Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2638 del 01/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 01/02/2017, (ud. 17/11/2016, dep.01/02/2017),  n. 2638

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27841/2015 proposto da:

B.E., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO

BERTOLI, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

D.P.P., D.P.E., D.A., elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato RODOLFO ROMITO, giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

M.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1104/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

emessa il 14/04/2015 e depositata il 27/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ENZO VINCENTI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il Consigliere designato ha depositato, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la seguente relazione:

“1. – Con sentenza resa pubblica il 27 aprile 2015, la Corte di appello di Venezia rigettava l’impugnazione proposta da B.E. avverso la decisione del Tribunale di Padova che aveva accolto le domande proposte da D.P.P., D.P.E. e D.A., quali eredi di D.P.R., condannando M.G. al pagamento, a titolo di canoni locatizi insoluti (in forza della locazione intercorsa tra il dante causa degli attori e la società G&P Bike s.n.c. e poi s.a.s., della quale il predetto M. era socio accomandatario e la di lui moglie, B.E., socia accomandante), della somma di Euro 43.134,67 e disponendo, ai sensi dell’art. 2901 c.c., la revoca della vendita, a titolo gratuito, della metà della casa di abitazione effettuata dallo stesso M., in sede di separazione consensuale omologata il 31 maggio 2007, in favore dell’anzidetto coniuge.

2. – Avverso tale sentenza – per la statuizione concernente la revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c. – ricorre B.E. sulla base di quattro motivi, cui resistono con controricorso D.P.P., D.P.E. e D.A., mentre non ha svolto attività difensiva in questa sede l’intimato M.G..

3. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione dell’art. 160 c.p.c. e art. 2495 c.c., “per aver la Corte d’Appello di Venezia compiuto un errore di fatto su un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e per aver violato le disposizioni in tema di regolare costituzione del contraddittorio”.

3.1. – Il motivo è manifestamente.

La Corte territoriale ha dato atto che dal 15 febbraio 2006 la società G.P. Bike s.a.s. di Gabriele M. e C. era stata cancellata dall’albo delle imprese artigiane, mantenendo, invece, l’iscrizione nel registro delle imprese alla data del 29 giugno 2009 con lo stato di “inattiva”. Dunque, la censura di parte ricorrente -che, nell’assumere un supposto errore del giudice di appello nel non aver ravvisato la cancellazione della società alla data del febbraio 2006, manca affatto di distinguere tra le due anzidette iscrizioni – non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata e, come tale, è inammissibile.

Rimanendo, dunque, fermo l’accertamento del giudice del merito sulla perdurante iscrizione alla data del 29 giugno 2009 della società della quale il M. era socio accomandatario, ne consegue l’inammissibilità delle ulteriore doglianze che deducono la violazione del contraddittorio perchè il giudizio di convalida di sfratto sarebbe stato instaurato nei confronti soggetto inesistente, ossia la medesima società G.P. Bike, asseritamente cancellata nel 2006.

4. – con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3″ la violazione dell’art. 2697 c.c..

La corte territoriale – posto che la G.P. Bike s.a.s. era stata cancellata dal registro delle imprese dal febbraio 2006 – avrebbe errato nel ritenere provata la pretesa vantata dagli attori a titolo di canoni di locazione insoluti nei confronti del M., in assenza di valido contratto, giacchè la locazione era stata stipulata dalla predetta società ormai non più esistente dal 2006.

4.1. – Il motivo è inammissibile, giacchè muove da presupposto di fatto (cancellazione della G.P. Bike s.a.s. dal registro delle imprese nel febbraio 2006) che – come visto – è smentito dall’accertamento del giudice di merito, consolidatosi a seguito del negativo scrutinio delle censure che precedono.

5. – con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2901 c.c., nonchè dedotta la “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la corte d’Appello di Venezia ritenuto che alla data della citazione dello sfratto per morosità – febbraio 2008 – D.P. vantava un credito di Euro 45.154,67 pari a circa quindici mensilità e, conseguentemente, che l’atto di cessione oggetto di revocazione sia posteriore al sorgere del credito dei D.P.”.

6. – con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 2901, 2909 e 2967 c.c., nonchè dedotta “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la corte d’Appello di Venezia ritenuto che non sarebbe stata fornita la prova che la B. abbia pagato lavori eseguiti sulla casa adibita a residenza coniugale in eccesso rispetto alla metà di quelli che si sono resi necessari per portare a termine i lavori di costruzione dell’immobile e tali, dunque, da superare il valore della quota (50%) di comproprietà già a lei intestata”.

6.1. – Il terzo ed il quarto motivo, da scrutinarsi congiuntamente, sono manifestamente inammissibili.

Con essi – lungi dall’essere veicolate censure di erorres in iudicando (non evidenziandosi affatto quali principi in diritto abbia violato la sentenza impugnata) – si critica esclusivamente l’accertamento in fatto operato dalla corte di appello (pp. 10/13 della sentenza impugnata) sulla individuazione del momento di insorgenza del credito tutelato ai sensi dell’art. 2901 c.c., sulla dimostrazione della scientia fraudis in capo alla stessa B. (ove detta insorgenza del credito fosse ritenuta provata in momento anteriore all’atto dispositivo), nonchè sulla prova che la cessione gratuita della quota di proprietà immobiliare dal M. al coniuge era in adempimento di un debito scaduto (ossia le somme erogate dalla B. per la costruzione e la ultimazione della comune casa di abitazione).

Si tratta, dunque, di doglianze che attengono a quaestiones facti, impingendo sull’apprezzamento dei fatti e sulla valutane delle prove rimessa esclusivamente al giudice del merito e da questi effettuata, senza che nemmeno sia evidenziato – ai sensi del vigente dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso tra le parti (Cass., sent. un., 7 aprile 2014, n. 8053), limitandosi parte ricorrente a dolersi di una lettura delle risultanze istruttorie diversa (e “non corretta”) rispetto a quella auspicata dalla stessa parte interessata e, quindi, veicolando censure che, così come prospettate, non erano scrutinabili neppure sotto il regime del previgente n. 5 dello stesso art. 360 c.p.c..

7. – Sussistendone i presupposti, ai sensi degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., il ricorso può, dunque, essere avviato alla trattazione camerale, per essere ivi dichiarato inammissibile”;

che la relazione ex art. 380-bis c.p.c. ed il decreto di fissazione dell’adunanza della corte in Camera di consiglio sono stati notificati ai difensori delle parti;

che i controricorrenti hanno depositato memoria in prossimità della predetta adunanza;

che il collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione ex art. 380-bis c.p.c.;

che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile e la ricorrente deve essere condannata al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo in conformità ai parametri introdotti dal D.M. n. 55 del 2014;

che nulla è da disporsi in punto di regolamentazione di dette spese nei confronti dell’intimato che non ha svolto attività difensiva in questa sede.

PQM

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore dei controricorrenti, in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2017

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