rilevante in rapporto all’ingente importo dell’operazione, atteso che risultava omesso ogni riferimento alle condizioni di crisi finanziaria in cui versava la società debitrice ceduta, come emergeva dalla circostanza, emersa soltanto nel corso dell’istruttoria svolta dalla Consob, che la debitrice ceduta aveva proposto un accordo di ristrutturazione ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 3, lett. d, accordo in fase di aggiornamento in quanto non erano stati rispettati i parametri finanziari stabiliti dal principale contratto di finanziamento.

Inoltre, il comitato non spiegava nemmeno sulla base di quali elementi avesse ritenuto conveniente l’operazione anche in relazione alla posizione della capogruppo, sotto l’aspetto del rafforzamento e valorizzazione della partecipazione detenuta nell’emittente, attesa la concreta inconsistenza, sotto il profilo della realizzabilità, del credito ceduto. Il parere in questione, destinato a svolgere una funzione informativa anche in favore dei terzi, non offriva, come invece richiesto dalla normativa di settore, gli elementi indispensabili destinati ad assumere rilievo non solo all’interno delle compagini sociali interessate dall’operazione, ma anche all’esterno, soprattutto in considerazione della quotazione in borsa di una delle società interessate, per altro dopo poco tempo dichiarata fallita dal Tribunale di Trani.

Una volta quindi appurata l’assoluta genericità del parere in oggetto, non poteva non condividersi la valutazione della Consob circa le violazioni imputabili ai componenti del collegio sindacale, i quali avevano il compito di vigilare sul rispetto della normativa di settore nonchè di riferire all’assemblea. Trattasi di un duplice obbligo in quanto, oltre ad essere richiesto di informare l’assemblea in sede di approvazione del bilancio, in via autonoma è altresì previsto che il collegio sindacale debba vigilare sull’osservanza della legge e dello statuto.

Senza peraltro potersi esigere un’ingerenza da parte del collegio sindacale nelle valutazioni di merito operate dal Comitato OPC, era tuttavia agevole rilevare l’inconsistenza del parere formulato, del tutto inidoneo alla sua funzione informativa, attesa la sua estrema laconicità, e pertanto il collegio sindacale avrebbe dovuto compiere l’opportuna segnalazione all’organo amministrativo ed al medesimo comitato.

I poteri di controllo potevano poi essere esercitati spaziando dalla richiesta di chiarimenti ed informazioni fino all’invito ad integrare il parere, potendo perfino giungere alla soluzione estrema della segnalazione di irregolarità al tribunale ai sensi dell’art. 2409 c.c..

La totale inerzia dei sindaci consentiva pertanto di affermare la ricorrenza degli elementi oggettivi e soggettivi dell’illecito amministrativo contestato, in termini di condotta colposa omissiva.

Doveva infine rigettarsi anche il terzo motivo di opposizione, con il quale si rilevava l’erronea individuazione del minimo edittale normativamente stabilito per la sanzione. Infatti, non era possibile invocare una deroga alla previsione di cui all’art. 193, comma 3, lett. a) TUF ad opera della L. n. 689 del 1981, art. 10 posto che quest’ultimo è una norma di carattere generale, destinata a soccombere di fronte alla norma speciale qual è quella di settore di cui al citato art. 193, occorrendo altresì considerare che quest’ultima è una norma temporalmente successiva e destinata a prevalere in quanto ius superveniens.

Nè poteva giovare alla tesi degli opponenti la novella di cui al D.Lgs. n. 72 del 2015, che aveva introdotto il comma 3 ter dell’art. 193, con un’espressa previsione dell’esclusione dell’applicazione agli illeciti amministrativi ivi previsti, della disciplina posta dalla L. n. 689 del 1981, con particolare riferimento ai limiti edittali stabiliti dall’art. 10.

Secondo la Corte d’appello si trattava di una norma di carattere ricognitivo, che non consente, in assenza di un’ulteriore specificazione e precisazione, di ritenere che per i fatti pregressi, quale quello in esame, sarebbe operativa e prevalente la L. n. 689 del 1981. Per l’effetto doveva ritenersi che la sanzione fosse stata correttamente determinata dalla Consob, alla luce della gravità dei fatti, desunta dall’ingente valore dell’operazione oggetto di parere, rispetto alla quale risultava omessa la dovuta vigilanza da parte del collegio sindacale.

2. Per la cassazione di tale decreto ha proposto M.A.L. sulla base di quattro motivi.

La Consob ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

3. Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione dell’art. 195 TUF per avere la Corte d’Appello ritenuto che la notifica degli addebiti, intervenuta dopo 199 giorni dal momento in cui la Consob aveva ricevuto tutti i documenti sufficienti ad avere piena contezza dei contenuti e delle attività in contestazione, non comporti la decadenza della medesima Autorità dal potere sanzionatorio, e per l’effetto, l’inefficacia del provvedimento opposto.

Si rileva che l’accertamento doveva ritenersi integrato già alla data del 20 giugno 2014, allorchè la (OMISSIS) S.p.A. aveva inviato alla Consob tutta la documentazione relativa all’operazione oggetto di causa, sicchè è con riferimento a tale data che occorre verificare il rispetto del termine di 180 giorni per la contestazione.

La soluzione della Corte d’Appello non è quindi condivisibile in quanto non tiene conto della natura dell’addebito mosso, che si risolverebbe nel non avere i sindaci preso atto della lacunosità ed insufficienza del parere del Comitato OPC, essendo quindi superflua la richiesta di ulteriore documentazione rispetto a quella già ricevuta dalla controricorrente nel giugno del 2014.

Il motivo è infondato.

La giurisprudenza di questa Corte, anche di recente, ha confermato il proprio costante orientamento secondo cui (Cass. n. 9254/2018) in tema di sanzioni amministrative per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione, non coincide necessariamente e automaticamente nè col termine dell’attività ispettiva nè con la data di deposito della relazione nè con quella in cui la Commissione si è riunita per prenderla in esame, poichè la pura “constatazione” dei fatti non coincide necessariamente con l'”accertamento”. Ne consegue che occorre individuare, secondo le caratteristiche e la complessità della situazione concreta, il momento in cui ragionevolmente la contestazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento, momento dal quale deve farsi decorrere il termine per la contestazione stessa.

E’ stato altresì aggiunto che (Cass. n. 21171/2019) la ricostruzione e la valutazione delle circostanze di fatto inerenti ai tempi occorrenti per la contestazione ed alla congruità del tempo utilizzato in relazione alla difficoltà del caso sono rimesse al giudice del merito, il quale deve limitarsi a rilevare se vi sia stata un’ingiustificata e protratta inerzia durante o dopo la raccolta dei dati di indagine (conf. Cass. n. 27405/2019), tenendo altresì conto della sussistenza di esigenze di economia che inducano a raccogliere ulteriori elementi a dimostrazione di altre violazioni rispetto a quelle accertate, mentre la valutazione della superfluità degli atti di indagine deve essere svolta con giudizio “ex ante”, restando irrilevante la loro inutilità “ex post”. A tal fine, quindi, il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della Consob, va individuato in quello in cui la constatazione si è tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento, dovendosi a tal fine tener conto, oltre che della complessità della materia, delle particolarità del caso concreto anche con riferimento al contenuto e alle date delle operazioni.

Posti tali principi, ai quali il Collegio intende assicurare continuità, si palesa con evidenza l’infondatezza della censura della ricorrente.

Il decreto impugnato, con accertamento in fatto, come detto non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, ha escluso che la documentazione, richiesta con la nota del 4 dicembre 2014, avesse carattere di superfluità” essendo necessaria, secondo una valutazione ex ante, al fine di riscontrare quali fossero le condizioni economiche e finanziarie della società verso cui era vantato il credito ceduto, trattandosi infatti di elemento rilevante al fine di appurare le possibilità di realizzazione del credito (possibilità che erano in potenza idonee ad influire anche sulla maggiore o minore complessità del parere che il Comitato OPC era stato chiamato a rendere). Risulta quindi escluso, con valutazione in fatto, che l’accertamento potesse farsi risalire, stante la necessità di ulteriore integrazione documentale, alla data del giugno 2014, in cui la (OMISSIS) S.p.A. aveva consegnato della documentazione alla Consob, così che, è stato correttamente escluso che fosse incorsa in decadenza l’autorità allorchè ebbe a notificare la contestazione in data 8 gennaio 2015, a distanza di meno di un mese dalla ricezione della ulteriore documentazione sollecitata con la nota del 4 dicembre 2014.

Ma il decreto gravato si è premurato anche di fornire risposta, in senso negativo alla tesi degli opponenti, anche volendo accedere alla conclusione che la successiva richiesta di integrazione fosse superflua, opinando, anche qui con valutazione in fatto non sindacabile, che il termine entro cui era intervenuta la notifica della contestazione era comunque rispettoso del termine di 180 giorni prescritto dalla legge, non potendosi arrestare la valutazione alla sola ricezione della documentazione avvenuta il 20/6/2014, ma essendo necessario, in ragione della complessità delle questioni in esame, del contenuto delle segnalazioni delle parti interessate, assicurare alla Consob un termine ragionevole per le proprie determinazioni, termine che è stato ritenuto soddisfare tale esigenza in quello di 19 giorni, pari ai tempo residuo tra la maturazione dei 180 giorni dalla ricezione della documentazione e la notifica dell’atto di contestazione.

Il motivo deve quindi essere rigettato.

4. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 1,artt. 2391 bis e 2403 c.c., art. 149 TUF, artt. 4, 7 e 14 del Regolamento Consob OPC (Delib. n. 17221 del 2010).

Il terzo motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, quanto alla mancata considerazione che il credito ceduto era destinato ad estinguersi per compensazione con un credito di pari importo vantato dalla società ceduta nei confronti della società cessionaria.

Quanto alle violazioni di legge, si deduce che l’opponente sarebbe stata sanzionata in assenza di una norma che preveda come illecito la condotta alla stessa imputata, in quanto, una volta esclusa la possibilità di relazionare all’assemblea in sede di approvazione del bilancio, a causa del sopravvenuto fallimento della società, non esiste una norma di legge che imponga al collegio sindacale di dover controllare la completezza del parere del Comitato OPC ovvero la correttezza sostanziale dell’operazione.

Nella specie il collegio sindacale aveva adempiuto ai propri doveri verificando che la società si fosse attenuta agli obblighi imposti in caso di operazioni con parti correlate, esulando invece dai suoi compiti la verifica sull’operato del Comitato OPC.

Si aggiunge che comunque doveva reputarsi che il parere fosse completo ed esaustivo.

I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.

Non è più in discussione, in quanto dato pacifico tra le parti, la circostanza che l’operazione interessata dalla contestazione in esame, rientri nella nozione di operazioni con parti correlate, attesi i rapporti di controllo esistenti tra le varie società implicate nella vicenda, e la presenza tra di esse di una società quotata in borsa.

L’art. 2391 bis c.c., per quanto specificamente attiene alla posizione del collegio sindacale, prevede che l’organo di controllo “vigila sull’osservanza delle regole adottate ai sensi del comma 1 (e ciò in conformità dei principi generali adottati dalla Consob) e ne riferisce nella relazione all’assemblea”.

Il regolamento recante disposizioni in materia di operazioni con parti correlate approvato con Delib. n. 17221 del 2010 della Consob, all’art. 7, comma 1, lett. a), applicabile alla fattispecie, prevede:

“a) che, prima dell’approvazione dell’operazione, un comitato, anche appositamente costituito, composto esclusivamente da amministratori non esecutivi e non correlati, in maggioranza indipendenti, esprima un motivato parere non vincolante sull’interesse della società al compimento dell’operazione nonchè sulla convenienza e sulla correttezza sostanziale delle relative condizioni;”

essendo poi previsto all’art. 4, comma 6 che:

“L’organo di controllo vigila sulla conformità delle procedure adottate ai principi indicati nel presente regolamento nonchè sulla loro osservanza e ne riferisce all’assemblea ai sensi dell’art. 2429 c.c., comma 2, ovvero dell’art. 153 Testo unico”.

La finalità delle norme è evidentemente quella di approntare una regolamentazione idonea a preservare evidenti esigenze di trasparenza sia all’interno che all’esterno della società, in presenza di fenomeni connotati potenzialmente da una situazione di conflitto di interesse, ed in ragione del compimento di operazioni che, proprio per la presenza di parti correlate, possono essere piegate agli interessi di coloro che gestiscono la società a detrimento degli investitori.

In tale ottica si prevede una disciplina in gran parte affidata all’integrazione tramite il potere normativo secondario della Consob, che assicuri la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate, con una complessità procedimentale che risulta graduata a seconda delle caratteristiche delle operazioni, anche in ragione delle eventuali ragioni di urgenza che possono connotare l’agire delle società, assegnando tuttavia un ruolo centrale alla preventiva approvazione delle operazioni di maggiore rilevanza da parte di un comitato consultivo composto da amministratori indipendenti, con un parere che, per quanto non vincolante, consente all’assemblea di poter a sua volta esprimersi, sempre in maniera non vincolante, circa la fattibilità dell’operazione, rimettendo in tal modo alla discrezione degli amministratori il suo compimento, e chiamando quindi in causa la loro responsabilità, ma nel rispetto della competenza in capo all’organo di amministrazione in merito alle scelte ritenute strategiche per la società.

Posta la puntuale individuazione delle norme applicabili alla fattispecie come operata dal giudice di merito, la decisione emessa

risulta immune da vizi di legittimità.

Come già ritenuto da questa Corte (cfr. Cass. n. 5914/2018), la complessa articolazione della struttura organizzativa di una società quotata non può comportare l’esclusione o il semplice affievolimento del potere-dovere di controllo riconducibile a ciascuno dei componenti del collegio sindacale, i quali, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo quoad functione (Cass. 29 marzo 2016 n. 6037), gravando sui sindaci, da un lato, l’obbligo di vigilanza – in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti degli atti di abuso gestionali, ma anche dell’adeguatezza delle metodologie, finalizzate al controllo interno della società di investimenti, valutando preventivamente e verificando efficienza ed adeguatezza del suddetto sistema di controllo, secondo parametri procedimentali dettati dalla normativa Consob, a garanzia degli investitori – e, dall’altro lato l’obbligo legale di denuncia immediata alla Consob (Cass. Ss.Uu. n. 20934/2009).

L’art. 151 TUF attribuisce loro il potere-dovere di svolgere ispezioni e controlli e di chiedere notizie agli amministratori, anche con riferimento alle società controllate, sull’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari, con assunzione di un ruolo che non sia limitato alla ricezione di quanto deve pervenire per legge dagli amministratori, ma attivo nella ricerca dei necessari elementi di valutazione. Non si tratta, dunque, di sottoporre gli organi amministrativi ad un controllo sul merito delle scelte gestionali” ma di esercitare tempestivamente gli ampi poteri ispettivi e di monitoraggio della gestione che la legge impone ai sindaci, anche mediante comunicazioni alla Consob.

Tali principi sono stati poi ribaditi con specifico riferimento all’ipotesi di operazioni con parti correlate (Cass. n. 14708/2020), essendosi affermato che in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, sebbene non rientri tra i doveri dei sindaci interloquire sulla opportunità delle operazioni con parti correlate e sulle prospettive vantaggiose o meno delle stesse, cionondimeno i medesimi non possono limitarsi ad una verifica estrinseca del rispetto delle procedure legali, avendo l’obbligo di relazionare all’assemblea circa le criticità emerse per difetto di “correttezza sostanziale” delle dette operazioni e per mancanza di indipendenza dell'”advisor”, risultante dalle emergenze, e la non conformità della procedura allo scopo di legge, che è quello d’impedire silenti “svuotamenti societari”.

In motivazione, dopo essersi richiamato il contenuto dell’art. 4 Delib. CONSOB n. 17221 del 2010, si è ribadito che la complessa articolazione della struttura organizzativa di una società di investimenti non può comportare l’esclusione od anche il semplice affievolimento del potere-dovere di controllo riconducibile a ciascuno dei componenti del collegio sindacale, i quali, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo “quoad functione”, gravando sui sindaci, da un lato, l’obbligo di vigilanza – in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti di atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche della verifica dell’adeguatezza delle metodologie finalizzate al controllo interno della società di investimenti, secondo parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare Consob, a garanzia degli investitori e, dall’altro lato, l’obbligo legale di d’enuncia immediata alla Banca d’Italia ed alla Consob (Sez. 1, n. 6037, 29/03/2016, Rv. 639053).

Così delineato il ruolo fondamentale che riveste il collegio sindacale, anche nel caso di operazioni con parti correlate, il provvedimento impugnato, con accertamento in fatto, immune da vizi logici, ha puntualmente rilevato che il parere emesso dal Comitato OPC, il cui testo è stato sopra riportato, si connotava come del tutto laconico e privo di qualsiasi puntuale riferimento alla situazione economico – finanziaria delle società interessate dall’operazione, assumendo apoditticamente la convenienza della complessiva operazione di cessione dei crediti.

Il carattere assertivo delle espressioni utilizzate, prive di una valida giustificazione specificamente correlata alle circostanze di fatto sottostanti, risulta evidentemente inidoneo a soddisfare la previsione normativa che, invece, impone che il parere sia motivato, formula letterale che esige che la valutazione di convenienza sia supportata da un’analisi della situazione delle società coinvolte, anche al fine di assicurare l’esigenza di trasparenza all’esterno che mira a soddisfare la previsione de qua.

La valutazione del giudice di merito, come sviluppata alle pagg. 14 e 15 del provvedimento impugnato, laddove evidenzia l’omesso riferimento nel parere a tutta una serie di circostanze che invece avrebbero dovuto essere prese in esame proprio ai fini della formulazione del giudizio di convenienza dell’operazione, risulta incensurabile in questa sede e legittima la conclusione secondo cui il collegio sindacale avrebbe dovuto immediatamente attivare l’obbligo di vigilanza (correttamente reputato come alternativo rispetto a quello informativo dell’assemblea, nella specie non più esigibile atteso il sopravvenuto fallimento della (OMISSIS) S.p.A., in epoca anteriore alla data di presentazione ed approvazione del bilancio), e reagire alla violazione procedurale posta in essere dal Comitato OPC tramite gli strumenti esaustivamente indicati in motivazione, sollecitando ulteriori informazioni agli organi amministrativi, ovvero richiedendo un’integrazione del parere, fino a pervenire alla segnalazione di irregolarità ex art. 2409 c.c.

Ne deriva che la condotta omissiva per la quale è stata irrogata la sanzione costituisce una conseguenza della violazione degli obblighi di vigilanza specificamente imposti dalla legge al collegio sindacale, il che esclude la dedotta assenza di una specifica norma sanzionatoria.

Inoltre, la palese discrasia tra la modalità di formulazione del parere, quanto al rispetto dei minimi requisiti motivazionali, ed il paradigma astrattamente configurato dal legislatore rappresenta un dato obiettivamente e subitaneamente percepibile che avrebbe dovuto immediatamente sollecitare i sindaci ad attivarsi per assicurare il rispetto delle procedure dettate dal legislatore per le operazioni con parti correlate, trattandosi di un rilievo che non investe, come invece dedotto dalla ricorrente, anche un apprezzamento circa la convenienza sostanziale dell’operazione.

Ed è a tale valutazione che si ricollega la considerazione più volte reiterata in ricorso circa il fatto che il credito ceduto era in ogni caso destinato ad estinguersi per compensazione con altro credito della società ceduta verso la cessionaria, atteso che il parere del Comitato OPC, per assicurare il rispetto della prescrizione in merito al contenuto minimo della sua motivazione, avrebbe se del caso dovuto dare contezza di tale circostanza, senza limitarsi in maniera apodittica a riferire di una convenienza per la (OMISSIS) S.p.A. (non essendo necessario verificare se concretamente potesse essere incassato), posto che la concreta modalità di formulazione del parere non assolveva la funzione minimale di informativa anche verso i terzi, sicchè essendo l’illecito contestato volto a denunciare la mancata reazione ad un apporto del Comitato OPC privo di corrispondenza con il dettato della norma, già in relazione al suo contenuto minimale, il fatto di cui si denuncia l’omesso esame risulta privo di decisività, posto che non è in questa sede rilevante stabilire se effettivamente il credito ceduto dovesse o meno essere incassato (sebbene di tale esito dovesse farsi menzione nel parere).

Nè infine può sostenersi che il potere di vigilanza non potesse estendersi al Comitato OPC, posto che il generalizzato dovere di vigilanza sulla conformità alle regole previste per le procedure adottate dalla società in caso di operazioni tra parti correlate, si estende naturaliter anche alla verifica della correttezza procedimentale dell’operato del detto comitato.

I motivi vanno quindi disattesi.

5. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 10, dell’art. 15 preleggi e dell’art. 193 TUF per non avere la Corte d’Appello ritenuto applicabili i limiti sanzionatori posti dal citato art. 10.

Si deduce che la previsione contenuta nella L. n. 689 del 1981 pone dei limiti edittali per le sanzioni pecuniarie che risultano notevolmente inferiori rispetto alle sanzioni applicabili in base all’art. 193 TUF nella formulazione vigente all’epoca dell’illecito, e tuttora invocabile ai sensi della norma di diritto intertemporale dettata dal D.Lgs. n. 72 del 2015.

La deroga espressa alla previsione citi cui all’art. 10 risulta introdotta dal legislatore solo con la novella di cui al D.Lgs. n. 72 del 2015, con la conseguenza che la previgente previsione sanzionatoria dell’art. 193 sarebbe in contrasto con l’art. 10 citato, non potendosi quindi far applicazione delle più elevate sanzioni irrogate.

Il motivo è infondato.

Risulta incensurabile il rilievo del giudice di merito che ha correttamente evidenziato come le disposizioni sanzionatorie di cui all’art. 193 TUF (anche nella formulazione anteriore alla novella del 2015) sono destinate a prevalere sulle previsioni in tema di limiti edittali della sanzione amministrativa pecuniaria di cui alla L. n. 689 del 1981, e ciò sia in base al principio di specialità (essendo le sanzioni dettate dal TUF connotate da un’evidente specialità rispetto alle generali ipotesi cui mira ad approntare la disciplina la Legge del 1981) che in base al principio temporale, trattandosi di previsioni sanzionatorie individuate dal legislatore in epoca successiva all’entrata in vigore della L. n. 689 del 1981, e destinate a trovare applicazione in base al principio della prevalenza della legge posteriore sopravvenuta (atteso il medesimo rango normativo delle disposizioni interessate).

Nè può avere carattere dirimente il rilievo che solo con l’art. 193, il comma 3 ter TUF, come introdotto dal D.Lgs. n. 72 del 2015, sia stato espressamente previsto che per le sanzioni ivi contemplate non trovi applicazione la L. n. 689 del 1981, art. 10 essendo condivisibile la valutazione della Corte d’Appello a mente della quale, la norma de qua ha carattere evidentemente ricognitivo ma senza però in alcun modo sottendere la soluzione secondo cui per il passato dovesse prevalere il dettato dell’art. 10 citato.

Il motivo va quindi rigettato.

6. Atteso il rigetto del ricorso, le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 5.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda Civile, il 9 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2021

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