Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26387 del 19/11/2020

Cassazione civile sez. un., 19/11/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 19/11/2020), n.26387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sez. –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente di Sez. –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22968/2018 proposto da:

A.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 114, presso lo studio dell’avvocato LUIGI PARENTI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 623/2018 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il

30/01/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso;

uditi gli avvocati Grazia Tiberia Pomponi, per delega dell’avvocato

Luigi Parenti ed Eugenio De Bonis, per l’Avvocatura Generale dello

Stato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con provvedimento del Ministero della Difesa – Ordinariato militare per l’Italia del 2 luglio 2015 venne accertata e dichiarata l’inidoneità di Don A.D. a svolgere i compiti di cappellano militare e l’Arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia ne dispose il rientro alla diocesi di incardinazione in base alla decisione della Superiore Autorità della Chiesa Cattolica, Congregazione per il Clero.

2. Con provvedimento della Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva dello stesso Ministero, quindi, ne venne disposta la cessazione dal servizio permanente ai sensi dell’art. 1581 Codice ordinamento militare – D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66.

3. Con D.Dirig. 11 agosto 2015, fu disposta la sospensione dall’esercizio del ministero sacerdotale in tutta la circoscrizione dell’Ordinariato Militare, ai sensi del D.Lgs. n. 66 del 2010, art. 1575, in virtù del provvedimento n. 619/3-A dell’Ordinario militare del 23 luglio 2015 con il quale era stata disposta la revoca della facoltà di amministrare i sacramenti in tutta la circoscrizione.

4. Don A.D. propose distinti ricorsi per accertare l’illegittimità dei provvedimenti ed il suo diritto ad essere risarcito dei danni patiti in conseguenza della condotta tenuta dall’Amministrazione, consistita in atti e fatti vessatori a danno della sua integrità psico fisica e della sfera professionale e religiosa

5. Il Tribunale Regionale Giustizia Amministrativa per il Trentino Alto Adige – Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano (T.R.G.A. Bolzano), con sentenza n. 172 del 2016, dichiarò il suo difetto di giurisdizione con riguardo all’impugnativa della decisione ecclesiastica adottata dalla Congregazione per il Clero della Chiesa Cattolica del 2 luglio 2015 sul giudizio di inidoneità a svolgere le funzioni di cappellano militare.

5.1. Accolse invece il ricorso con riguardo agli altri atti impugnati osservando: che la “non idoneità ecclesiastica” non rientrava tra le cause di cessazione dal servizio permanente del cappellani militari, tassativamente dettate dall’art. 1577 comma 1 del Codice dell’Ordinamento Militare (C.O.M.); che il decreto non conteneva alcun riferimento alla non idoneità agli “uffici del grado” indicata dall’art. 1581 C.O.M.. Evidenziò poi altri aspetti di illegittimità dei provvedimenti e, conclusivamente, li annullò accertando il diritto del cappellano a permanere in servizio presso il Regimento Logistico (OMISSIS).

6. Con la sentenza n. 173 del 2016, poi, lo stesso T.R.G.A. di Bolzano annullò il D.M. Difesa 11 agosto 2015, con il quale era stata disposta la sospensione dall’esercizio totale del ministero sacerdotale in tutta la circoscrizione dell’ordinariato Militare per l’Italia ai sensi del D.Lgs. n. 66 del 2010, art. 1575, ed accolse le censure con le quali si lamentava il mancato riconoscimento dell’assegno alimentare D.Lgs. n. 66 del 2010, ex art. 920, rigettando invece quelle proposte avverso la Nota dell’Arcivescovo M.S., del 23 luglio 2015. Respinse le domande di condanna al risarcimento del danno biologico e morale.

7. Il Consiglio di Stato, respinte le ordinanze di sospensione dell’efficacia esecutiva delle due sentenze e riuniti i ricorsi proposti dal Ministero della Difesa, accolse l’appello avverso la sentenza n. 172 del 2016 ed in parziale riforma della stessa respinse il ricorso proposto da Don A. avverso il provvedimento del Ministero della Difesa Ordinariato Militare per l’Italia n. 2228 -C/1 del 2 luglio 2015 e avverso il decreto del Ministero della Difesa n. 33/15/PE del 6 luglio 2015. Inoltre annullò senza rinvio la sentenza n. 173 del 2016 dichiarando improcedibile il ricorso nella parte relativa all’azione impugnatoria per sopravvenuta carenza di interesse.

8. Per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato ha proposto ricorso A.D. che ha articolato quattro motivi. Il Ministero della Difesa ha resistito con controricorso. Originariamente fissata per la decisione in Camera di consiglio, a seguito di riconvocazione, la causa è stata rimessa sul ruolo per essere decisa in pubblica udienza. Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso e il ricorrente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

9. Con il primo motivo di ricorso è denunciata “la violazione della giurisdizione speciale riservata al consigliere del CDS appartenente al Gruppo di Lingua Tedesca o Ladina della Provincia Autonoma di Bolzano con riferimento agli artt. 6 e 25 Cost., all’art. 93 del Testo Unificato delle Leggi Costituzionali concernenti lo Statuto Speciale per il Trentino Alto Adige all. D.P.R. n. 670 del 1972, D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 6” in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e art. 362 c.p.c., per essere stata trasferita la decisione degli appelli dalla sesta sezione del Consiglio di Stato prevista ope legis alla quarta sezione dello stesso Consiglio “priva del consigliere di lingua tedesca previsto dallo Statuto Speciale con evidente violazione degli artt. 6 e 25 Cost.”.

9.1. In sostanza il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1), il difetto di giurisdizione del Consiglio di

Stato così come composto all’udienza di discussione e nella successiva Camera di consiglio del 14 dicembre 2017 ed al momento del deposito della sentenza in data 30 gennaio 2018, e ciò per essere stato il collegio giudicante costituito in maniera viziata e tale da alterare la composizione stabilita dalla legge costituzionale, in cui è prevista la necessaria partecipazione di almeno un consigliere di Stato appartenente al gruppo di lingua tedesca, in violazione dell’art. 93 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), dell’art. 6, comma 5, del codice del processo amministrativo (approvato con il D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), degli artt. 6 e 25 Cost..

9.2. Il ricorso pone la questione se integri un motivo inerente alla

giurisdizione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, art. 362 c.p.c. e art. 110 cod. proc. amm., la deduzione con cui si denunci la nullità della sentenza del Consiglio di Stato – resa su appello avverso una decisione del Tribunale regionale di giustizia amministrativa, sezione autonoma di Bolzano – per illegittima composizione del collegio giudicante, per non averne fatto parte, in violazione dello Statuto speciale di autonomia e delle relative Norme di attuazione, un consigliere di Stato appartenente al gruppo di lingua tedesca della Provincia di Bolzano.

9.3. Al quesito deve darsi risposta affermativa.

9.4. Nella giurisprudenza delle Sezioni Unite è da molto tempo acquisito e applicato il principio secondo cui i motivi inerenti alla giurisdizione ricomprendono, non solo, le ipotesi in cui il giudice amministrativo si sia pronunciato su una controversia o materia attribuita alla giurisdizione del giudice ordinario o ad altra giurisdizione speciale, ovvero abbia negato di esercitare la giurisdizione sull’erroneo presupposto che essa appartenga ad altri giudici o non possa formare oggetto di cognizione giurisdizionale, ma anche le ipotesi del cosiddetto difetto assoluto di giurisdizione, che si verifica quando il giudice amministrativo, pur avendo la giurisdizione su una determinata controversia, emetta una decisione finale che invada le attribuzioni del legislatore o della pubblica amministrazione (tra le tante, Cass., Sez. Un., 18 maggio 1965, n. 964; Cass., Sez. Un., 15 marzo 1999, n. 137; Cass., Sez. Un., 29 aprile 2005, n. 8882; Cass., Sez. Un., 12 dicembre 2012, n. 22784; Cass., Sez. Un., 6 giugno 2017, n. 13976).

Accanto a queste ipotesi tipiche, le Sezioni Unite hanno, da tempo (Cass., Sez. Un., 11 ottobre 1952, n. 3008; Cass., Sez. Un., 18 maggio 1965, n. 964), ricondotto nell’ambito del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione l’illegittima composizione dell’organo giurisdizionale, a condizione che il vizio di costituzione del collegio giudicante sia di particolare gravità.

In particolare, la carenza di giurisdizione, in relazione all’illegittima composizione del giudice speciale, è ravvisabile quando è imputabile a illegittimità costituzionale della norma sulla composizione del collegio, o nei casi di alterazione strutturale dell’organo giudicante, per vizi di numero o di qualità dei suoi membri, che ne precludono l’identificazione con quello delineato dalla legge; diversamente, si verte in tema di violazione di norme processuali, esorbitante dai limiti del sindacato delle Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 13 luglio 2006, n. 15900; Cass., Sez. Un., 1 luglio 2009, n. 15383; Cass., Sez. Un., 6 maggio 2015, n. 9099; Cass., Sez. Un., 18 novembre 2015, n. 23539; Cass., Sez. Un., 30 luglio 2018, n. 20168; Cass., Sez. Un., 1 aprile 2019, n. 9042).

Si è così stabilito che è viziata da difetto di giurisdizione, per irregolare composizione del collegio giudicante derivante da assoluta inidoneità di un suo membro a svolgere le relative funzioni, la decisione adottata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana con un componente nominato in applicazione del D.Lgs. 6 maggio 1948, n. 654, art. 3, comma 2, norma dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza della Corte costituzionale n. 25 del 1976, in quanto prevedente la possibilità di riconferma dell’incarico per i membri del medesimo Consiglio designati dalla Giunta regionale, vertendosi in tema di vizio che si ricollega alla mancata assicurazione dell’indipendenza del giudice per effetto di un’investitura originariamente invalida (Cass., Sez. Un., 19 ottobre 1983, n. 6125; Cass., Sez. Un., 23 maggio 1984, n. 3168).

In questa stessa prospettiva, è stato ritenuto ammissibile il ricorso alle Sezioni Unite proposto per difetto di giurisdizione avverso la decisione pronunciata dal Consiglio di Stato in Adunanza plenaria che si assuma composta con un numero di giudicanti diverso da quello prescritto dalla norma organica che ne stabilisce la composizione (Cass., Sez. Un., 11 ottobre 1952, n. 3008, cit.).

Mentre si è escluso che integri carenza di giurisdizione del collegio giudicante:

la partecipazione alla decisione della controversia di un magistrato che avrebbe dovuto astenersi (Cass., Sez. Un., 1 giugno 2006, n. 13034; Cass., Sez. Un., 7 settembre 2018, n. 21926);

la prosecuzione e la decisione del giudizio a seguito della proposizione di istanza di ricusazione, ai sensi dell’art. 18 cod. proc. amm. (Cass., Sez. Un., 20 luglio 2012, n. 12607; Cass., Sez. Un., 12 dicembre 2013, n. 27847);

la sostituzione del presidente o l’integrazione del collegio con altro consigliere di Stato senza le prescritte autorizzazioni (Cass., Sez. Un., 11 dicembre 1992, n. 870);

– la partecipazione al collegio dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, oltre al presidente dell’organo, anche di tre presidenti di sezione e non soltanto di consiglieri di Stato (Cass., Sez. Un., 16 gennaio 2007, n. 753);

la circostanza che, in una causa promossa davanti al Consiglio di Stato, il consigliere relatore risulti collocato fuori ruolo ed assegnato al Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Siciliana con provvedimento di un giorno antecedente alla data dell’udienza e della Camera di consiglio (Cass., Sez. Un., 1 luglio 2009, n. 15383);

il vizio di costituzione del giudice collegiale amministrativo in dipendenza dei vizi, oltretutto non fatti valere nelle competenti sedi, di persistenza in servizio dei componenti del collegio (Cass., Sez. Un., 30 luglio 2018, nn. 20168 e 20169);

il contestuale svolgimento da parte di un giudice del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana dell’incarico di componente della Commissione paritetica di cui all’art. 43 dello Statuto regionale (Cass., Sez. Un., 1 aprile 2019, n. 9042, cit.). 9.5. Dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite è, dunque, enucleabile il principio secondo cui un vizio di giurisdizione – e non semplicemente di procedura – è configurabile esclusivamente quando ci si trovi di fronte ad una alterazione strutturale dell’organo giudicante che ne impedisce l’identificazione con l’organo delineato dalla legge, per vizio di qualità o di numero.

Viceversa, non attingono al livello del difetto assoluto di giurisdizione i casi nei quali, pure in presenza di talune irregolarità o deviazioni rispetto alle regole di formazione e composizione del collegio giudicante, non ricorre quel deficit di legittimazione così radicale, tale da deformare la stessa identificabilità del giudice in concreto con l’organo delineato nel sistema e da giustificare la sua correzione per via di censura di difetto di potere giurisdizionale.

In sostanza, allorchè vi sia una violazione, anche grave, di regole del processo o di ordinamento, ma non strutturale, “non può esservi estensione del vizio di giurisdizione, secondo l’impianto costituzionale vigente”, che preclude “di trasformare lo strumento del controllo di giurisdizione in una terza istanza del giudizio amministrativo” (così, condivisibilmente, il pubblico ministero nelle sue conclusioni scritte).

9.6. La questione se la mancanza del consigliere appartenente al gruppo di lingua tedesca della Provincia di Bolzano, nella composizione del collegio del Consiglio di Stato quando esso giudica in grado di appello avverso sentenze del Tribunale regionale di giustizia amministrativa, sezione di Bolzano, integri un vizio attinente alla giurisdizione, non è nuova nella giurisprudenza di questa Corte.

Pronunciando in un caso analogo a quello qui in esame, le Sezioni Unite hanno negato, con la sentenza 9 settembre 2010, n. 19248, che possa ravvisarsi una ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione.

Premesso che il difetto di giurisdizione del giudice speciale, rispetto ai vizi di costituzione dell’organo giudicante, è ravvisabile esclusivamente quando le irregolarità nella composizione del collegio “si traducano nella non coincidenza di tale organo con quello delineato dalla legge, per effetto di alterazione della sua struttura ovvero di totale carenza di legittimazione di uno o più dei suoi componenti che non sia titolare dello status di magistrato del Consiglio”, questa Corte regolatrice, nella citata sentenza, ha osservato che la censura era soltanto quella “che il collegio sarebbe stato composto in modo diverso da quanto previsto dalla legge”, sicchè il vizio dedotto costituiva “violazione di legge”, “ma non un’irregolare composizione del collegio tale da configurare un difetto di giurisdizione”, tanto più che non era stato neppure dedotto “che alcuno dei componenti del collegio indicato in calce alla decisione… non avesse lo status di consigliere di Stato”.

9.7. Il Collegio intende rimeditare le conclusioni cui le Sezioni Unite sono giunte con la sentenza n. 19248 del 2010.

9.8. Preme osservare che la composizione del Consiglio di Stato chiamato in sede giurisdizionale a decidere sull’appello avverso le pronunce del Tribunale regionale di giustizia amministrativa – sezione di Bolzano, è prevista, oltre che dalla disposizione ricognitiva contenuta nell’art. 6, comma 5, cod. proc. amm., anche, ed innanzitutto, da una norma di rango costituzionale (lo Statuto speciale di autonomia) e da una fonte (le Norme di attuazione dello Statuto speciale) che si caratterizza sia per la peculiarità del procedimento di adozione, sia per la forza e il valore superiore a quello della legge ordinaria.

L’art. 93 del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con il D.P.R. n. 670 del 1972, dispone infatti che “(d)elle sezioni del Consiglio di Stato investite dei giudizi d’appello sulle decisioni dell’autonoma sezione di Bolzano del Tribunale regionale di giustizia amministrativa di cui all’art. 90 del presente Statuto fa parte un consigliere appartenente al gruppo di lingua tedesca ovvero al gruppo di lingua ladina della Provincia di Bolzano” (le parole “ovvero al gruppo di lingua ladina” sono state aggiunte dalla Legge Costituzionale 4 dicembre 2017, n. 1, art. 7, comma 1).

A sua volta, l’art. 14 delle Norme di attuazione dello statuto speciale, approvate con il D.P.R. n. 426 del 1984, dopo avere stabilito, nel comma 1, che “(p)er gli effetti di cui all’art. 93 dello Statuto, sono nominati due consiglieri di Stato, appartenenti al gruppo di lingua tedesca della Provincia di Bolzano”, reca, nel comma 6, la seguente previsione: “(i) ricorsi contro le decisioni della sezione autonoma di Bolzano vengono attribuiti per la trattazione alle sezioni del Consiglio di Stato alle quali sono assegnati i predetti consiglieri; del collegio giudicante sui predetti ricorsi deve far parte almeno uno di essi”.

9.9. La situazione che si realizza nel caso di mancanza del consigliere appartenente al gruppo di lingua tedesca della Provincia di Bolzano nella composizione del collegio del Consiglio di Stato investito del giudizio di appello sulle decisioni dell’autonoma sezione di Bolzano del Tribunale regionale di giustizia amministrativa, è assimilabile a quella, già scrutinata dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 19 ottobre 1983, n. 6125, cit.; Cass., Sez. Un., 23 maggio 1984, n. 3168, cit.), che si ha nell’ipotesi di partecipazione al collegio giudicante di componenti che non avrebbero potuto comporlo a seguito di dichiarazione di incostituzionalità. Nell’uno e nell’altro caso, la struttura dell’organo giudicante è difforme da previsioni assistite a diverso titolo dalla peculiare forza di legge della norma costituzionale, ora perchè, al fine di rendere conforme l’organo collegiale alla previsione di questa, è positivamente imposta la presenza di un determinato componente del collegio deliberante, ora perchè è positivamente esclusa la legittimità della sua partecipazione alla deliberazione.

In base alle richiamate pronunce, l’intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale, ad opera della sentenza n. 25 del 1976, della norma che consentiva la riconferma dei membri laici del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Siciliana designati dalla Giunta regionale, incidendo sulla norma regolatrice della composizione dell’organo, comporta che la partecipazione al collegio giudicante di componenti che non avrebbero potuto farne parte integra un vizio attinente alla “qualità” del giudice, poichè determina la difformità di tale organo da quello delineato dalla legge e, quindi, l’alterazione della sua struttura.

Come esattamente evidenziato nella requisitoria della Procura generale, nelle pronunce delle Sezioni Unite sul Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana “la riconducibilità del vizio a quello denunciabile come motivo inerente alla giurisdizione… è conseguenza della declaratoria di illegittimità costituzionale”. Vi era infatti “la mediazione di una norma di legge primaria che legittimava la costituzione iniziale dell’organo giudiziario secondo una determinata composizione, poi venuta meno per effetto della naturale retroattività della successiva declaratoria di incostituzionalità della normativa stessa”.

Analoga è la situazione che si verifica nel caso, qui in esame, della mancata partecipazione del consigliere appartenente al gruppo di lingua tedesca della Provincia di Bolzano nel collegio del Consiglio di Stato investito del giudizio di appello sulle decisioni dell’autonoma sezione di Bolzano del Tribunale regionale di giustizia amministrativa: con la precisazione che quella mancata partecipazione realizza un’ipotesi di conflitto diretto tra la reale composizione dell’organo giudicante e la previsione, di rango costituzionale, che detta partecipazione esige come necessaria.

La mancanza del consigliere appartenente al gruppo di lingua tedesca della Provincia di Bolzano nella composizione del collegio del Consiglio di Stato determina un vizio attinente alla “qualità” del giudice, avendosi una alterazione strutturale dell’organo giudicante che ne impedisce l’identificazione con l’organo delineato dalla fonte costituzionale, il rispetto della cui prescrizione non consente di ritenere l’appartenenza linguistica fungibile o surrogabile. Osserva giustamente il pubblico ministero che la norma dell’art. 93 dello Statuto speciale e del D.P.R. n. 426 del 1984, art. 14, non può essere depotenziata nella sua valenza prescrittiva e nelle sue conseguenze applicative sostenendosi che, comunque, al collegio del Consiglio di Stato ha partecipato, al posto del componente di lingua tedesca, un magistrato amministrativo munito dello status di consigliere di Stato. Non basta, infatti, essere munito dello status di consigliere di Stato perchè sia rispettata la previsione statutaria: questa “presuppone naturalmente che tutti i componenti del collegio abbiano quello status ma richiede” un quid pluris, l’appartenenza linguistica.

Inoltre, la mancata partecipazione del consigliere di Stato appartenente al gruppo di lingua tedesca della Provincia di Bolzano costituzione una violazione “grave”, tale da incidere, menomandola, sulla stessa identificabilità del giudice in concreto con l’organo delineato nel sistema: non solo per il conflitto tra forma costituzionale e forma in concreto dell’organo giurisdizionale, ma anche perchè la forma richiesta dallo Statuto speciale di autonomia esprime e rispecchia, nella costituzione dell’organo giurisdizionale che è chiamato a trattare il processo, la tutela della minoranze linguistiche, la quale rappresenta un “tratto fisionomico della dimensione costituzionale repubblicana” (Corte Cost., sentenza n. 170 del 2010), concretizzando “il principio pluralistico ed il principio di uguaglianza, essendo la lingua un elemento di identità individuale e collettiva di importanza basilare” (Corte Cost., sentenza n. 15 del 1996).

9.10. Questa conclusione non muta a seguito della riforma (legge costituzionale n. 1 del 2017) dell’art. 93 dello Statuto speciale, con l’estensione della prescrizione normativa, in forma alternativa (“ovvero”), anche “al gruppo di lingua ladina”.

Come, infatti, ha sottolineato il Consiglio di Stato in sede di parere sulla allora proposta di riforma statutaria, “ai consiglieri appartenenti ai due gruppi linguistici della Provincia autonoma di Bolzano, assegnati alle sezioni del Consiglio di Stato, è affidato non già il compito di rappresentare gli interessi facenti capo ai singoli gruppi linguistici o agli enti esponenziali della comunità locale, bensì quello di garantire, in seno al Consiglio di Stato, una rappresentanza del complessivo sistema autonomistico locale”, sicchè, in quel disegno, diventa “irrilevante che i consiglieri di Stato, nominati per gli effetti di cui all’art. 93 dello Statuto, appartengano all’una o all’altra delle due minoranze linguistiche insediate nel territorio della Provincia autonoma di Bolzano” (Cons. Stato, ad. gen., 28 febbraio 2017, n. 541).

9.11. Può dunque concludersi che, nella composizione del collegio del Consiglio di Stato investito dell’appello avverso pronunce dell’autonoma sezione di Bolzano del Tribunale regionale di giustizia amministrativa, la mancanza del consigliere di Stato appartenente al gruppo di lingua tedesca ovvero al gruppo di lingua ladina della Provincia di Bolzano, determina un’alterazione strutturale dell’organo giudicante, tale da impedirne l’identificazione con l’organo delineato dalla fonte costituzionale, che prescrive che il giudice sia, nella sua composizione, rappresentativo del sistema autonomistico locale, a sua volta improntato alla tutela delle minoranze nel rispetto dei principali gruppi linguistici insediati nel territorio della Provincia; tale mancanza integra, pertanto, un difetto di giurisdizione del Consiglio di Stato, scrutinabile dalle Sezioni Unite.

9.12. Nella specie, tuttavia, manca agli atti idonea prova a sostegno dell’allegata mancata partecipazione – al collegio giudicante della Quarta Sezione del Consiglio di Stato (composto dal presidente P.G.F. e dai consiglieri di Stato T.F., S.L., C.G. e M.S.) che ha deciso gli appelli avverso la sentenza del Tribunale regionale di giustizia amministrativa, sezione autonoma di Bolzano – di un consigliere appartenente al gruppo di lingua tedesca della Provincia di Bolzano.

Il ricorrente, infatti, si è limitato a produrre l’impugnata sentenza n. 623 del 2018 della Quarta Sezione del Consiglio di Stato (che contiene l’indicazione dei giudici che l’hanno pronunciata come sopra riportati) e in atti vi è il verbale dell’udienza pubblica del 14 dicembre 2017 della Quarta Sezione, recante, anch’esso, i componenti del Collegio del Consiglio di Stato dinanzi al quale l’appello è stato discusso e deciso. Tuttavia il ricorrente non solo non ha indicato i nomi dei componenti di lingua tedesca assegnati al Consiglio di Stato al momento della trattazione del ricorso – di cui non risultano gli estremi dei decreti del Presidente della Repubblica di nomina dei consiglieri di Stato, ai sensi del D.P.R. n. 426 del 1984, art. 14 e per gli effetti di cui all’art. 93 dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige – ma neppure ha depositato, in alternativa, documentazione o certificazione attestante appunto chi era in servizio, alla data dell’udienza di discussione (14 dicembre 2017), come consiglieri del Consiglio di Stato in quanto appartenenti al gruppo di lingua tedesca della Provincia di Bolzano.

In tal modo la censura si risolve in una mera asserzione della esistenza del vizio di grave alterazione della composizione del collegio giudicante del Consiglio di Stato per la mancanza del consigliere appartenente al gruppo di lingua tedesca della Provincia di Bolzano, finendo tuttavia per devolvere a questa Corte regolatrice – mancando la dimostrazione in atti di quali siano i consiglieri di Stato appartenenti al gruppo di lingua tedesca nominati dal Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, con l’assenso del Consiglio provinciale e con il parere del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa – un inammissibile compito istruttorio di ricerca della prova del denunciato difetto strutturale.

10. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione della giurisdizione in generale per indebito esercizio di giurisdizione nella sfera riservata al legislatore in relazione al D.Lgs. n. 66 del 2010, art. 1559, comma 1, lett. B), art. 1594, comma 2, artt. 1577 e 1581, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e art. 362.

10.1. Sostiene il ricorrente che, diversamente da quanto ritenuto dal Consiglio di Stato, il D.Lgs. n. 66 del 2010, art. 1581, che commina la cessazione dal servizio per “non idoneità agli uffici del grado”, non è norma di chiusura riferita a tutte le cause di inidoneità ma è pensata quale rimedio per le cause di sopravvenuta inidoneità che sono indipendenti dal rapporto d’impiego. Sottolinea che è la sentenza del giudice amministrativo che, esorbitando dai poteri propri del giudice, attribuisce ex novo all’Ordinario Militare il potere di revoca della designazione. Sostiene che il riferimento contenuto nella decisione alla sentenza n. 4783 del 2006 del Consiglio di Stato è erronea poichè si tratta della diversa fattispecie di un cappellano militare che non aveva i requisiti per transitare nel servizio permanente.

11. Con il terzo motivo di ricorso è denunciato, in relazione al D.Lgs. n. 66 del 2010, art. 1553 e art. 1557, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e art. 362 c.p.c., l’indebito esercizio della giurisdizione nella sfera riservata alla discrezionalità amministrativa.

11.1. Rammenta il ricorrente che il D.Lgs. n. 66 del 2010, riserva all’Ordinario militare la valutazione sul servizio prestato dal Cappellano militare e che invece il Consiglio di Stato, appropriandosi di poteri propri dell’autorità amministrativa e sovrapponendo una sua valutazione a quella espressa dall’ordinario militare, estrapolando giudizi da due rapporti informativi ed utilizzando una sanzione irrogata successivamente alla cessazione dal servizio avrebbe invaso la sfera propria dell’amministrazione incorrendo nel denunciato eccesso di potere giurisdizionale.

12. Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sebbene lamentino l’avvenuta creazione da parte del giudice amministrativo di una nuova norma da applicare al caso concreto e deducano interferenze e sostituzioni nell’attività dell’amministrazione, nella sostanza si dolgono dell’errata interpretazione da parte del giudice amministrativo delle disposizione che regolano la cessazione dal servizio permanente del cappellani militari ed un malgoverno delle prove.

12.1. Va allora ricordato che in tema di sindacato delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione, è configurabile l’eccesso di potere giurisdizionale con riferimento alle regole del processo amministrativo solo nel caso di radicale stravolgimento delle norme di rito, tale da implicare un evidente diniego di giustizia e non già, come nella specie, nel caso di mero dissenso del ricorrente nell’interpretazione della legge (cfr. Cass. Sez. U. 14/09/2012 n. 15428 e 30/10/2013n. 24468).

12.2. L’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione – che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale -, nonchè di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici; conseguentemente, in coerenza con la nozione di eccesso di potere giurisdizionale esplicitata dalla Corte costituzionale (sent. n. 6 del 2018), che non ammette letture estensive neanche se limitate ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento,tale vizio non configurabile per “errores in procedendo”, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo (Cass. Sez. U 20/03/2019 n. 7926).

13. Anche il quarto motivo, con il quale il ricorrente elenca i livelli di controllo degli atti emanati dall’Ordinariato militare per l’Italia (controllo di conformità alla Costituzione della Repubblica Italiana, ai sensi del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 1 e del Protocollo addizionale alla L. n. 121 del 1985 e controllo di conformità al Codice dell’Ordinamento Militare ai sensi del D.Lgs. n. 66 del 2010, art. 17, come modificato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 1, comma 1, lett. b) e del D.Lgs. n. 66 del 2010, art. 1560, comma 2 e di ragionevolezza e non arbitrarietà dei provvedimenti delle autorità ecclesiastiche) dolendosi del mancato esercizio da parte del Consiglio di Stato, non può essere accolto.

13.1. Non è ravvisabile il dedotto “arretramento della giurisdizione sugli atti della componente del Ministero della difesa c.d. Servizio Assistenza Spirituale” inteso quale autolimitazione della giurisdizione di controllo di costituzionalità degli atti dell’Ordinario Militare, del controllo di conformità al Codice dell’Ordinamento Militare e della verifica del superamento dei limiti di ragionevolezza e non arbitrarietà dei provvedimenti delle autorità ecclesiastiche.

13.2. Si può opinare di un esercizio insoddisfacente della giurisdizione ma non è ravvisabile una denegata giustizia. Il Consiglio di Stato infatti ha accertato quale sia l’efficacia dei provvedimenti dell’autorità ecclesiale ed ha verificato che questi spiegano efficacia diretta nell’ordinamento statale. Ha poi verificato la correttezza del procedimento di adozione del provvedimento ministeriale mantenendo il suo controllo nell’ambito del giudizio di legittimità e senza entrare nel merito della decisione. Non vi è diniego di esame dell’atto, quale elemento che contribuisce all’emanazione del provvedimento di sospensione, ma piuttosto interpretazione dei limiti della giurisdizione esercitabile. Nella sentenza si chiarisce infatti che l’idoneità pastorale è valutabile solo dall’autorità ecclesiastica e che sono gli ulteriori requisiti che possono essere valutati dall’autorità amministrativa e possono essere oggetto del controllo da parte del giudice amministrativo. La non idoneità ecclesiastica viene qualificata come causa di cessazione del rapporto quale potere di controllo dell’autorità ecclesiastica che si coordina con l’analogo potere di designazione proprio dell’Ordinario. Si evidenzia la duplice “anima” della funzione di cappellano militare: sacerdote e arruolato. La duplicità dei doveri e dei destinatari. Si sottolinea come per quelli strettamente ecclesiastici a valutazione appartenga all’Ordinario militare che procede alle sue valutazioni sulla base dei rapporti informativi redatti dalle autorità militari.

13.3. Si tratta nella sostanza dell’interpretazione data dal Consiglio di Stato alle disposizioni degli artt. 1575 e 1581 dell’ordinamento militare che regolano le sanzioni disciplinari ecclesiastiche (l’art. 1575) e la cessazione dal servizio permanente per non idoneità agli uffici del grado (l’art. 1581) e non si può configurare un arretramento rispetto ad una materia che può formare oggetto di cognizione giurisdizionale, censurabile davanti a queste sezioni unite ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, vertendosi piuttosto nel caso di interpretazione delle disposizioni applicabili da parte del giudice amministrativo nell’esercizio dei poteri suoi propri.

13.4. Alla luce della sentenza n. 6 del 2018 della Corte costituzionale la quale ha carattere vincolante perchè volta ad identificare gli ambiti dei poteri attribuiti alle diverse giurisdizioni dalla Costituzione, nonchè i presupposti e i limiti del ricorso ex art. 111 Cost., comma 8 – il sindacato della Corte di cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione concerne le ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione per “invasione” o “sconfinamento” nella sfera riservata ad altro potere dello Stato ovvero per “arretramento” rispetto ad una materia che può formare oggetto di cognizione giurisdizionale, nonchè le ipotesi di difetto relativo di giurisdizione, le quali ricorrono quando la Corte dei Conti o il Consiglio di Stato affermino la propria giurisdizione su materia attribuita ad altro giudice o la neghino sull’erroneo presupposto di quell’attribuzione. L’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore è configurabile solo allorchè il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete, e non invece quando si sia limitato al compito interpretativo che gli è proprio, anche se tale attività ermeneutica abbia dato luogo ad un provvedimento “abnorme o anomalo” ovvero abbia comportato uno “stravolgimento” delle “norme di riferimento”, atteso che in questi casi può profilarsi, eventualmente, un “error in iudicando”, ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione (cfr. di recente Cass. Sez. U. 25/03/2019 n. 8311).

14. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. La complessità della questione trattata in relazione al primo dei motivi di ricorso giustifica la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, comma 1, a tutela dei diritti e della dignità della parte interessata, manda alla cancelleria di procedere all’oscuramento delle generalità nonchè di qualsiasi altro dato idoneo a identificare il ricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, comma 1, a tutela dei diritti e della dignità della parte interessata, manda alla cancelleria di procedere all’oscuramento delle generalità nonchè di qualsiasi altro dato idoneo a identificare il ricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2020

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