Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26377 del 19/11/2020

Cassazione civile sez. I, 19/11/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 19/11/2020), n.26377

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7685/2019 proposto da:

F.U., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Apollodori, 26,

presso lo studio dell’avvocato Antonio Filardi, e rappresentato e

difeso dall’avvocato Antonella Zotti, per procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t, domiciliato per

legge presso l’Avvocatura Generale dello Stato in Roma, Via dei

Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 794/2019 del Tribunale di Napoli, Sezione

specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale

e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, depositato

il 04/02/2019.

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia,

nella Camera di consiglio del 23/09/2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Napoli, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con il decreto in epigrafe indicato ha rigettato l’opposizione proposta D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis, da F.U., cittadino del (OMISSIS), della Regione del Punjab, avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Caserta del 30/03/2017, di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. F.U. ricorre per la cassazione dell’indicato decreto con due motivi, in via preliminare sollevando altresì una questione di illegittimità costituzionale della norma applicabile.

Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. F.U., cittadino pakistano della Regione del Punjab, nel racconto reso alla competente Commissione territoriale aveva dichiarato di aver lasciato il proprio paese nel luglio del 2010 per la Libia – e tanto temendo per la propria incolumità dopo essere stato minacciato di morte in seguito ad una lite insorta con i vicini di casa che, intenzionati a comprare un terreno di proprietà della famiglia, nella stessa occasione ne avevano ucciso il fratello ed il cugino e, ancora, in seguito all’iniziativa assunta dalle mogli degli assassini che dopo l’arresto dei coniugi avevano minacciato il richiedente perchè ritirasse la denuncia – e di aver raggiunto l’Italia nel 2016.

Egli ricorre avverso il decreto del Tribunale di Napoli, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con cui era stata rigettata l’opposizione proposta avverso il provvedimento amministrativo di diniego della protezione.

2. In via preliminare, il ricorrente sollecita il rilievo della questione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato.

La norma doveva intendersi viziata da illegittimità costituzionale perchè irragionevole e violativa del principio di parità delle parti.

Ed infatti, il Ministero dell’Interno non doveva rilasciare procura speciale alle liti per stare in giudizio davanti alla Corte di cassazione e l’Avvocatura dello Stato aveva disposizione trenta giorni effettivi per preparare la propria difesa là dove, invece, la difesa del richiedente asilo, nella migliore delle ipotesi, avrebbe goduto di un giorno di meno.

La disposizione di carattere generale, ovverosia l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3, sancisce l’improcedibilità del ricorso nell’ipotesi in cui la procura non sia stata depositata in atti là dove invece l’art. 35-bis, comma 13, cit. stabilisce l’inammissibilità del ricorso ove la procura non sia stata autenticata almeno il giorno successivo alla comunicazione del decreto.

3. Con il primo motivo il ricorrente fa poi valere la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in combinato disposto con l’art. 5, comma 6, e con l’art. 19, comma 1, TUI e vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il tribunale non aveva motivato, se non in modo apodittico, sul diniego del riconoscimento della protezione umanitaria e non aveva considerato la documentazione prodotta e affidandosi alla motivazione della Commissione territoriale non aveva tenuto conto che il richiedente aveva abbandonato il proprio Paese temendo di essere ucciso.

I giudici di merito non avevano apprezzato i fattori soggettivi di vulnerabilità del ricorrente e quindi la giovane età del richiedente all’epoca in cui era fuggito dal Pakistan e l’evidenza che in caso di suo rimpatrio lo stesso non avrebbe avuto nessuno che si sarebbe preso cura di lui.

4. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il tribunale aveva omesso di accertare ex art. 14, lett. c) D.Lgs. cit. la situazione del Paese di origine, con riferimento alla Regione di provenienza, avuto riguardo a possibili discriminazioni per motivi religiosi per fonti che fossero aggiornate al momento della decisione e non aveva correttamente valutato le dichiarazioni del richiedente là dove egli aveva affermato che non si era rivolto alle Autorità locali perchè non lo avrebbero mai aiutato.

5. Premesso che la mera prospettazione di una questione di illegittimità costituzionale di una norma non integra un motivo di ricorso per cassazione, nella incapacità della prima di definire un vizio del provvedimento impugnato idoneo a determinarne l’annullamento da parte della Corte di cassazione (Cass. 09/07/20 n. 14666), va innanzitutto dichiarata manifestamente infondata la proposta questione di illegittimità costituzionale.

Questa Corte di cassazione ha, per vero, già avuto modo di affermare che è manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena di inammissibilità, in data successiva alla comunicazione del decreto da parte della cancelleria.

L’indicata previsione non determina una disparità di trattamento tra la parte privata ed il Ministero dell’interno, che non deve rilasciare procura, armonizzandosi la prima con il disposto dell’art. 83 c.p.c., quanto alla specialità della procura, senza escludere l’applicabilità dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3 (Cass. n. 32029 del 11/12/2018, in motivazione, pp. 4 e 5).

6. Nel resto.

Il primo motivo è inammissibile perchè generico.

I tribunale motiva sulla mancanza negli atti di violenza per cui è stata richiesta la protezione internazionale, di una condizione di personale vulnerabilità fondata su specifiche e plausibili ragioni di fatto legate alla situazione concreta e personale del richiedente (Cass. n. 4455 del 2018) e non incorre, per ciò, nella ipotesi dell’apparenza della motivazione, apprezzando della dedotta situazione la non meritevolezza del rimedio ed su siffatta premessa il ricorrente si limita inammissibilmente a contrapporre a quella valutazione una reiterazione delle iniziali difese (Cass. n. 22478 del 24/09/2018).

La censura non si confronta inoltre con la più articolata motivazione nella parte in cui il tribunale valuta come infondata la domanda per insussistenza di una situazione di vulnerabilità connotata, nel Paese di origine, dalla violazione dei diritti umani inalienabili o dall’impedimento al loro esercizio.

7. Il secondo articolato motivo è inammissibile perchè generico e manca, ancora, di ogni confronto con l’impugnata decisione.

7.1. La non credibilità del racconto – questo il giudizio espresso dal tribunale nell’impugnato decreto – esclude l’attivazione ufficiosa dei poteri istruttori giudiziali per la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b).

7.2. Quanto poi alla ipotesi di cui dell’art. 14, lett. c) D.Lgs., censurata nelle valutazioni in tema condotte dal tribunale, si ha che il motivo si presta ad una ulteriore valutazione di inammissibilità ed infondatezza.

Il ricorrente manca infatti di dedurre sulla tempestiva deduzione davanti ai giudici di merito di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale nel suo Paese.

Se lo straniero che chieda il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c),, non ha infatti l’onere di presentare, tra gli elementi e i documenti necessari a motivare la domanda (art. 3, comma 1, D.Lgs. cit.), quelli che si riferiscono alla sua storia personale, salvo quanto sia indispensabile per verificare il Paese o la regione di provenienza, perchè, a differenza delle altre forme di protezione, in quest’ipotesi non rileva alcuna personalizzazione del rischio (Cass. n. 13940 del 06/07/2020), ciò posto, ove il cittadino straniero invochi protezione ex art. 14, lett. c) cit., egli deve fornire elementi utili circa l’esistenza di un conflitto armato nel suo Paese perchè poi insorga l’obbligo di cooperazione istruttoria del giudice del merito (vd. Cass. n. 17069 del 28/06/2018 e Cass. n. 13940 del 06/07/2020).

Vero è inoltre che il tribunale ha provveduto a scrutinare la situazione del Paese di origine, il Punjab, su fonti ufficiali ed aggiornate (attraverso la consultazione del sito web (OMISSIS) rapporto Easo sulla sicurezza in Pakistan del 2018) per poi escludere l’esistenza di un conflitto armato ex art. 14, lett. c).

7.3. L’indicata situazione è stata altresì apprezzata dai giudici del merito, per poi essere esclusa nel suo rilievo, in raccordo con la situazione personale del richiedente, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6 (p. 6 decreto).

L’ulteriore profilo del motivo di ricorso là dove fa valere sulla questione una omessa pronuncia è come tale manifestamente infondato.

8. Il ricorso è nel suo complesso inammissibile”.

Le spese sono liquidate secondo soccombenza come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto (secondo la formula da ultimo indicata in Cass. SU n. 23535 del 2019) della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al Ministero dell’interno le spese del giudizio che liquida in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2020

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