Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26382 del 07/12/2011

Cassazione civile sez. I, 07/12/2011, (ud. 17/11/2011, dep. 07/12/2011), n.26382

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3108-2009 proposto da:

N.C. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA GIUSEPPE PISANELLI 2, presso l’avvocato GNISCI LEONARDO,

che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

24/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2011 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato LEONARDO GNISCI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte osservato e ritenuto:

– con ricorso depositato il 21.09.2006, l’ing. N.C. adiva la Corte di appello di Roma chiedendo che la Presidenza del Consiglio dei Ministri fosse condannata a corrispondergli l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul “Diritto ad un processo equo”, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848;

– con decreto del 29.10.2007 – 24.04.2008, l’adita Corte di appello, nel contraddittorio delle parti, condannava la Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagare all’istante la somma di Euro 4.500,00, con interessi legali dal decreto, a titolo di equo indennizzo del danno non patrimoniale, nonchè a pagare le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 750,00, osservando e ritenendo:

a) che il N. aveva chiesto l’equa riparazione del danno subito per effetto dell’irragionevole durata del processo in tema di annullamento di un decreto della PCM ed attribuzione di una diversa qualifica funzionale, da lui introdotto dinanzi al TAR Lazio, con ricorso depositato nel gennaio 1996, poi riunito ad altro ricorso da lui depositato nel luglio 1996, processo definito in primo grado con sentenza di rigetto del 4.06.2002, avverso la quale il N., nel giugno 2003, aveva proposto appello, favorevolmente deciso dal C.d.S. con sentenza depositata il 22.02.2006 e notificata il 28.04.2006;

b) che il processo presupposto, non complesso, sarebbe dovuto durare 3 anni in primo grado e 2 in appello, e, dunque, si era irragionevolmente protratto per il tempo complessivamente pari a poco più di 4 anni;

c) che, quindi, il N. aveva diritto al chiesto indennizzo per il lamentato danno non patrimoniale;

d) che nella quantificazione del dovuto si doveva avere riguardo anche alle peculiarità della vicenda, ivi compresa l’entità della posta in gioco, nonchè al fatto che, pur trattandosi di causa attinente ad un diritto connesso all’attività lavorativa, l’istante aveva omesso di presentare istanza di prelievo nei sei anni intercorsi prima della fissazione dell’udienza di discussione – contro il decreto il N. ha proposto ricorso per Cassazione, illustrato da memoria e notificato il 27.01.2009 alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che non ha svolto attività difensiva;

il ricorrente denuncia:

1. “Art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e errata applicazione dell’art. 6 par. 1, 13 e 41 della Convenzione Europea di salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali ratificata ai sensi della L. n. 848 del 1955 e della L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 360 c.p.c., punto 5 per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione”. Conclusivamente il ricorrente formula il seguente quesito di diritto “Dica la Suprema Corte se viola l’art. 6, par. 1, 13 e 41 della Convenzione Europea di Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali e la L. n. 89 del 2001, art. 2 la determinazione del periodo di ragionevole durata del processo senza tenere conto, in base ai parametri stabiliti dalla giurisprudenza della CEDU, che la controversia è in materia di lavoro e senza considerare che i gradi di giudizio si sono conclusi in una sola udienza e che la sentenza del Consiglio di Stato essendo motivata mediante il semplice rinvio alla giurisprudenza del medesimo supremo consesso consolidatasi nel tempo, avrebbe consentito, ai sensi della L. n. 1034 del 1971, art. 26 come modificato dalla L. n. 205 del 2000, art. 9 l’adozione di una sentenza in forma semplificata con ulteriore riduzione dei termini di durata ragionevole del processo”.

2. “Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Violazione e errata applicazione dell’art. 6, par. 1, artt. 13 e 41 della Convenzione Europea di Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali ratificata ai sensi della L. n. 848 del 1955, della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 1223, 1226 e 2056 c.c.. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione”. Conclusivamente il ricorrente formula il seguente quesito di diritto “Dica la Suprema Corte se viola l’art. 6, par. 1, artt. 13 e 41 della Convenzione Europea di Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali e la L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 1223, 1226 e 2056 c.c. la quantificazione dell’indennizzo per la irragionevole durata del processo effettuata sulla base di un’errata determinazione nel caso concreto del periodo ragionevole del processo in violazione dei criteri indicati dalla giurisprudenza della CEDU e senza tenere conto dell’entità della posta in gioco ma valutando una circostanza smentita dagli atti di causa”) con i due motivi, quali anche riassunti nei relativi quesiti di diritto, il ricorrente si duole, anche per il profilo motivazionale, della determinazione del tempo irragionevole di definizione del processo presupposto e dell’insufficienza dell’indennizzo accordato per il danno non patrimoniale da lui soffertò il N. sostiene:

a) quanto alla durata, che trattandosi di causa di lavoro il tempo ragionevole avrebbe dovuto essere determinato in 2 anni e mezzo per il primo grado, con maturazione di un ritardo incongruo di 3 anni, 10 mesi e 14 giorni ed in 2 anni per il grado d’appello con maturazione di un ritardo incongruo pari a 8 mesi e 18 giorni, sicchè il periodo indennizzabile avrebbe dovuto essere complessivamente determinato in 4 anni 7 mesi e 2 giorni, con aumento – non meglio giustificato – di 1 anno per l’appello; b) quanto all’indennizzo che si è illegittimamente recepito il minimo consentito dai parametri CEDU, senza in concreto considerare l’oggetti va rilevanza della posta in gioco, incidente sulla sua vita professionale e valorizzando, invece, l’assenza dell’istanza di prelievo, circostanza smentita dagli atti il ricorso non è fondato, atteso che la Corte distrettuale risulta essersi irreprensibilmente attenuta, anche per il profilo argomentativo, al dettato normativo, ai principi sovranazionali ed al condiviso orientamento giurisprudenziale di questa Corte di legittimità in particolare, ai fini della determinazione del termine di ragionevole durata del processo, trattandosi di causa amministrativa seppure in materia di lavoro, sono stati motivatamente ed irreprensibilmente applicati gli “standards” comuni fissati dalla Corte EDU, posto che la relativa disciplina processuale non prevede forme di organizzazione diverse, tali da differenziarne il corso in rapporto all’oggetto della controversia e da richiedere l’applicazione di parametri diversi la determinazione del ritardo incongruo di durata in misura pari a poco più di 4 anni, si rivela sostanzialmente corrispondente alla detrazione dalla durata complessiva dei due gradi del processo amministrativo, legittimamente fatta decorrere dalla data di deposito del relativo ricorso introduttivo, atto a coinvolgere l’apparato giustizia”, del tempo pari al quinquennio ragionevole, attendibilmente determinato alla luce dei noti parametri temporali CEDU e della ordinaria complessità del caso la quantificazione dell’accordato indennizzo del danno morale appare in linea con la media degli standars indennitari CEDU e ragionevole frutto non solo dell’espressa considerazione dell’incidenza della lite sulla vita professionale del N., ma anche ed a fini riduttivi del dovuto, della consentita valorizzazione del contegno processuale omissivo dallo stesso tenuto, non all’inizio ma nel successivo lungo tempo del solo primo grado del processo presupposto, protrattosi senza presentazione d’istanze di prelievo, circostanza che dal ricorrente non risulta smentita, avendo ricondotto i suoi rilievi soltanto alla fase iniziale di entrambi i gradi, con prospettazione anche priva di autosufficienza il ricorso, pertanto, deve essere respinto, con conseguente condanna del N., alle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2011

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