Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26383 del 19/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 19/11/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 19/11/2020), n.26383

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 553-2019 proposto da:

G.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA S. TOMMASO

D’AQUINO 75, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO MORICONI,

rappresentato e difeso dall’avvocato WLADIMIRO MANZIONE;

– ricorrente –

contro

C.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE

DELLE GIOIE 13, presso lo studio dell’avvocato CAROLINA VALENSISE,

che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 18/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 15/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LANIORGESE

ANTONIO PIETRO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 15 maggio 2018, in parziale accoglimento del gravame di G.L., per quanto ancora interessa in questa sede, ha dichiarato la separazione personale del G. con addebito al coniuge C.R. ed ha confermato la sentenza impugnata nella parte in cui aveva rigettato la sua domanda di risarcimento del danno non patrimoniale nei confronti della moglie. La Corte ha motivato l’addebito per l’infedeltà coniugale della C., quale causa determinante della intollerabilità della convivenza matrimoniale, e il rigetto della domanda risarcitoria per non avere il G. provato il danno ingiusto e il nesso causale con una condotta illecita della moglie, non riscontrabile nella sola infedeltà coniugale, essendo la dedotta depressione di cui egli soffriva riferibile alla separazione in sè piuttosto che al tradimento della moglie.

Avverso questa sentenza il G. ha proposto ricorso per cassazione, illustrato da memoria, resistito dalla C..

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo il G. denuncia violazione di legge, vizi motivazionali, travisamento delle prove e delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, in ordine all’esame, che assume erroneamente svolta, della domanda di risarcimento del danno da illecito endofamiliare, in conseguenza della violazione da parte della moglie dei doveri coniugali, che avrebbe determinato in lui uno stato depressivo dopo l’allontanamento della moglie dalla casa familiare.

Il motivo è inammissibile, essendo diretto a sollecitare una impropria rivisitazione di un apprezzamento di fatto incensurabilmente operato dai giudici di merito, il cui esito decisorio contestato dal ricorrente è applicazione di un principio di diritto acquisito nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui la natura giuridica del dovere di fedeltà derivante dal matrimonio implica che la sua violazione non sia sanzionata unicamente con le misure tipiche del diritto di famiglia, quale l’addebito della separazione, ma possa dar luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia a ciò preclusiva, “sempre che (tuttavia) la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, quale, in ipotesi, quello alla salute o all’onore o alla dignità personale” (vd. Cass. n. 6598 del 2019; anche n. 18853 del 2011). La sussistenza di tale condizione in concreto costituisce oggetto di accertamenti e valutazioni di fatto riservate al giudice di merito, censurabili alle ristrette condizioni, non ricorrenti nella specie, di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la disposta compensazione delle spese con statuizione, tuttavia, incensurabile in questa sede, avendola la Corte territoriale motivata in ragione della reciproca soccombenza, in conseguenza dell’accoglimento del motivo di gravame riguardante l’addebito e del rigetto del gravame sulla domanda risarcitoria. Ed infatti, la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (vd. Cass. n. 30592 del 2017).

Il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 3100,00, oltre accessori di legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2020

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