Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26382 del 17/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 17/10/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 17/10/2019), n.26382

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 15180/2015, proposto da:

Polimeri Speciali Holding s.p.a., in persona del legale rapp.te p.t.,

rappresentata e difesa dall’avv. Stefano Petrecca e dall’avv.

Arianna Valenza, come da mandato a margine del ricorso,

elettivamente domiciliata presso lo studio legale Macchi di Cellere

Gangemi, Via Giuseppe Cuboni n. 12, Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 6659/2014 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, depositata il 15/12/2014 e non

notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 maggio

2019 dal Consigliere Dlott. Rosita D’Angiolella.

Fatto

RITENUTO

che:

Polimeri Speciali Holding s.p.a. impugnò la cartella di pagamento, relativa all’anno di imposta 2008, formata a seguito di controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis e di comunicazione d’irregolarità, con la quale l’Amministrazione finanziaria rettificava il reddito imponibile consolidato, chiedendo il pagamento di Euro 205.959,00 a titolo di maggiore imposta IRES, più interessi e sanzioni, per un totale di Euro 243.011,47. In particolare, l’irregolarità e la conseguente rettifica traeva origine dalla mancata indicazione nel rigo RF 121, colonna due, del modello di dichiarazione unico SC 2009, presentato dalla Polimeri Speciali Holding quale consolidata, dell’importo di Euro 742.773,00, a titolo di interessi passivi indeducibili ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 96 (di seguito, t.u.i.r.), indicati, invece, nel modello CNM (consolidato Nazionale Mondiale) 2009 della stessa società, quale consolidante, quali interessi trasferiti al consolidato fiscale ed ivi dedotti utilizzando l’eccedenza di ROL (Risultato Operativo Lordo) delle società consolidate.

La contribuente società, dopo aver presentato istanza di autotutela chiedendo di correggere l’irregolarità formale costituita dalla mancata indicazione dell’importo relativo agli interessi passivi, presentava dichiarazione integrativa del modello di dichiarazione Unico SC 2009, indicando nel rigo RF 121, colonna due, di tale modello, l’ammontare degli interessi passivi indeducibili trasferiti al consolidato.

La Commissione Tributaria Provinciale di Milano (di seguito, per brevità, CTP), respingeva il ricorso presentato dalla società avverso la cartella di pagamento e tale decisione veniva confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (di seguito, per brevità, CTR), che, nel merito, respingeva l’appello del contribuente ritenendo, tra l’altro, che “la società contribuente non ha commesso un errore meramente formale, perché effettivamente ha compilato esclusivamente la colonna 2 del rigo RF e, di conseguenza, non ha scelto di avvalersi del trasferimento degli interessi passivi non deducibili al consolidato. Non ha neppure compilato la sezione VIII del quadro GN, né tantomeno il rigo GN36, interessi passivi D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 96, comma 7”.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società Polimeri Speciali Holding s.p.a., affidandosi a cinque motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Polimeri Speciali Holding s.p.a., ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, , per aver la CTR erroneamente ritenuto la regolarità del procedimento notificatorio effettuato dal concessionario del servizio alla riscossione a mezzo posta.

Gli esiti, da tempo acquisiti, della giurisprudenza di questa Corte spiegano l’infondatezza del motivo. Si è chiarito (cfr. Cass., Sez. 5, 27/05/2011, n. 11708, Rv. 618236-01; Cass. Sez. 5, 19/03/2014 n. 6395, Rv. 630819-01; Cass., Sez. 5, 06/03/2015 n. 4567, Rv.  634996-01; Cass., Sez.3, 17/10/2016 n. 20918, Rv. 642933-01));

che la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, e ciò si è ritenuto argomentando dalla seconda parte del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, che prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. Qualora, dunque, la notifica avvenga tramite il concessionario alla riscossione, essa si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, “senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal penultimo comma del citato art. 26, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione.” (così, Cass. n. 6395 del 2014).

La legittimità costituzionale della relativa disposizione è stata da ultimo confermata da Corte Cost. 23 luglio 2018, n. 175, in relazione alla quale va, altresì, rilevato come la stessa completezza delle difese espletate dalla società non comportasse la necessità di formulazione di richiesta di rimessione in termini.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente società deduce la violazione e la falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 2012, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la CTR erroneamente ritenuto la legittimità della cartella di pagamento nonostante il difetto di motivazione.

Anche tale doglianza si risolve alla luce dei principi costantemente affermati da questa Corte, secondo cui l’obbligo di motivazione è soddisfatto, com’è logico, ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, e, quindi, di contestarne efficacemente l'”an” ed il “quantum debeatur” (ex plurimis, cfr. Cass. Sez. 5, 25/05/2011 n. 11466, Rv. 618080-01; Cass., Sez. 5, 18/01/2018 n. 1111, Rv. 646697-01; Cass. Sez. 6-5, 11/10/2018 n. 25343, Rv. 651432-01).

Nella specie, le difese azionate dalla società, sia in sede giurisdizionale che in sede di autotutela (i cui contenuti sono stati ampiamente esposti nel ricorso in cassazione e non contestati dall’Amministrazione erariale), non lasciano alcun dubbio sul fatto che la società abbia avuto modo di ben conoscere l’oggetto e le causali della pretesa tributaria e di frapporre ad essa specifiche difese, con conseguente infondatezza di tale motivo di ricorso. 3. Con il terzo motivo, la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 96, comma 7 t.u.i.r., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la CTR erroneamente rigettato l’appello del contribuente nonostante la natura meramente formale della violazione contestata, nonostante la rettifica in sede di dichiarazione integrativa e nonostante la mancanza di un danno erariale e di un illegittimo risparmio di imposta.

In relazione a tale motivo deduce, in fatto, che:

alla mancata indicazione nel modello di dichiarazione Unico SC 2009, dalla stessa presentato quale consolidata, rigo RF 121, colonna 2, dell’importo di Euro 742.773 a titolo di interessi passivi indeducibili, corrisponde l’indicazione di tale importo nel modello CNM 2009, quali interessi passivi trasferiti al consolidato fiscale ed ivi dedotti utilizzando l’eccedenza ROL delle società consolidate (cfr. quadro NF del Modello CNM 2009);

la mancata indicazione di tali interessi nel modello di dichiarazione Unico SC, quale consolidata e la corrispondente indicazione nel modello CNM 2009, è frutto di errore meramente formale;

per correggere l’errore, costituito dalla mancata opzione al consolidato di tali interessi, aveva formulato istanza di autotutela (v. allegato n. 4 al ricorso);

successivamente, aveva presentato dichiarazione integrativa dei propri modelli di dichiarazione Unico SC 2009/2010/2011, rettificando in relazione al modello Unico 2009, nel rigo RF 121, colonna 2, l’errore formale della mancata indicazione dell’ammontare dei predetti interessi passivi trasferiti al consolidato per Euro 742.773 (v. allegato 2 al ricorso).

4. Con il quarto motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver omesso di esaminare il fatto decisivo per il giudizio e controverso tra le parti riguardante l’intervenuta sanatoria dell’errore per effetto della presentazione della dichiarazione integrativa D.P.R. n. 322 del 1998, ex art. 2, commi 8 e 8 bis.

5. Con il quinto motivo, lamenta la violazione e falsa applicazione del principio dell’abuso di diritto, nonché l’inadeguatezza della motivazione della sentenza in violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza dei giudici milanesi riconduce la fattispecie in esame ad un comportamento abusivo tenuto dalla società.

7. Il terzo motivo di ricorso è fondato e va accolto per i motivi di seguito esposti.

8. Innanzitutto, va delimitato l’ambito, soggettivo ed oggettivo, in cui si muove la fattispecie in esame.

8.1. Quanto all’ambito soggettivo in cui muove la fattispecie all’esame, la peculiarità è data dal fatto che lo stesso soggetto (la Polimeri Speciali Holding S.p.A.) cumula in sè la qualità di società consolidata e di società consolidante della fiscal unit, con la conseguenza che, poiché per i soggetti che aderiscono all’opzione per il consolidato, gli artt. 121 e 122 t.u.i.r., impongono la presentazione di autonome dichiarazioni, la ricorrente, quale società consolidata, era tenuta a presentare il modello dichiarativo “Unico società di capitali” (modello SC, col quale viene determinato il reddito complessivo netto), nonché, quale società consolidante, il modello “consolidato nazionale e mondiale” (modello CNM, nell’ambito del quale viene determinato il reddito complessivo globale, corrispondente alla somma algebrica dei redditi complessivi netti delle società consolidate, tenendo conto delle rettifiche di consolidamento).

8.2. Quanto all’ambito oggettivo, senza qui indugiare sulla disciplina regolatrice del consolidato nazionale (già richiamata ed argomentata nella sentenza in epigrafe), la norma di riferimento è l’art. 96, comma 7 D.P.R. cit. che così dispone: “7. In caso di partecipazione al consolidato nazionale di cui alla sezione II del presente capo, l’eventuale eccedenza d’interessi passivi ed oneri assimilati indeducibili generatasi in capo a un soggetto può essere portata in abbattimento del reddito complessivo di gruppo se e nei limiti in cui altri soggetti partecipanti al consolidato presentino, per lo stesso periodo d’imposta, un risultato operativo lordo capiente non integralmente sfruttato per la deduzione. Tale regola si applica anche alle eccedenze oggetto di riporto in avanti, con esclusione di quelle generatesi anteriormente all’ingresso nel consolidato nazionale.”.

9. Ciò posto, passando al merito della doglianza, l’Amministrazione finanziaria prima e la CTR, poi, argomentando sul presupposto normativo che il trasferimento delle eccedenze passive d’interessi passivi al consolidato è oggetto di una facoltà (cfr. art. 96 cit.: “… può essere portata in abbattimento del reddito complessivo”) e sulla consequenziale considerazione che le eccedenze non trasferite al consolidato restano nella disponibilità delle società che le hanno prodotte, hanno escluso la sussistenza di un errore meramente formale sul rilievo che poiché la società contribuente aveva compilato esclusivamente la colonna 2 del rigo RF del modello SC, non ha scelto di avvalersi del trasferimento degli interessi passivi non deducibili al consolidato e che, in ogni caso, trattandosi di scelte negoziali da effettuarsi nella dichiarazione originaria, non sono emendabili con la dichiarazione integrativa.

10. La questione che si pone va risolta alla luce dei principi civilistici che regolano la volontà negoziale sottesa all’operazione realizzata (trasferimento degli interessi passivi al consolidato fiscale) oggetto della pretesa tributaria, nonché degli esiti della giurisprudenza in materia di emendabilità della dichiarazione a favore del contribuente.

11. Non è dubitabile che il trasferimento degli interessi passivi, altrimenti non deducibili, al consolidato fiscale, in quanto esercizio di un’opzione offerta dal legislatore, è frutto di un potere discrezionale di scelta, nell’an e nel quando, riconducibile ad una tipica manifestazione di autonomia negoziale del soggetto, che incide, direttamente, sull’obbligazione tributaria opzionale; tale natura negoziale è confermata dal fatto che è il modello del consolidato fiscale, e non invece il modello individuale della società, che esplicita quanto avviene per la tassazione del gruppo e che, quindi, è tramite le dichiarazioni ivi contenute, che viene operata la deduzione degli interessi passivi trasferiti alle singole società partecipanti alla tassazione del gruppo stesso.

12. Altrettanto non v’è dubbio che l’interpretazione maggioritaria, facendo leva sul principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13378 del 30/06/2016, Rv. 640206-01 (cui si è conformata la giurisprudenza successiva, tra cui Cass. 11/05/2018 n. 11507, Rv. 648025-01; Cass. 30/10/2018 n. 27583, Rv. 650962-01; Cass. 28/11/2018 n. 30796, Rv. 651567-01), ritiene che esuli dalla disciplina tributaria, circa l’emendabilità della dichiarazione fiscale, l’errore relativo all’indicazione di dati riferibili ad espressione di manifestazioni di volontà negoziale, e ciò sul presupposto che la dichiarazione fiscale non ha natura negoziale ma di esternazione di scienza, come tale, sempre emendabile.

13. Si è, quindi, soggiunto che, nei casi in cui i dati da inserire nella dichiarazione dei redditi sono espressione di volontà negoziale, l’errore è emendabile e ritrattabile solo se il contribuente, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui agli artt. 1427 c.c. e ss., estesa dall’art. 1324 c.c. agli atti unilaterali in quanto compatibile, fornisce la prova della sua essenzialità e obiettiva riconoscibilità da parte dell’Amministrazione finanziaria (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19410 del 30/09/2015, Rv. 636605-01; Sez. 6-5, Ordinanza n. 20208 del 08/10/2015, Rv. 636860-01; Sez. 5, Sentenza n. 610 del 12/01/2018, Rv. 646892-01; Sez. 5 Ordinanza n. 30404 del 23/11/2018, Rv. 651769-01).

14. Tale orientamento, a ben guardare, è coerente con i principi di diritto affermati nella sentenza delle Sezioni Unite n. 13378 del 2016 e segnatamente da quanto ivi affermato ai paragrafi da 26 a 30, secondo cui il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa, può sempre opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa dell’Amministrazione finanziaria allegando errori di fatto o di diritto commessi nella redazione della dichiarazione ed incidenti sull’obbligazione tributaria. Sebbene tale assunto è variamente motivato dal Supremo Collegio, richiamandosi sia la natura giuridica della dichiarazione fiscale quale mera esternazione di scienza, sia il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., sia il disposto dell’art. 10 dello Statuto del contribuente (sui principi di buona fede e leale collaborazione nei rapporti tributari), particolarmente significativo è l’assunto che fa leva sul diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento rispetto a quelle che governano il processo tributario, per il quale, poiché oggetto del contenzioso è l’accertamento circa la legittimità della pretesa impositiva, quand’anche fondata su dati forniti dal contribuente, sorge comunque “il diritto del contribuente a contestare il provvedimento impositivo fornendo prove delle circostanze, quali anche errori ed omissioni presenti nella dichiarazione fiscale”. La pregnanza di tale assunto si coglie considerando che la facoltà per il contribuente di contestare il provvedimento impositivo, allegando errori ed omissioni, viene ancorata ai principi generali dell’ordinamento, consentendosi al contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini della dichiarazione integrativa, di invocare, in sede contenziosa, eventuali vizi della volontà che abbiano inciso sull’obbligazione tributaria.

15. Applicando tali principi alla fattispecie in esame, ne consegue che, poiché la scelta del trasferimento dell’eccedenza degli interessi passivi indeducibili al consolidato nazionale, è espressione di volontà negoziale, come tale irretrattabile, il contribuente, in caso di errore, potrà farlo valere in giudizio, ai sensi degli artt. 1427 c.c. e ss., sempre che ne provi l’essenzialità e la obiettiva riconoscibilità da parte dell’Amministrazione finanziaria, ex art. 1428 c.c., norma estesa, dall’art. 1324 c.c., agli atti unilaterali diretti ad un destinatario determinato quale è, nella specie, la dichiarazione fiscale di voler trasferire al consolidato gli interessi passivi.

16. In conclusione, ribadita la facoltà che l’art. 96, comma 7 t.u.i.r. attribuisce alle singole consolidate nella trasferibilità al consolidato degli interessi passivi altrimenti indeducibili, la mancata indicazione da parte della società ricorrente, in qualità di consolidata, nel proprio modello Unico SC 2009, degli interessi da trasferire al CNM e la corrispondente indicazione, quale consolidante, di tali interessi nel modello CNM 2009, può senz’altro costituire un errore, la cui rilevanza – e conseguente emendabilità nella dichiarazione integrativa – richiede, da parte del giudice di merito, l’accertamento dei presupposti cui all’art. 1428 c.c..

17. Segnatamente, quanto alla riconoscibilità, il relativo accertamento da parte del giudice di merito dovrà compiersi in primo luogo nell’ambito di una valutazione non parcellizzata delle due dichiarazioni, ciò che risponde alle finalità proprie della fiscalità di gruppo, venendo all’uopo in rilievo, ex art. 1362 c.c., comma 2, anche il comportamento tenuto dal dichiarante successivamente alla presentazione della dichiarazione, che, come risulta dalla documentazione allegata, già durante la fase precontenziosa (e cioè in sede di contraddittorio instaurato a seguito della comunicazione di irregolarità ed in sede di autotutela) si è attivata per correggere l’errore, frapponendolo alla pretesa tributaria ed emendandolo con la dichiarazione integrativa.

18. Quanto sopra esposto appare sufficiente a delineare gli esatti termini della controversia, senza che occorra interrogarsi in merito alla possibilità che il trasferimento diretto al consolidato degli interessi altrimenti indeducibili da parte della società quale consolidata possa essere o meno valutata quale comportamento concludente idoneo a tener luogo della mancata dichiarazione nel modello facente capo alla società quale consolidata, nei limiti del rilievo attribuito ai comportamenti concludenti ai fini fiscali dal disposto dal D.P.R. n. 10 novembre 1997, n. 442, art. 1, comma 1, primo periodo, secondo cui “L’opzione e la revoca di regimi di determinazione dell’imposta o di regimi contabili si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili”, ciò anche con riferimento a comportamenti anteriori alla data di entrata in vigore del succitato decreto, giusta la norma d’interpretazione autentica di cui alla L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 4.

19. Il terzo motivo di ricorso va, dunque, accolto, intendendosi in esso assorbito l’esame del quarto motivo.

20. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile. Di là anche dall’erroneo riferimento, nella deduzione di un error in procedendo, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in luogo del n. 4, il passaggio motivazionale della sentenza in epigrafe, censurato dalla ricorrente (laddove i giudici milanesi riconducono la fattispecie in esame ad un comportamento abusivo tenuto dalla società) non costituisce un’autonoma ratio decidendi, ma piuttosto un’argomentazione svolta ad abundantiam. Ciò si evince con chiarezza sia dalla sua collocazione, essendo posto dopo l’esaurimento del ragionamento decisorio sulla insussistenza dell’errore e sulla mancata opzione del trasferimento degli interessi al consolidato, nonché dal suo tenore, che è semplicemente rafforzativo dell’unica ratio decidendi, riguardante essenzialmente l’insussistenza dell’errore in ragione della mancata opzione del trasferimento degli interessi al consolidato (sull’argomentazione ad abundantiam che non costituisce autonoma ratio decidendi, cfr. Cass., Sez. L., 22/10/2014, n. 22380, Rv. 633495-01; Cass. Sez. 6-1, 21/06/2018 n. 16410, Rv. 649695-01).

21. In conclusione, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla CTR della Lombardia, che provvederà all’accertamento di fatto – nel quadro di riferimento sopra delineato, in cui l’omissione dell’opzione per il trasferimento al consolidato proviene da società che al tempo stesso rivesta la natura di consolidante della fiscal unit, alla stregua dell’indicazione del trasferimento di detti interessi nel modello del consolidato – inerente al se l’errore compiuto nell’omettere l’indicazione dovuta nel rigo apposito del Modello Unico SC della società risulti essenziale e riconoscibile dall’Amministrazione, anche alla stregua dei sopravvenuti comportamenti della stessa contribuente.

22. La CTR in sede di rinvio, è tenuta a provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso; accoglie il ricorso in relazione al terzo motivo, assorbito il quarto e dichiarato inammissibile il quinto.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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