Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26376 del 29/09/2021

Cassazione civile sez. trib., 29/09/2021, (ud. 15/07/2021, dep. 29/09/2021), n.26376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6504/2019 proposto da:

D.S.L.N., nato a Palermo il (OMISSIS) (C.F.:

(OMISSIS)), residente in (OMISSIS), elettivamente domiciliato presso

il suo studio legale, sito in Palermo alla Via Villafranca n. 40;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PALERMO (C.F. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato presso l’Avvocatura Comunale di

Palermo, in Piazza Marina n. 39, rappresentato e difeso dall’Avv.

ROBERTO SAETTA, giusta procura speciale;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3022/2018 emessa dalla CTR Sicilia in data

16/07/2018 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Andrea

Penta.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

D.S.L.N. impugnava dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Palermo cinque avvisi di accertamento dal 2004 ai 2007 notificatigli da quel Comune Capoluogo per ICI.

A sostegno del proprio gravame eccepiva di non essere possessore degli immobili per i quali veniva fatta valere la pretesa tributaria in contestazione e di non essere quindi obbligato al pagamento del tributo richiesto.

Il Comune di Palermo intimato non si costituiva in giudizio.

La Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, sezione XII, con sentenza n. 2885/16 del 6 maggio 2015, accoglieva il ricorso sulla base della considerazione che “… dalla documentazione in atti si deduce che il ricorrente non era in possesso degli immobili per i quali il Comune di Palermo richiedeva il pagamento dell’ICI. Il Comune di Palermo, non costituito in giudizio, nulla può controdedurre…”.

Il Comune di Palermo impugnava la citata sentenza, chiedendone la riforma.

A sostegno del proprio gravame preliminarmente indicava gli estremi catastali degli immobili per i quali era richiesto il tributo in contestazione e, quindi, eccepiva che “… dagli atti depositati presso la conservatoria dei registri immobiliari è stato invece accertato che il ricorrente è proprietario di tutti gli immobili oggetto degli avvisi a seguito di successione…”.

Il contribuente si costituiva, versando in atti proprie controdeduzioni con le quali contestava la fondatezza della pretesa, escludendo di essere mai stato proprietario degli immobili o titolare di diritti reali di godimento sugli stessi.

Il Comune di Palermo, nel costituirsi in giudizio, ha ribadito la legittimità della produzione di nuove prove in appello.

Con sentenza del 16.7.2018, la CTR Sicilia accoglieva l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:

1) premesso che le certificazioni catastali e la documentazione estratta dalla Conservatoria dei registri immobiliari costituiscono l’unico elemento probatorio certo dal quale poteri risalire alla proprietà di un immobile, dalla documentazione versata in atti dal Comune emergeva che gli immobili oggi oggetto di pretesa fiscale risultavano essere intestati al contribuente ed a lui pervenuti mortis causa;

2) priva di pregio si appalesava l’eccezione del contribuente riferita alla richiesta di esclusione dal giudizio della documentazione prodotta dal Comune del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 58, comma 2, atteso che, in tema di contenzioso tributario, pur dovendo la produzione di nuovi documenti in appello avvenire, ai sensi dello stesso D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, entro venti giorni liberi antecedenti l’udienza, l’inosservanza di detto termine è sanata ove il documento sia stato già depositato, benché irritualmente, nel giudizio di primo grado.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso D.S.L.N., sulla base di tre motivi.

Il Comune di Palermo ha resistito con controricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR considerato che dalle visure dell’anagrafe emergeva che gli immobili in oggetto fossero nella titolarità di un suo omonimo, ma con dati anagrafici differenti, e che comunque, sulla base di indagini da lui effettuate, i presunti conduttori degli appartamenti ne erano in realtà i proprietari.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Invero, da un lato, il ricorrente ha omesso, in violazione del principio di autosufficienza, di trascrivere i certificati catastali dai quali si evincerebbe, a suo dire, che gli immobili in questione sono in realtà intestati ad un soggetto suo omonimo, ma con dati anagrafici differenti, dall’altro, la CTR ha affermato di aver posto alla base della sua decisione proprio le certificazioni catastali che, pertanto, sono state debitamente prese in considerazione.

In proposito, va ricordato che, in tema di I.C.I., l’intestazione catastale di un immobile ad un determinato soggetto, pur se il catasto è preordinato a fini essenzialmente fiscali, fa sorgere comunque una presunzione de facto sulla veridicità di tale risultanza, ponendo, pertanto, a carico del contribuente l’onere (nel caso di specie non assolto) di fornire la prova contraria per l’esenzione dal pagamento dell’imposta (Sez. 5, Ordinanza n. 16775 del 07/07/2017).

Senza tralasciare che il contribuente non ha neppure indicato in cosa si sarebbero sostanziate le indagini da lui effettuate, dalle quali egli avrebbe ricavato che i presunti conduttori degli appartamenti ne erano in realtà i proprietari.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 4), per non aver la CTR considerato che egli era stato nominato, nell’ambito di un sequestro conservativo, solo custode giudiziario degli immobili, non essendone quindi proprietario.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Invero, anche a voler prescindere dal rilievo per cui sollecita una rivalutazione delle risultanze istruttorie preclusa nella presente sede, il documento prodotto a sostegno della tesi difensiva è inammissibile, atteso che non rientra, ex art. 372 c.p.c., tra quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e/o l’ammissibilità del ricorso, potendo, per l’effetto, essere depositato solo nei gradi di merito.

Peraltro, alla luce della presunzione iuris tantum cui si è fatto cenno nell’analizzare il primo motivo, correttamente la CTR ha posto a carico del contribuente l’onere di fornire la prova contraria, in tal guisa non violando l’art. 2697 c.c..

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1429 n. 3 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per non aver la CTR considerato che il soggetto indicato nella verifica della proprietà depositata il 19.12.2016 dal Comune era diverso.

3.1. Il motivo è inammissibile, atteso che il ricorrente, in violazione del principio di specificità, ha omesso di trascrivere l’atto di verifica della proprietà, dal quale, a suo dire, si evincerebbe che il soggetto individuato come proprietario sarebbe un suo omonimo, ma nato in un altro anno. Senza tralasciare che, non essendovene cenno nella sentenza impugnata, egli avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale avesse tempestivamente sollevato la relativa questione.

4. In definitiva, il ricorso va complessivamente considerato inammissibile.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna il ricorrente al rimborso, in favore del resistente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 1.500,00,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge (se dovuti);

– dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, tenutasi con modalità da remoto, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

 

 

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