Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2638 del 04/02/2021

Cassazione civile sez. II, 04/02/2021, (ud. 09/12/2020, dep. 04/02/2021), n.2638

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 36653-2018 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI SAN

VALENTINO, 21, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO DELLA VECCHIA,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO

CARBONETTI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSOB – COMMISSIONE NAZ.PER LA SOCIETA’ E LA BORSA, (OMISSIS),

elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio

dell’avvocato PAOLO PALMISANO, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ANNUNZIATA PALOMBELLA, SALVATORE

PROVIDENTI, in virtù di procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1325/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 18/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/12/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI CARMELO, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito l’Avvocato Fabrizio Carbonetti, per delega dell’avvocato

Francesco Carbonetti per il ricorrente, e l’avvocato PAOLO PALMISANO

per la Consob.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di opposizione ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, comma 4 e ss. G.M. e la Cassa di Risparmio di Cesena S.p.A. lamentavano la nullità della Delib. Consob 17 maggio 2017, n. 20004 con la quale erano state irrogate plurime sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti di diversi soggetti esponenti aziendali della Cassa di Risparmio.

In particolare, quanto alla posizione del G. era contestata: a) la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1 e dell’art. 15 del regolamento congiunto Banca d’Italia-Consob del 29 ottobre 2017, adottato ex art. 6, comma 2 bis TUF, per il periodo tra il 1 maggio 2011 ed il 24 luglio 2015, non avendo adottato procedure idonee ad assicurare il corretto svolgimento dei servizi di investimento in relazione alle procedure interne ed alle condizioni operative del servizio di consulenza ed alla procedura per la classificazione degli strumenti finanziari, nonchè dell’art. 21, comma 1, lett. a) TUF, che impone agli intermediari di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei clienti, e degli artt. 39 e 40 Reg. Consob n. 16190/2007 (regolamento intermediari) in relazione alla valutazione di adeguatezza ed appropriatezza degli investimenti ed alla distribuzione di strumenti con profilo non coerente con quello del cliente; b) la violazione dell’art. 21, comma 1, lett. a) TUF, in relazione alle criticità afferenti al sistema interno di scambio di azioni proprie, con riferimento al periodo tra il 1 gennaio 2012 ed il 24 luglio 2015.

L’accertamento scaturiva da una serie di verifiche condotte dalla Consob a seguito della segnalazione di Banca d’Italia che stava conducendo un’ispezione sulla banca, conclusasi il 21 luglio 2015, ed i cui esiti erano stati trasmessi alla Consob il 13 novembre 2015.

Quanto alla prima violazione era stato contestato che, sebbene fosse stato previsto un “perimetro di consulenza” di titoli che potevano essere oggetto di tale servizio, non erano stati impartiti criteri direttivi volti a limitare la discrezionalità degli operatori ed ad assicurare un’oggettiva valutazione degli strumenti da consigliare; ancora non vi erano, fino al mese di agosto del 2014, dei blocchi procedurali che impedissero agli operatori di negoziare in regime di consulenza dei titoli estranei al paniere di riferimento. Inoltre, solo da gennaio 2015 era stata introdotta una verifica centrata per indirizzare l’offerta ai clienti con un profilo di rischio adeguato, considerando un limite massimo per emittente di titoli illiquidi detenuti.

In merito alla mappatura dei prodotti si è riscontrato che fin dal mese di marzo del 2011 la collocazione nelle classi di rischio era più volte mutata, e che solo dal mese di gennaio del 2015 le azioni erano state considerate a rischio alto anzichè medio alto, sebbene i fondi comuni azionari già lo fossero da prima; era stata elevata la valutazione di rischiosità delle obbligazioni subordinate che invece fino a febbraio del 2014 erano assimilate a quelle ordinarie.

Secondo i rilievi ispettivi si riteneva altresì incongruo aver lasciato nella classe di rischio medio alto le obbligazioni convertibili con opzione esercitabile solo dall’emittente. Del pari contestato era il fatto che le obbligazioni della banca erano state incluse in una categoria di rischio più bassa rispetto a quelle di altri emittenti e che le obbligazioni strutturate della banca erano state assimilate a quelle ordinarie, a differenza delle obbligazioni analoghe di altri emittenti.

Nell’accertamento si segnalava che i test automatici di adeguatezza – appropriatezza fino al gennaio 2015 mancavano di un controllo sulla concentrazione del portafoglio e vi erano solo analisi discrezionali degli operatori, il che comprometteva l’oggettività e l’omogeneità del presidio in tutti i tipi di verifiche, posto che la non adeguatezza procedurale poteva essere forzata da una valutazione manuale, con una motivazione sintetica contraria, semplicemente riportata in una nota informatica. Peraltro, le analisi delle operazioni per gli anni 2014 e 2015 sui titoli della banca avevano evidenziato delle percentuali molto elevate di operazioni ritenute adeguate, sottolineandosi che l’innalzamento della classe di rischio avvenuta a gennaio del 2015, con l’abbassamento della percentuale automatica di adeguatezza era stata compensata da un innalzamento della valutazione manuale di adeguatezza, assicurando pertanto dei livelli analoghi a quelli precedenti.

Altra contestazione era quella relativa ad una significativa operatività ad asserita “iniziativa cliente”, ossia non in consulenza, per strumenti invece rientranti nel perimetro della stessa come delimitato dalla banca, in particolare per titoli propri.

La percentuale di clienti con contratti di consulenza pari al 95% e la percentuale delle operazioni ad iniziativa clienti su obbligazioni della banca pari al 27- 28%, nonchè il limitato numero di clienti qualificati come professionali inducevano a ritenere che in realtà si trattava di ordini non adeguati portati a termine in appropriatezza. Secondo la Consob ciò aveva causato la distribuzione di titoli a rischio superiore verso clienti con profili di rischio inferiore relativamente ad obbligazioni della banca subordinate o convertibili.

In merito alla seconda violazione la Consob rilevava che il regolamento interno dell’asta settimanale delle azioni della banca adottato nel 2012 prevedeva un unico prezzo di riferimento, individuato in quello al quale era negoziabile la maggior quantità delle azioni secondo le offerte di acquisto e vendita, ma tuttavia era stato praticato il prezzo massimo della giornata presa a campione (9 gennaio 2015).

Questo prezzo era stato poi assunto a parametro del valore di conversione delle obbligazioni subordinate del dicembre 2014, di gran lunga superiore a quelli medi dei gruppi di confronto riferito nel prospetto informativo dell’emissione, nel proprio interesse e senza far ricorso ad un advisor esterno per le opportune valutazioni, e ciò sebbene nel 2013 vi fossero stati degli scambi assai ridotti di azioni della banca, acquistate per il 50% dalla banca stessa mentre l’80% degli ordini di vendita rimaneva ineseguito.

La Corte d’Appello di Bologna con la sentenza n. 1325 del 18 maggio 2018, nella resistenza della Consob, ha rigettato l’opposizione, condannando gli opponenti al rimborso delle spese di lite punto Quanto alle censure che investivano le modalità procedimentali del procedimento sanzionatorio, la sentenza in primo luogo rilevava che gli opponenti non avevano rappresentato un concreto pregiudizio derivante dai vizi procedurali lamentati, atteso che la Delib. impegnata aveva dato atto della considerazione delle controdeduzioni scritte alla relazione USA presentate dagli opponenti, essendo frutto di un’affermazione non corrispondente alla realtà, e dovuta ad un errore di trascrizione, l’affermazione presente nella stessa Delib. della presa d’atto della mancanza di controdeduzioni.

Alcuna illegittimità poteva individuarsi nel procedimento sanzionatorio, come rilevato anche dalla giurisprudenza di legittimità, la quale aveva di recente ribadito che le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla Consob ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 190 non potevano ritenersi avere carattere sostanzialmente penale, tenuto conto della loro tipologia, severità ed incidenza patrimoniale e personale.

Ciò impediva quindi di poter invocare i principi del giusto processo e le garanzie dettate dall’art. 6 CEDU, così come estesi alle sanzioni amministrative aventi carattere sostanzialmente penale a seguito della sentenza Grande Stevens.

Erano altresì infondate le doglianze che investivano le carenze del contraddittorio durante la fase del procedimento amministrativo, ciò in quanto nel procedimento di opposizione a sanzione amministrativa il sindacato del giudice di merito si estende alla validità sostanziale del provvedimento impugnato attraverso un autonomo esame circa la ricorrenza dei presupposti di fatto e di diritto della violazione contestata, così che nessun rilievo assumono gli eventuali vizi del procedimento relativi all’omessa valutazione di eventuali deduzioni difensive dell’incolpato da parte dell’autorità che ha adottato il provvedimento sanzionatorio.

In tal senso bisogna valorizzare la possibilità delle parti di poter far esaminare le loro doglianze della successiva fase giurisdizionale, con esclusione quindi di qualsivoglia pregiudizio.

Del pari infondata era la doglianza concernente la tardività della contestazione atteso che, sempre secondo la giurisprudenza di legittimità, il momento dell’accertamento previsto dall’art. 195 TUF non coincide necessariamente ed automaticamente nè con il giorno in cui l’attività ispettiva sia terminata nè con quello in cui sia stata depositata la relazione dell’indagine presso l’autorità competente. Nella specie occorreva considerare che, una volta ricevuto da parte della Consob il rapporto ispettivo, a conclusione dell’attività di vigilanza, non poteva affatto ritenersi configurato l’accertamento, posto che gli elementi di fatto acquisiti dovevano essere valutati da parte della Consob, onde riscontrare se vi fossero elementi oggettivi e soggettivi di una fattispecie di illecito rilevante, nonchè al fine di graduare ed individuare le responsabilità degli esponenti dipendenti dell’intermediario e ricostruire in maniera puntuale le modalità operative seguite.

La Consob aveva, infatti, osservato che tra la data del 13 novembre 2015, allorchè aveva ricevuto il verbale ispettivo della Banca d’Italia, e quella di notifica delle contestazioni, avvenuta il 5 maggio 2016, aveva dovuto procedere ad una complessa attività di valutazione delle risultanze istruttorie, considerata anche la complessità della materia dell’intermediazione finanziaria. Per l’effetto doveva escludersi la violazione del termine di cui all’art. 195 TUF.

Passando quindi al merito delle contestazioni, ed in relazione alla prima delle violazioni contestate, la sentenza impugnata riteneva corretta la ricostruzione operata nel provvedimento impugnato, in quanto, sebbene vi fossero delle disposizioni interne che delimitavano il cosiddetto perimetro della consulenza alle azioni ed obbligazioni della banca opponente ed ai titoli di Stato italiani nonchè ai fondi comuni di investimento delle società con cui era stato stipulato un accordo commerciale, nonchè a vari prodotti inseriti nel paniere di collocamento, era stata riscontrata un’inversione di quella che doveva essere la corretta procedura di consulenza, la quale impone la raccomandazione al cliente solo di operazioni che risultano adeguate al suo profilo, con la conseguente iniziale individuazione del profilo del cliente e quindi del rischio, e solo successivamente il suggerimento del tipo di investimento.

Era emersa una carenza delle procedure (settore a cui era espressamente deputato il G.) che lasciava agli addetti la più assoluta discrezionalità nel giudicare l’idoneità delle singole operazioni, a discapito della valutazione di oggettività ed omogeneità del rischio; inoltre fino al mese di agosto del 2014 non risultavano blocchi procedurali idonei ad evitare la prestazione del servizio di consulenza al di fuori del perimetro previsto dalle disposizioni interne così che in assenza di tali blocchi vi era il rischio di negoziare in regime di consulenza anche prodotti finanziari diversi da quelli stabiliti nella policy. Inoltre, l’ispezione aveva riscontrato che solo a far data dal gennaio del 2015, la proposta commerciale relativa ai prodotti di investimento offerti in consulenze su iniziativa della banca era sorretta da una preliminare attività di verifica centrata ed atta ad indirizzare l’offerta di determinati titoli a clienti con profilo di rischio adeguato, tenendo conto del limite massimo di concentrazione per emittente e di quello relativo ai titoli liquidi detenuti nei relativi dossier.

Il protrarsi di una discrezionalità così ampia, per svariati anni, risultava confermata dalle stesse difese degli opponenti, che avevano confermato l’assenza di blocchi procedurali, sebbene sul presupposto dell’assenza di qualsivoglia obbligo normativo al riguardo.

Dalle indagini svolte era altresì emersa una mappatura dei prodotti estremamente carente, come riscontrato in materia di classificazione delle obbligazioni, per le quali la presenza di una clausola di subordinazione non era stata considerata come un fattore di rischio, addivenendosi, per le obbligazioni subordinate sia della banca che di altri soggetti, ad assimilarle a quelle ordinarie, trascurando la regola elementare secondo cui la classificazione del rischio di tali obbligazioni non va effettuata ex post bensì ex ante. Anzi proprio il mutamento reiterato nel tempo della distribuzione dei prodotti nelle varie classi di rischio, lungi dal giovare alla tesi difensiva della banca, confortava invece l’adozione di comportamenti opportunistici, di certo non posti in essere nell’interesse esclusivo del cliente. Anche l’analisi dell’adeguatezza ed appropriatezza e dei criteri di concentrazione del portafoglio denotava che la procedura informatica in uso presso la banca non era stata dotata di meccanismi bloccanti, emergendo inoltre che all’operatore era rimessa una valutazione autonoma, con una verifica di tipo manuale, priva di un’adeguata giustificazione. In sostanza non vi erano dei rimedi idonei ad impedire che operazioni raccomandate alla clientela e risultate inadeguate fossero invece riproposte strumentalmente con l’espediente dell’iniziativa del cliente, con l’applicazione del meno rigoroso regime di appropriatezza prescritto dall’art. 42 del regolamento intermediari. In tal senso era risultato significativo il dato dell’elevata incidenza di operazioni ritenute non adeguate dalla procedura ma riclassificate come adeguate dall’operatore, con l’aggiramento delle normative poste a tutela degli investitori, e senza che rilevasse a tal fine l’assenza di un concreto danno da parte dei clienti, vertendosi in materia di illeciti di pericolo.

Ancora, i rilievi ispettivi avevano evidenziato il rischio di concentrazione di strumenti finanziari illiquidi, almeno sino al gennaio del 2015, posto che l’analisi del portafoglio del cliente ai fini della valutazione della diversifiicazione del rischio era assolutamente discrezionale, e risultava carente dei presidi automatici di controllo, rimettendosi quindi ogni valutazione ai controlli manuali degli operatori. Nella sostanza il quadro complessivo che emergeva dall’ispezione portava a ritenere che venivano proposti alla clientela strumenti finanziari prima dello svolgimento del test di adeguatezza e che, anche in caso di esito di non adeguatezza dell’investimento, gli operatori con una valutazione manuale dell’adeguatezza ovvero facendo risultare l’investimento ad iniziativa del cliente, riuscivano a proporre gli strumenti finanziari che invece le regole comportamentali non avrebbero consentito di collocare.

In merito alla seconda violazione, gli accertamenti della Banca d’Italia rivelavano che, diversamente da quanto descritto nel regolamento, il prezzo non derivava dalla convergenza tra la domanda e l’offerta, ma era quello massimo a cui avvenivano gli scambi in giornata. Secondo la sentenza impugnata, sebbene il criterio secondario posto dal regolamento per lo scambio di azioni proprie, vigente dal 2012, consentisse una deroga al prezzo di riferimento riguardante la maggior quantità di titoli nella giornata, con una minimizzazione degli eseguiti, rendendo lo scambio massimamente efficiente, doveva ritenersi che in realtà era lo stesso regolamento interno che consentiva sistematicamente di stabilire il prezzo massimo, anzichè quello offerto o richiesto per la maggior parte degli ordini. Tale previsione costituiva a ben vedere in sè una violazione dell’art. 21, lett. a) TUF, che impone agli intermediari di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza negli interessi dei clienti e per l’integrità dei mercati.

Il riferimento alla vicenda del prezzo di riferimento del prestito obbligazionario dell’ottobre del 2014, approvato dal consiglio di amministrazione nel maggio del 2014 col parere favorevole dei sindaci, serviva per dimostrare il grave effetto distorsivo che l’applicazione del regolamento aveva indirettamente portato per l’offerta stessa. Risultava pertanto confermata anche la correttezza della contestazione di cui alla seconda violazione. Quanto alla posizione del G., la sentenza ha rilevato che lo stesso, nella qualità di responsabile della funzione di conformità alle norme dal 24 gennaio 2012 al 1 dicembre 2013, per il periodo di competenza, doveva reputarsi responsabile per le molteplici carenze procedurali e comportamentali riscontrate dalla Consob.

Questi non poteva esimersi da responsabilità per il fatto di aver chiesto informazioni ed effettuato verifiche, posto che essendo il G. il soggetto preposto all’adozione delle procedure finalizzate a prevenire ed individuare le ipotesi di mancata osservanza degli obblighi imposti dalle disposizioni di recepimento della direttiva 2004/39/CE e delle relative misure di esecuzione, nonchè a minimizzare e gestire in modo adeguato le conseguenze che ne derivavano, ed a consentire alle autorità di vigilanza di esercitare efficacemente i poteri loro conferiti dalla relativa normativa, era comunque responsabile per le violazioni contestate.

La funzione di compliance impone di interloquire con gli organi di amministrazione e di controllo dell’intermediario, costituendo un ausilio dell’attività dei sindaci e deve coordinarsi con le altre funzioni aziendali di controllo generando flussi informativi rivolti ad assicurare agli organi di vertice piena consapevolezza delle modalità di gestione del rischio ed in conformità alle norme.

La circostanza che il responsabile di tale funzione abbia un ruolo di tipo subordinato rispetto all’organo di amministrazione della banca non comporta che lo stesso vada del tutto esente da responsabilità, atteso che le violazioni accertate rientravano nell’ambito delle funzioni devolute all’esponente aziendale che riveste la funzione di compliance, il quale evidentemente non aveva adottato quei modelli procedurali ed i controlli interni idonei ad evitare i rischi poi in concreto manifestatisi.

La dimostrazione di aver posto in essere una serie di adempimenti formali risulta quindi del tutto inutile di fronte alla concreta e rilevata inadeguatezza sostanziale delle procedure interne ad evitare il rischio di non conformità alla legge ed ai regolamenti nonchè ai codici etici.

Tale conclusione valeva poi per entrambe le violazioni in quanto le carenze procedurali riscontrate avevano direttamente investito l’operatività della banca con riferimento ad aspetti di importanza strategica che non potevano essere ignorati nè minimizzati dalla funzione di compliance, potendosi quindi affermare che le violazioni comportamentali riscontrate erano la conseguenza della carenza delle procedure. Inoltre era priva di rilievo la deduzione secondo cui i rilievi ispettivi si erano appuntati su operazioni svoltesi nel corso degli anni 2014 e 2015, allorchè il G. non era più responsabile della funzione, posto che si trattava di una mera esemplificazione, finalizzata a testimoniare l’esistenza di un sistema che andava avanti già da anni e che era iniziato allorquando l’esercizio della funzione di compliance era svolta dal G., ed era poi continuato con l’esercizio della funzione da parte di altri esponenti aziendali, parimenti sanzionati, ciascuno per il periodo di riferimento.

Era, infine, disatteso il motivo di opposizione che investiva il trattamento sanzionatorio, atteso che nella quantificazione della sanzione pecuniaria irrogata si era tenuto conto del periodo di permanenza in carica dell’opponente nonchè degli ambiti delle violazioni e delle carenze procedurali e comportamentali accertate, come confermato dal fatto che la sanzione applicata al G. era di importo inferiore rispetto a quella applicata a coloro che gli erano succeduti nella funzione di compliance, avuto riguardo al diverso periodo di tempo per il quale era stata ricoperta.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto G.M. sulla base di sei motivi.

La Consob ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c. 3. Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione dell’art. 195 TUF e della L. n. 262 del 2005, art. 24, comma 1 per avere la Corte d’Appello confermato la legittimità del provvedimento sanzionatorio, in violazione del principio del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori e della distinzione tra funzioni istruttorie e decisorie.

Si richiama il contenuto dell’atto di opposizione e si ribadisce che i principi del giusto procedimento dovrebbero imporre la conclusione dell’invalidità delle regole in concreto adottate, come anche suggerito dalle riflessioni della dottrina, critiche rispetto alle conclusioni del giudice di legittimità.

Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione della L. n. 262 del 2005, art. 24 nonchè dell’art. 24 Cost. con la conseguente illegittimità della sentenza gravata nella parte in cui ha confermato la legittimità del provvedimento sanzionatorio in violazione della procedura amministrativa adottata dalla Consob.

Con un motivo di opposizione si era contestato che la Consob non avesse esaminato le controdeduzioni del G..

Infatti, nella relazione integrativa trasmessa dall’USA il 27 marzo 2017 non vi è traccia delle deduzioni difensive inviate, sicchè tale disinteresse per le stesse denota una chiara violazione del contraddittorio.

A ciò deve aggiungersi che anche le successive deduzioni difensive presentate con nota del 21/4/2017 sono rimaste del tutto prive di riscontro, posto che nel verbale della Commissione della riunione del 17 maggio 2017, all’esito della quale è stata irrogata la sanzione oggetto di causa, non vi è alcuna risposta alle stesse, rivelandosi una mera formula di stile l’indicazione secondo cui vi sarebbe stata un’analisi delle controdeduzioni de quibus, come apposta nel verbale n. 5611. Infine, è del tutto insoddisfacente la risposta data dalla Corte territoriale alla obiezione mossa con l’atto di opposizione, e cioè che l’affermazione contenuta nella Delib. maggio 2017 di presa d’atto della mancanza di controdeduzioni in replica alla relazione integrativa, fosse un’affermazione non corrispondente alla situazione reale e dovuta ad un errore di trascrizione.

I motivi che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione sono infondati.

In primo luogo, il Collegio rileva che, come già sottolineato dalla Corte d’Appello, detta doglianza non viene accompagnata dall’indicazione di alcuno specifico pregiudizio che dalla suddetta violazione sarebbe derivato al diritto di difesa del ricorrente, salvo il riferimento alla omessa considerazione delle deduzioni difensive avanzate nella fase procedimentale (che come si evidenzierà in seguito, non rileva ai fini dell’illegittimità del procedimento sanzionatorio amministrativo).

A parere del ricorrente, se il procedimento sanzionatorio fosse stato articolato in modo da garantire il rispetto del principio del contraddittorio, la Consob avrebbe dovuto specificamente controdedurre alle argomentazioni del ricorrente e con ogni probabilità sarebbe emersa la bontà delle proprie eccezioni.

Quanto alla censura specificamente mossa con il primo motivo, lo stesso ricorrente dimostra di essere a conoscenza della costante giurisprudenza di questa Corte, della quale chiede una revisione, senza peraltro addurre specifiche argomentazioni per legittimare tale conclusione.

Va, pertanto, qui ribadito il principio, enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 20935/09, che la doglianza relativa alla violazione del diritto al contraddittorio presuppone la deduzione di una lesione concreta ed effettiva del diritto di difesa specificamente conculcato o compresso nel procedimento sanzionatorio. Detto principio, più volte ripetuto nella giurisprudenza di legittimità (ex multis, per l’applicazione delle sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia, Cass. n. 27038/13 e, per l’applicazione delle sanzioni irrogate dalla CONSOB, Cass. n. 24048/15, nonchè da ultimo Cass. n. 9561/2018 e Cass. n. 24082/2019), merita conferma e seguito, giacchè, come sottolineato in Cass. n. 8210/16, esso si colloca nella medesima prospettiva ermeneutica suggerita dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza n. 24823/15, ove, in tema di contraddittorio nel procedimento tributario (in materia di tributi “armonizzati”), si è affermato che “la violazione del diritto al contraddittorio comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere”. Tale affermazione privilegia una lettura sostanzialistica (della tutela) del diritto al contraddittorio, che richiama il pragmatico canone giuspubblicistico della strumentalità delle forme e risulta in piena sintonia con il diritto dell’Unione Europea e, in particolare, con gli approdi della giurisprudenza elaborata dalla Corte di giustizia sull’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali (cfr. CGUE sentt. 3.7.2014, Kamino International Logistics, ove si afferma che la violazione dei diritti di difesa, in particolare del diritto ad essere sentiti prima dell’adozione di provvedimento lesivo, determina l’annullamento dell’atto adottato al termine del procedimento amministrativo soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, detto procedimento “avrebbe potuto comportare un risultato diverso”; nello stesso senso, si veda anche la sentenza 26.9.2013, Texdata Software). Deve, pertanto darsi continuità all’orientamento secondo cui, in tema di intermediazione finanziaria, il procedimento di irrogazione di sanzioni amministrative, postula solo che, prima dell’adozione della sanzione, sia effettuata la contestazione dell’addebito e siano valutate le eventuali controdeduzioni dell’interessato; pertanto, non è violato il principio del contraddittorio nel caso di omessa trasmissione all’interessato delle conclusioni dell’Ufficio sanzioni amministrative della “Consob” o di sua mancata audizione innanzi alla Commissione, non trovando d’altronde applicazione, in tale fase, i principi del diritto di difesa e del giusto processo, riferibili solo al procedimento giurisdizionale (cfr. Cass. 4.9.2014, n. 18683; Cass. 22..4.2016, n. 8210).

Quanto, invece alla seconda censura, e ritenuto condivisibile il rilievo del giudice di merito secondo cui la presa d’atto della carenza di controdeduzioni in replica alla Relazione Integrativa non corrispondeva alla situazione effettiva, trattandosi di un mero errore di trascrizione, anche a voler reputare che le controdeduzioni non siano state esaminate (e non, anche come ritenuto in sentenza, che le stesse siano state implicitamente disattese, alla luce degli argomenti spesi nella motivazione del provvedimento sanzionatorio) la violazione non è idonea a determinare l’illegittimità del provvedimento opposto.

Infatti, come puntualmente rilevato dalla sentenza gravata, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che (Cass. S.U. n. 1786/2010) i vizi di motivazione in ordine alle difese presentate dall’interessato in sede amministrativa non comportano la nullità del provvedimento, e quindi l’insussistenza del diritto di credito derivante dalla violazione commessa, in quanto il giudizio di opposizione non ha ad oggetto l’atto, ma il rapporto, con conseguente cognizione piena del giudice, che potrà (e dovrà) valutare le deduzioni difensive proposte in sede amministrativa (eventualmente non esaminate o non motivatamente respinte), in quanto riproposte nei motivi di opposizione, decidendo su di esse con pienezza di poteri, sia che le stesse investano questioni di diritto che di fatto.

Il principio ha trovato poi conferma anche nella successiva giurisprudenza che ha ribadito che (Cass. n. 12503/2018) le deduzioni, sebbene non esaminate nella fase amministrative, ben possono essere nuovamente portate all’attenzione del giudice dell’opposizione che è chiamato a valutare le medesime con pienezza di poteri (Cass., n. 17799/2014).

Il ricorso, oltre a difettare evidentemente di specificità nella parte in cui non riporta con precisione quale sarebbe il contenuto delle controdeduzioni asseritamente non esaminate dalla Commissione, in ogni caso, a fronte della ampia motivazione offerta dalla Corte d’Appello circa le ragioni a sostegno del rigetto dell’opposizione, non si perita di indicare quali specifici argomenti difensivi, oggetto appunto delle controdeduzioni alla Relazione USA, non avrebbero ricevuto risposta nè da parte dell’autorità amministrativa nè da parte del giudice, il che rende evidente la carenza di un concreto pregiudizio al diritto di difesa del ricorrente stesso, e quindi l’infondatezza del mezzo di impugnazione.

4. Il terzo motivo di impugnazione denuncia l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui è stata confermata la legittimità del provvedimento sanzionatorio per la violazione del termine di cui all’art. 195 TUF, con la conseguente decadenza della Consob dalla potestà sanzionatoria.

Si deduce che ogni profilo relativo alla prima violazione contestata era noto alla Consob sin dal marzo 2012, allorquando era stata svolta un’attività di vigilanza informativa; inoltre le relazioni della funzione compliance erano state annualmente trasmesse alla Consob, come confermato dalle specifiche richieste di dati e notizie da parte dell’autorità, alle quali la banca aveva sempre fornito risposta.

Quanto alla seconda violazione si evidenzia che la Divisione Mercati della Consob aveva avviato un intenso dialogo con la banca sin dall’ottobre del 2013, quanto al funzionamento del sistema interno di scambio di azioni proprie, e che in data 7 novembre 2014 la Consob aveva svolto una propria istruttoria in ordine al prospetto d’offerta relativo al prestito subordinato convertibile, prospetto nel quale erano puntualmente indicate le modalità di determinazione del prezzo dello strumento.

Attesa la conoscenza dei fatti sanzionati già risalente agli anni 2012, per la prima violazione, ad all’anno 2014, per la seconda, non poteva la Consob far riferimento, al fine del rispetto del termine di decadenza, alla successiva attività ispettiva della Banca d’Italia.

Il motivo deve essere rigettato.

La giurisprudenza di questa Corte, anche di recente, ha confermato la propria costante giurisprudenza secondo cui (Cass. n. 9254/2018) in tema di sanzioni amministrative per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione, non coincide necessariamente e automaticamente nè col termine dell’attività ispettiva nè con la data di deposito della relazione nè con quella in cui la Commissione si è riunita per prenderla in esame, poichè la pura “constatazione” dei fatti non coincide necessariamente con l’accertamento”. Ne consegue che occorre individuare, secondo le caratteristiche e la complessità della situazione concreta, il momento in cui ragionevolmente la constatazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento, momento dal quale deve farsi decorrere il termine per la contestazione stessa.

E’ stato altresì aggiunto che (Cass. n. 21171/2019) la ricostruzione e la valutazione delle circostanze di fatto inerenti ai tempi occorrenti per la contestazione e alla congruità del tempo utilizzato in relazione alla difficoltà del caso sono rimesse al giudice del merito, il quale deve limitarsi a rilevare se vi sia stata un’ingiustificata e protratta inerzia durante o dopo la raccolta dei dati di indagine (conf. Cass. n. 27405/2019), tenendo altresì conto della sussistenza di esigenze di economia che inducano a raccogliere ulteriori elementi a dimostrazione di altre violazioni rispetto a quelle accertate, mentre la valutazione della superfluità degli atti di indagine deve essere svolta con giudizio “ex ante”, restando irrilevante la loro inutilità “ex post”. A tal fine, quindi, il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della Consob, va individuato in quello in cui la constatazione si è tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento, dovendosi a tal fine tener conto, oltre che della complessità della materia, delle particolarità del caso concreto anche con riferimento al contenuto e alle date delle operazioni.

Posti tali principi, ai quali il Collegio intende assicurare continuità, si palesa con evidenza l’infondatezza della censura della ricorrente.

La sentenza impugnata, con accertamento in fatto, come detto, non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, ha escluso che gli elementi conoscitivi, di cui la Consob era già in precedenza in possesso, consentissero di poter immediatamente far configurare la responsabilità del ricorrente per gli illeciti contestati, e che un quadro unitario, peraltro necessitante di ulteriori approfondimenti e valutazioni, potesse solo scaturire dall’esito dell’attività ispettiva della Banca d’Italia, avuto riguardo in particolare all’esigenza di considerare i vari profili emersi dall’attività della Banca d’Italia, in un settore di elevata complessità, ed occorrendo altresì graduare le responsabilità tra i vari soggetti coinvolti, in relazione al ruolo in concreto svolto da ognuno di essi nella vicenda dipanatasi nel corso di vari anni.

Il motivo deve quindi essere rigettato.

5. Il quarto motivo di ricorso lamenta l’illegittimità della sentenza nella parte in cui ha rigettato l’opposizione avverso il provvedimento sanzionatorio, in violazione del principio di responsabilità di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 3, comma 1 in relazione alla permanenza nella carica del ricorrente.

Deduce il G. di avere ricoperto l’incarico di responsabile della funzione compliance della banca sino al novembre del 2013 e che, come dedotto nell’atto di opposizione, le violazioni contestate sono riferibili ad epoche successive alla sua cessazione dalla carica, senza che tale deduzione sia stata adeguatamente rilevata dalla Corte d’Appello.

Il motivo è inammissibile, in quanto mira nella sostanza a sollecitare la Corte ad un nuovo apprezzamento dei fatti in contrasto con quello compiuto dal giudice di merito, con motivazione coerente ed immune da vizi logici.

La sentenza gravata ha rilevato, in risposta all’analogo motivo di opposizione del ricorrente, che sebbene i rilievi ispettivi si fossero appuntati su operazioni monitorate nel corso degli anni 2014 e 2015, il richiamo a tali operazioni aveva una funzione esemplificativa, e mirava a confermare come tali operazioni fossero conseguenza di un sistema,, non conforme alle prescrizioni normative, che era iniziato allorchè la funzione di compliance era ricoperta dal G., che, per il periodo in cui aveva rivestito tale ruolo, non aveva attivato i propri poteri di intervento e segnalazione.

L’analitica ricostruzione delle vicende fattuali relative ad entrambe le violazioni contestate, conforta tale convincimento, posto che le anomalie nella fornitura del servizio di investimento, con l’assenza di procedure bloccanti volte ad impedire la collocazione di prodotti non adeguati alla posizione dei singoli clienti avuto riguardo al parametro dell’adeguatezza del rischio, denota che solo nel corso degli anni si è tentato di approntare dei blocchi procedurali in linea con le prescrizioni dettate dalla normativa di settore, blocchi peraltro frequentemente aggirati senza particolari difficoltà dai singoli operatori, con la conferma che già all’epoca in cui il G. ricopriva la funzione di addetto alla compliance, sussistevano evidenti violazioni di carattere procedurale e comportamentale in ordine all’adeguata valutazione del profilo della clientela in rapporto agli investimenti proposti.

Inoltre, la stessa affermazione del giudice di appello, quanto alla violazione che attiene al meccanismo di determinazione del prezzo di riferimento dello scambio di azioni proprie, secondo cui era la stessa formulazione del regolamento del 2012 a porsi in contrasto con l’art. 21 del TUF, a confortare l’assunto della responsabilità personale del G., atteso che la vicenda della conversione del prestito obbligazionario del 2014 è riportata come precipitato dell’illegittimità a monte del regolamento e di come tale illegittimità avesse poi determinato degli effetti distorsivi nella vicenda narrata.

6. Il quinto motivo di ricorso denuncia l’illegittimità della sentenza per la violazione dell’art. 190 TUF e dell’art. 16, comma 2 del Regolamento congiunto Banca d’Italia – Consob del 29 ottobre 2007, in relazione alle mansioni ed ai compiti del G., con la violazione del principio di responsabilità di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 3, comma 1.

Si ribadisce la correttezza della condotta del ricorrente, assumendosi che le contestazioni mosse al suo operato non troverebbero riscontro nel concreto atteggiamento del G. che aveva promosso e contribuito al costante perfezionamento delle procedure adottate dalla banca in materia di servizi di investimento.

I fatti contestati denotano invece la responsabilità di altri addetti della banca, non rientrando nella funzione della compliance quella di verificare la correttezza del comportamento dei singoli.

Analoghe considerazioni vanno svolte anche in relazione alla seconda violazione, non potendo il G. essere ritenuto responsabile del controllo sul sistema di scambio delle azioni proprie della banca.

Anche tale motivo è privo di fondamento.

La sentenza impugnata ha puntualmente richiamato in motivazione il contenuto dell’art. 16 del regolamento congiunto Consob – Banca d’Italia del 29/10/2007, applicabile ratione temporis, che, quanto alla funzione di compliance, espressamente prevede al comma 2 che:

“A tal fine, gli intermediari attribuiscono alla funzione di controllo di conformità (compliance), le seguenti responsabilità, garantendo un adeguato accesso alle informazioni pertinenti:

a) controllare e valutare regolarmente l’adeguatezza e l’efficacia delle procedure adottate ai sensi dell’art. 15 e delle misure adottate per rimediare a eventuali carenze nell’adempimento degli obblighi da parte dell’intermediario, nonchè delle procedure di cui al comma 1;

b) fornire consulenza e assistenza ai soggetti rilevanti incaricati dei servizi ai fini dell’adempimento degli obblighi posti dalle disposizioni di recepimento della direttiva 9 Gli artt. da 15 a 18, da 23 a 29, 34, 42, da 45 a 49, da 59 a 63 presente regolamento cessano di essere applicati dal 20 febbraio 2018, data di entrata in vigore del regolamento intermediari adottato dalla Consob con Delib. 15 febbraio 2018, n. 20307, 16 2004/39/CE e delle relative misure di esecuzione”.

La sentenza impugnata, al riguardo ha rilevato che non fosse sufficiente ad escludere la responsabilità del G. che questi avesse richiesto informazioni ed effettuato verifiche, con un controllo mirato all’adeguatezza degli interventi adottati, sottolineando che la specifica funzione della compliance, autonoma gerarchicamente e funzionalmente collegata agli organi di vertice, imponeva di verificare che le procedure interne fossero coerenti con l’esigenza di prevenire la violazione delle norme applicabili all’intermediario.

L’ausilio svolto da tale funzione agli organi di amministrazione e di controllo degli intermediari, al fine di assicurare agli organi di vertice una piena consapevolezza delle modalità di gestione del rischio, non permette di invocare come esimente la qualità di dipendente della banca, rispetto alla quale svolge detto ruolo ausiliario, ma impone in ogni caso di segnalare e verificare l’esistenza e l’adeguatezza di presidi idonei a consentire la corretta prestazione dei servizi.

Non è quindi effettivamente compito della funzione di compliance verificare e reprimere le condotte contrarie agli interessi degli investitori dei singoli operatori, ma verificare se le modalità procedurali in concreto adottate siano idonee a prevenire il pericolo per gli investitori anche in ragione della potenziale condotta abusiva dei singoli operatori.

Ebbene, quanto alla seconda violazione, era la stessa formulazione del regolamento interno a favorire una determinazione inadeguata del prezzo di riferimento delle azioni proprie, mentre quanto alla prima violazione, è stata sottolineata l’assenza di blocchi procedurali automatici volti a prevenire eventuali condotte malevole dei singoli intermediari (blocchi che sebbene successivamente introdotti, allorchè il G. era cessato dall’incarico, erano in ogni caso facilmente aggirabili con una valutazione manuale del singolo addetto).

La sentenza gravata è pervenuta all’affermazione della responsabilità sulla base della constatazione per cui i controlli e gli interventi documentati dal ricorrente, erano risultati del tutto inefficaci ed inadeguati a preservare la banca ed i risparmiatori dalle irregolarità accertate dalla Consob, rimarcandosi come tale evenienza avrebbe dovuto e potuto essere evitata con l’individuazione e la predisposizione di presidi necessari (come peraltro confermato dal fatto che le anomalie procedurali si erano protratte, sebbene con varie modalità, sino alla data dell’ispezione).

Nel provvedimento impugnato non vi è alcuna violazione, quindi, delle prescrizioni del detto regolamento, ma una valutazione in fatto, e come tale non suscettibile di sindacato in questa sede, dell’inadeguato svolgimento delle funzioni specificamente riservate al G. durante il periodo del suo incarico, il che consente di escludere la fondatezza della censura mossa (per analoghe considerazioni quanto al ruolo del’addetto alla compliance, si veda Cass. n. 24081/2019).

7. Il sesto motivo di ricorso denuncia l’illegittimità della sentenza nella parte in cui ha confermato la legittimità del provvedimento sanzionatorio in violazione del principio di responsabilità di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 3, comma 1 in relazione alla responsabilità funzionale del ricorrente, con la violazione delle norme concernenti l’onere della prova ed in assenza di motivazione.

Si deduce che la responsabilità del ricorrente sarebbe stata fondata sulla sola carica di responsabile della funzione compliance ricoperta per un breve periodo, laddove erano state con l’opposizione evidenziate le circostanze di fatto che escludevano tale responsabilità.

Il motivo è inammissibile.

Come rilevato in occasione della disamina del motivo che precede, la Corte d’Appello, dopo avere ricordato i doveri incombenti sulla funzione di compliance, ai sensi della norma regolamentare riportata, ha ritenuto che le varie attività di cui aveva offerto documentazione il ricorrente, sebbene riconducibili alle mansioni affidategli dalla normativa di settore, si erano rivelate del tutto inefficaci ed inadeguate, non avendo provveduto ad individuare e suggerire quei presidi necessari a rimuovere la situazione di contrasto tra la normativa applicabile e le procedure in concreto adottate dalla banca.

La decisione, lungi dall’invertire l’onere della prova, ha ritenuto che invece proprio le prove offerte dal ricorrente, alla luce delle evidenti inadempienze emerse in sede ispettiva confermassero la violazione addebitata al G. in quanto riconosciuto inadempiente ai doveri gravanti sulla funzione ricoperta. Nè vale addurre, a fronte delle argomentazioni spese in sentenza, un preteso difetto di motivazione, atteso che, una volta intervenuta la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed affermato da questa Corte il principio del cd. minimo costituzionale della motivazione (Cass. S.U. n. 8053/2014), la decisione impugnata soddisfa ampiamente i requisiti prescritti dalla norma ai fini della validità della motivazione, mancando quelle anomalie che potrebbero legittimare la denuncia del vizio di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

Il motivo va quindi rigettato.

8. Atteso il rigetto del ricorso, le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

9. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda Civile, il 9 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2021

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA