Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26379 del 07/12/2011

Cassazione civile sez. I, 07/12/2011, (ud. 17/11/2011, dep. 07/12/2011), n.26379

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23464/2009 proposto da:

R.C. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA NAZIONALE 204, presso l’avvocato ALESSANDRO BOZZA,

rappresentato e difeso dall’avvocato SENA GIUSEPPE, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 38, presso l’avvocato POMARICI

COSTANZA, rappresentata e difesa dall’avvocato STURIALE LUCIA, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1084/2009 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 04/08/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2011 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato ALESSANDRO BOZZA, con delega,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato COSTANZA POMARICI, con

delega, che ha chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 16.05.2008, il Tribunale di Siracusa, pure disposti accertamenti tributari, pronunciava la separazione personale dei coniugi C.A. (ricorrente) e R.C., rigettando la domanda di costei di addebito della separazione al marito, affidava la figlia minorenne (nata nel (OMISSIS)) alla madre, regolamentando il diritto paterno di frequentazione della bambina, assegnava alla C. la casa coniugale e gli arredi, poneva a carico del R. l’obbligo di versare alla moglie per il mantenimento della stessa e della figlia l’assegno mensile di complessivi Euro 500,00, di cui Euro 200,00 per la prima, dichiarava inammissibile la domanda di restituzione di arredi e somme di denaro proposta dal R. e rigettava le altre domande, compensando tra le parti le spese del giudizio.

Con sentenza del 16.07-4.08.2009 la Corte di appello di Catania respingeva l’appello principale del R. inerente all’assegno di Euro 200,00, impostogli per il mantenimento della moglie, e, in accoglimento, invece, del gravame incidentale della C., addebitava la separazione al primo, che anche condannava al pagamento delle spese di entrambi i gradi di merito del giudizio.

Quanto all’appello principale del R., la Corte territoriale, richiamate le disposizioni di cui all’art. 156 cod. civ. e la relativa elaborazione giurisprudenziale, riteneva: a. che era stato dimostrato che la C. svolgeva attività d’insegnante (elementare), ma non con carattere di stabilità, e che l’ammontare dei suoi dichiarati introiti annuali, era all’incirca pari alla metà del reddito dichiarato dal marito (appuntato dei Carabinieri), sicchè in presenza di un tale divario economico, correttamente il primo giudice aveva posto a carico del marito l’assegno di mantenimento in favore della moglie;

b. che la medesima C., fruendo di emolumenti di gran lunga inferiori a quelli del R. e privi di carattere di stabilità, non avrebbe potuto mantenere il pregresso tenore della vita coniugale, che ben poteva essere presunto sulla base dei redditi dichiarati dalle parti, entrambe lavoratori dipendenti;

c. che, peraltro, il primo giudice, nel determinare l’ammontare dell’assegno, aveva anche tenuto conto del fatto che la moglie svolgeva, comunque, un’attività produttiva di reddito, tanto da ridurre la somministrazione in suo favore ad appena Euro 200,00, somma compatibile con le entrate del R. che, di contro, non aveva provato di dover sostenere spese alloggiative, nè quale fosse stata la destinazione del denaro, ottenuto tramite il mutuo con oneri di rimborso gravanti sul suo stipendio.

Quanto al gravame incidentale della C., inerente al diniego di addebito della separazione al R., addebito dalla prima ricondotto alle violenze subite dal marito, la Corte distrettuale, pure richiamati noti principi di diritto su tale tema, non condivideva la valutazione sul punto resa dal Tribunale circa l’insufficienza della sola testimonianza della madre dell’appellante, Ca.Vi., a fornire la prova dei dedotti fatti.

I giudici di appello:

a. sottolineavano sia che, data la natura delle circostanze da provare, era difficile che soggetti diversi dai familiari ne fossero venuti a conoscenza e sia che l’attività di carabiniere svolta dal R., aveva ben potuto influire sulla mancanza di querele e referti ospedalieri, di certo evitati nel timore di conseguenze per lui negative;

b. osservavano che la teste aveva riferito circostanze apprese direttamente, avendo visto per ben due volte il R. brandire un coltello e minacciare la moglie, che presentava segni evidenti delle percosse subite;

c. aggiungevano che le violenze dovevano essere inquadrate in un contesto di vessazioni e di imposizioni, essendo stato provato, con le testimonianze sia della madre che del fratello della C., che il R. pretendeva che la moglie gli consegnasse l’intero importo dello stipendio e di decidere da solo su tutte le spese, familiari e personali.

Avverso questa sentenza il R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e notificato il 20.10.2009 alla C., che ha resistito con controricorso notificato il 30.11-3.12.2009.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va ritenuta l’irricevibilità dei documenti solo inseriti dal R. nel ricorso, in violazione dell’art. 372 c.p.c. e delle formalità prescritte dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4.

A sostegno del ricorso il R. denunzia:

1. “Error in procedendo: Violazione dell’art. 343 c.p.c. (art. 360, n. 4 in relazione agli artt. 101 e 166 c.p.c., art. 24 Cost.) e mancanza di motivazione”.

Sostiene:

– che nel giudizio d’appello, da lui introdotto (con atto depositato il 31.07.2008), l’appellata C. si era costituita nella cancelleria della Corte di appello di Catania il 21.01.09 e cioè un giorno prima dell’udienza di comparizione, anzichè venti giorni prima come prescritto dall’art. 343 c.p.c., di tal che il suo appello incidentale era tardivo e come tale inammissibile, essendosi avverata la decadenza prevista dallo stesso art. 343 c.p.c..

– che la tardiva proposizione dell’appello incidentale gli aveva precluso l’esercizio del diritto di difesa, di tal che la statuizione della Corte di appello in merito all’appello incidentale era stata assunta in violazione del principio del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c. che tale violazione era stata da lui eccepita nel verbale di prima comparizione, ma in proposito la Corte di appello di Catania non aveva addotto alcuna motivazione, sicchè ricorreva anche il vizio di mancanza di motivazione circa il rigetto di tale eccezione decisiva per il giudizio;

– che, comunque, tale error in procedendo era rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado e, quindi, anche nell’odierno giudizio di legittimità.

Il motivo non merita favorevole apprezzamento.

Secondo il condiviso principio di diritto affermato da questa Corte “il rito camerale, previsto per l’appello avverso le sentenze di separazione personale, essendo caratterizzato dalla sommarietà della cognizione e dalla semplicità delle forme, esclude la piena applicabilità delle norme che regolano il processo ordinario e, in particolare, del termine perentorio fissato, per la relativa proposizione, dall’art. 343 c.p.c., comma 1, in quanto il principio del contraddittorio viene rispettato per il solo fatto che il gravame incidentale sia portato a conoscenza della parte avversa entro limiti di tempo tali da assicurare a quest’ultima la possibilità di far valere le proprie ragioni mediante organizzazione di una tempestiva difesa tecnica, da svolgere in sede di udienza camerale (Cass., tra le altre, Cass. n. 1179 del 2006; n. 14965 del 2007;n. 27775 del 2008).

D’altra parte il ricorrente si limita inammissibilmente ad affermare la lesione del suo diritto di difesa senza anche precisare in quali specifici pregiudizi essa si sia sostanziata, dato che in materia di impugnazioni civili, dai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire si desume quello per cui la denunzia di vizi dell’attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio del diritto di difesa concretamente subito dalla parte che denuncia il vizio, nella specie, come detto, non enunciato.

2. “Error in indicando. Violazione dell’art. 151 c.c. e mancanza di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione all’art. 115 c.p.c. ed all’art. 2729 c.c.).”.

Il R. si duole della statuizione di addebito a sè della separazione.

3. “Violazione dell’art. 156 c.c. e mancanza di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione all’art. 115 c.p.c. e art. 2729 c.c.)”.

Il ricorrente si duole della conferma del suo obbligo di corrispondere Euro 200,00, quale assegno di mantenimento per la moglie.

Entrambi i motivi non meritano favorevole apprezzamento, rivelandosi le avversate statuizioni fondate su congrue e logiche argomentazioni, aderenti al dettato normativo ed alla relativa elaborazione giurisprudenziale.

L’addebito della separazione al ricorrente è stata riferita alle reiterate violenze fisiche e morali da lui infette alla moglie, la cui dimostrazione si rivela irreprensibilmente tratta pure dal contenuto delle deposizioni testimoniali rese dal fratello e dalla madre della C., la quale, in particolare, aveva personalmente percepito nel corso degli episodi, atti e fatti oggettivi, attendibilmente idonei ad essere assunti a prova dei contegni in questione. Al riguardo la Corte distrettuale ha ulteriormente e congruamente chiarito le comprensibili ragioni per le quali l’efficacia probatoria di tali mezzi non poteva nemmeno ritenersi contrastata dalla mancata adozione da parte della C., di iniziative volte alla pubblicizzazione e repressione dei subiti illeciti nonchè ineccepibilmente ritenuto, alla luce dei richiamati e condivisi principi di diritto espressi da questa Corte di legittimità, che ove i fatti accertati a carico di un coniuge costituiscano violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili – traducendosi nell’aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l’incolumità e l’integrità fisica, morale e sociale dell’altro coniuge, ed oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità del partner – non solo integrano violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sè sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore di esse, ma inoltre, sono insuscettibili di essere giustificati come ritorsione e reazione al comportamento di quest’ultimo e si sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l’addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere (cfr, tra le altre, Cass. n. 7321 del 2005; n. 8548 del 2011). Quanto allo statuito assegno di mantenimento in favore della C., dall’impugnata sentenza emerge sia la dovuta comparazione delle condizioni economiche delle parti, dalle quali ineccepibilmente è stato pure desunto il pregresso tenore della vita coniugale, sia verificata la disparità di condizioni economiche esistente in danno della moglie e l’impossibilità della stessa di mantenere, almeno tendenzialmente, con i suoi soli mezzi, il preesistente livello di vita e sia la capienza degli introiti del R. rispetto pure all’apporto di Euro 200,00 mensili, stabilito ad integrazione delle insufficienti risorse di lei. Contro queste irreprensibili valutazioni il R. solleva inammissibili censure apodittiche, generiche e non decisive, quanto anche alla destinazione del contratto prestito, agli oneri alloggiativi ed alle pregresse richieste istruttorie, o sollecita supplementi d’istruttoria ed un diverso apprezzamento dei medesimi dati, non consentiti in sede di legittimità. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con conseguente condanna del R., soccombente, al pagamento in favore della C., delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il R. a rimborsare alla C. le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2011

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