Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26385 del 19/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 19/10/2018, (ud. 17/01/2018, dep. 19/10/2018), n.26385

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13586/2012 R.G. proposto da:

Fusvin Italia S.p.A., in liquidazione, in persona del liquidatore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Aurelio Arnese, con cui è

elettivamente domiciliata in Roma alla via Ennio Quirino Visconti n.

99, presso l’avv. Berardino Iacobucci (studio Conte);

dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma,

via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 77/28/11 della Commissione Tributaria

Regionale della Puglia, sezione distaccata di Taranto, pronunciata

all’udienza del 18 febbraio 2011, depositata il 18 aprile 2011 e non

notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 17 gennaio

2018 dal Consigliere Dott. Andreina Giudicepietro.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. la Fusvin Italia S.p.A. in liquidazione ricorre con quattro motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 77/28/11 della Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione distaccata di Taranto, pronunciata all’udienza del 18 febbraio 2011, depositata il 18 aprile 2011 e non notificata, concernente l’impugnativa da parte della società contribuente avverso gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS);

2. con tali avvisi, l’Ufficio Distrettuale II.DD. di Taranto, recependo il p.v.c. della G.d.F. del 18 febbraio 1988, aveva accertato maggiori redditi della società ai fini IRPEG ed ILOR per gli anni di imposta 1984, 1985 e 1986;

3. con l’impugnativa, la società contestava l’analiticità e completezza della motivazione degli avvisi di accertamento (che si erano limitati a recepire acriticamente i risultati della verifica della G.d.F.), la fondatezza dell’accertamento analitico induttivo per gli anni 1984 – 1985 e dell’accertamento induttivo puro per l’anno 1986 (per la determinazione dei ricavi sulla base di percentuali aritmetiche e non ponderate), l’omessa considerazione per il 1985 dei costi relativi alla vendita non contabilizzata alla Vinicola F. s.n.c. di 15.266,40 quintali di vino (acquistati dalla Cantina Sociale A.D.G. per Lire 586.342.376);

4. contestava, inoltre, in riferimento ai periodi di imposta 1984 e 1985, l’asserita indeducibilità della quota di ammortamento di un’autovettura di Lire 5.772.000, dovuta alla mancata scritturazione nel registro dei beni ammortizzabili, nonchè, con riferimento al 1985, l’asserita indeducibilità dei compensi a terzi per l’omessa scritturazione nel relativo registro;

5. la C.T.P. di Taranto, con la sentenza n. 270/06/05 ha parzialmente accolto il ricorso avverso l’avviso di accertamento n. 39/1 per il periodo di imposta 1985, mentre con le sentenze nn. 271-272 e 273 /06/05 ha rigettato gli ulteriori ricorsi;

6. avverso tali sentenze la ricorrente proponeva distinti atti di appello;

7. la Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione distaccata di Taranto, riuniti i procedimenti, con la sentenza n. 77/28/11 rigettava gli appelli della società contribuente, compensando le spese del giudizio;

8. a seguito del ricorso della Fusvin Italia S.p.A. in liquidazione avverso la sentenza della C.T.R. della Puglia, l’Agenzia delle Entrate si costituisce con controricorso notificato il 5-6/7/2012;

9. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 17 gennaio 2018, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis c.p.c., comma 1, il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. con il primo motivo di ricorso, la Fusvin Italia S.p.A. in liquidazione, deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 3 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

in particolare, la ricorrente lamenta che erroneamente la C.T.R. della Puglia, sezione distaccata di Taranto, ha ritenuto validi gli avvisi di accertamento, nonostante l’insufficiente motivazione, fondata sull’acritico recepimento dei risultati della verifica della G.d.F.;

secondo la ricorrente, la G.d.F., in assenza di giustificazioni da parte dell’amministratore della società, ha desunto in maniera apodittica l’esistenza di ricavi non fatturati dalla vendita del vino ad un prezzo inferiore rispetto a quello di acquisto, determinando arbitrariamente le percentuali di ricarico;

il vizio di motivazione degli avvisi di accertamento, denunciato dalla ricorrente, consisterebbe, quindi, nel richiamo alle valutazioni contenute nel PVC della G.d.F., che secondo la ricorrente sarebbero prive di adeguata giustificazione;

1.2. con il secondo motivo di ricorso, la Fusvin Italia S.p.A. in liquidazione, deduce la nullità della sentenza della C.T.R. della Puglia per l’omessa motivazione in merito alla gravità, precisione e concordanza degli elementi posti a fondamento della rettifica, basata su di una ricostruzione analitico – induttiva del reddito, con l’applicazione di percentuali di ricarico aritmetiche e non ponderate, determinate su di una frazione delle vendite ed applicate ad un’altra frazione di vendite, presunte anomale;

in particolare, la ricorrente giustifica le vendite del vino a società francesi ad un prezzo inferiore rispetto al costo di acquisto, attribuendole alla pratica del “dumping”, con la quale l’imprenditore tenta di affermarsi su di un nuovo mercato praticando, in fase di avvio dell’attività, prezzi sotto costo;

secondo la società contribuente, emergerebbe dallo stesso P.V.C. della G.d.F. un andamento negativo del mercato ed una generale vendita a prezzi più bassi di quelli di acquisto dei vini di gradazione inferiore ai 14^ per il 1985, mentre per il 1986 la vendita sotto costo avrebbe riguardato una partita di merce “allo scoperto”, venduta in data 24 gennaio 1986 ed acquistata solo successivamente, in data 13 marzo 1986, a prezzi non convenienti;

la ricorrente ritiene che la C.T.R. della Puglia non abbia adeguatamente valutato tali elementi, idonei ad escludere la presunzione di ricavi non dichiarati;

1.3. i motivi devono essere esaminati insieme, perchè connessi, sono infondati e vanno rigettati;

1.4. ed invero, “in tema di accertamento delle imposte dirette, la prova presuntiva dei maggiori ricavi, idonea a fondare l’accertamento con il metodo analitico-induttivo di cui del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), può essere desunta da una condotta commerciale anomala del contribuente” (Cass. sent. n. 15038/2014);

in tal caso, spetta al contribuente dimostrare che l’anomalia gestionale è giustificata da fenomeni di contingenza economica, determinati da calo della domanda, difficoltà negli approvvigionamenti od esigenze di smaltimento di magazzino;

come correttamente evidenziato dalla C.T.R. della Puglia, sezione distaccata di Taranto, nel caso di specie risulta dal verbale della G.d.F. che la società contribuente ha venduto vino a prezzi inferiori al prezzo di acquisto, sia a società francesi (nel 1985), sia alla s.n.c. vinicola F. (nel 1986), senza dimostrare i motivi che avrebbero reso comunque convenienti le operazioni e giustificato i prezzi inferiori;

inoltre, il giudice di appello ha rilevato come la società non abbia neanche dimostrato con idonea documentazione la corrispondenza tra le somme riscosse ed il prezzo praticato;

per quanto riguarda le percentuali di ricarico, la C.T.R. della Puglia ha ritenuto che fossero state correttamente determinate dai militari della G.d.F., in base alla percentuale rilevata per ogni anno in contestazione, tenuto conto della gradazione del vino e dei prezzi di vendita e di acquisto risultanti dalle relative fatture;

la motivazione della sentenza impugnata risulta, quindi, non solo idonea a palesare l’iter logico seguito dai giudici di appello, ma anche completa ed esaustiva;

il richiamo agli accertamenti compiuti dalla G.d.F. dà sufficientemente conto delle ragioni della rettifica del reddito imponibile in base del metodo analitico induttivo, ampiamente fondato sulla condotta anomala della società contribuente, che risulta priva di valide e documentate giustificazioni;

invero, appaiono del tutto generiche le circostanze addotte dalla società contribuente (quali l’andamento negativo del mercato, la generale vendita a prezzi più bassi di quelli di acquisto dei vini di gradazione inferiore ai 14^ per il 1985, la vendita sotto costo di una partita di merce “allo scoperto” per il 1986), che non sono idonee a fornire una giustificazione sufficiente ed univoca della rilevata anomalia gestionale;

deve, quindi, escludersi il vizio di motivazione della sentenza, che “sussiste quando il giudice non indichi affatto le ragioni del proprio convincimento rinviando, genericamente e “per relationem”, al quadro probatorio acquisito, senza alcuna esplicitazione al riguardo, nè alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito”(Cass. Sent. n. 12664/2012);

per lo stesso motivo non è ravvisabile alcuna nullità degli avvisi di accertamento, la cui motivazione “per relationem”, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria e noto al contribuente, non è illegittima;

nè manca un’autonoma valutazione da parte dell’ufficio degli elementi acquisiti, “significando semplicemente che l’ufficio stesso, condividendo le conclusioni del verbale della G.d.F., ha inteso realizzare una economia di scrittura, che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio” (Cass. sent. n. 10205/03);

2.1. con il terzo motivo di ricorso, la Fusvin Italia S.p.A. in liquidazione, deduce la nullità della sentenza della C.T.R. della Puglia per violazione dell’art. 112 c.p.c. sotto il profilo dell’omessa pronuncia, in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

la ricorrente deduce che la Commissione Tributaria ha omesso di pronunciarsi in ordine all’eccezione, avanzata in primo grado e riproposta in appello, sulla piena deducibilità per gli anni 1984 e 1985 delle quote di ammortamento dell’autovettura acquistata dalla Fusvin Italia S.p.A.;

secondo la ricorrente, la mancata annotazione sul libro dei cespiti ammortizzabili è una violazione meramente formale, superabile dalla registrazione dei costi effettivamente sostenuti nella contabilità generale;

sostiene, inoltre, la ricorrente che l’indeducibilità delle quote di ammortamento dei cespiti non annotati nell’apposito registro, D.P.R. n. 597 del 1973, ex art. 74, comma 4, costituiva un effetto sanzionatorio aggiuntivo della violazione dell’obbligo di registrazione, da ritenersi abrogato dal T.U. n. 917 del 1986, art. 75, comma 6, a sua volta abrogato del D.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695, art. 5, applicabile a tutti i procedimenti pendenti D.Lgs. n. 472 del 1997, ex artt. 3 e 25;

2.2. il motivo è fondato e deve essere accolto;

2.3 in primo luogo, deve ritenersi assorbita la doglianza relativa al carattere meramente formale dell’omissione della tenuta del registro dei beni ammortizzabili, ai fini della deducibilità delle quote di ammortamento dei cespiti non annotati nell’apposito registro, D.P.R. n. 597 del 1973, ex art. 74, comma 4, poichè, per quanto si dirà oltre, la Corte ritiene che al caso di specie sia applicabile la disciplina successiva, più favorevole al contribuente, conseguente all’abrogazione, ad opera del D.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695, art. 5,D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 6;

invero, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 6 (sostanzialmente riproduttivo del precedente D.P.R. n. 597 del 1973, art. 74) precludeva la possibilità di provare l’esistenza di costi, altrimenti deducibili, che non fossero stati regolarmente registrati;

tale limite probatorio costituiva un effetto sanzionatorio, aggiuntivo, della violazione dell’obbligo di registrazione (Cass. sent. n. 15088/00, n. 889/02, n. 18000/06, n. 541/07, n. 9917/08);

l’abrogazione della citata disposizione (art. nel D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 6) ad opera del D.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695, art. 5, introdotto una disciplina più favorevole al contribuente, determinando un ampliamento delle sue facoltà di prova ed una riduzione del carico sanzionatorio connesso alla violazione degli obblighi di registrazione;

“salvo il caso d’intervenuta definitività del provvedimento sanzionatorio – le più favorevoli norme sanzionatorie sopravvenute devono essere applicate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio e, quindi, pure in sede di legittimità, atteso che, nella valutazione del legislatore, la natura e lo scopo squisitamente pubblicistici del principio del “favor rei” devono prevalere sulle preclusioni derivanti dalle ordinarie regole in tema d’impugnazione” (Cass. sent. n. 243/08);

nella fattispecie in esame non può ritenersi intervenuta la definitività del provvedimento sanzionatorio, che è stato impugnato dalla società ricorrente per motivi che investono sia la fondatezza dell’accertamento delle violazioni tributarie (da cui dipende l’irrogazione delle sanzioni), sia specificamente il carico sanzionatorio connesso alla violazione degli obblighi di registrazione; nel caso oggetto del giudizio, la mancata registrazione si riferisce agli anni di imposta 1984 e 1985, ricadenti sotto la disciplina del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 74, comma 4, mentre il giudizio di primo grado è stato introdotto nel 1988, dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 6, successivamente abrogato ad opera del D.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695, art. 5;

ritiene la Corte che “la nuova disciplina trova applicazione nei procedimenti pendenti – quale che sia la normativa che regola i profili sostanziali del contenzioso – anche nel caso in cui abbiano ad oggetto provvedimenti emessi in base alla previgente norma, di contenuto identico, di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74, comma 4” (Cass. sent. n. 1528/02);

invero, la soluzione più favorevole al contribuente si impone sia sotto il profilo procedimentale, dell’ampliamento delle facoltà probatorie del contribuente nel corso del giudizio di merito, sia sotto il profilo sanzionatorio, per esigenze di uguaglianza, “non potendo negarsi il contrasto col principio di uguaglianza d’una interpretazione che, di fronte ad una norma abrogatrice della disposizione sanzionatoria successiva, escludesse l’analoga portata su quella preesistente, di identico contenuto, con irragionevole limitazione, d’ordine puramente temporale, del principio del favor rei” (Cass. sent. n. 9917/08);

deve, quindi, cassarsi la sentenza impugnata, con rinvio alla C.T.R. della Puglia, sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione, affinchè si pronunci sulla deducibilità o meno, secondo i normali principi in tema di onere della prova, delle quote di ammortamento di Lire 5.708.000 per l’anno 1984 e di Lire 5.772.000 per l’anno 1985, nonostante la mancata registrazione sul libro dei cespiti ammortizzabili;

3.1. con il quarto motivo di ricorso, la ricorrente chiede l’applicazione alla fattispecie in esame della disciplina più favorevole del D.Lgs. n. 471 del 1997 e D.Lgs. n. 472 del 1997;

in particolare, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 25, comma 2, prevede l’applicabilità degli artt. 3, 4, 5, 6, 8 e 12 anche ai procedimenti in corso;

il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3, dispone che se la legge, in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione, stabilisce sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che l’irrogazione sia divenuta definitiva;

secondo la ricorrente nel caso in esame, per l’anno 1986 è stata applicato il regime sanzionatorio previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 46, comma 1 (da due a quattro volte il valore dell’imposta dovuta), mentre avrebbe dovuto trovare applicazione il più lieve regime di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1, comma 1 (dal 120% al 240% dell’imposta dovuta), non sussistendo violazioni di gravità tali da discostarsi dal minimo;

per i periodi di imposta precedenti (1984 e 1985), secondo la ricorrente dovrebbe, invece, applicarsi la sanzione determinata secondo i criteri più favorevoli di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, commi 2, 3 e 5;

3.2. anche tale motivo è fondato;

3.3. invero, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, il principio del favor rei, introdotto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, è norma applicabile anche ai procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore, stante l’espressa previsione della norma transitoria dell’art. 25, commi 1 e 2, dello stesso Decreto;

inoltre, come già rilevato sub 2.3., salvo il caso d’intervenuta definitività del provvedimento sanzionatorio – le più favorevoli norme sanzionatorie sopravvenute devono essere applicate, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio;

ne consegue che – ove (come nel caso di specie), persistendo controversia sull’an della violazione tributaria, sussista ancora controversia sulla debenza delle sanzioni, di cui la violazione fiscale costituisce ineludibile presupposto – s’impone la necessità di applicare il sopravvenuto più favorevole regime sanzionatorio;

occorre quindi che il giudice del merito rinnovi la propria valutazione, al fine di verificare se, nella specifica fattispecie, l’entità della sanzione irrogata per le violazioni relative all’anno 1986 sia ricompresa tra il nuovo valore del minimo e del massimo edittale e se risulti favorevolmente modificato il complessivo trattamento sanzionatorio anche per gli anni 1984 e 1985 (Cass. 14406/2017, n. 13482/2001, n. 152/2002);

4.1. la sentenza va cassata, in relazione ai motivi accolti, e, per l’effetto, la causa va rinviata alla CTR della Puglia, in diversa composizione, perchè, adeguandosi ai richiamati principi, decida sul merito, ed anche sulle spese del presente giudizio di legittimità, motivando adeguatamente.

P.Q.M.

La Corte in accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso, rigettati il primo ed il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, per la decisione, anche sulle spese del presente giudizio di legittimità, alla C.T.R. della Puglia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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