Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26375 del 07/12/2011

Cassazione civile sez. I, 07/12/2011, n.26375

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso iscritto al n. 27174 del Ruolo Generale degli affari

civili dell’anno 2006, proposto da:

I.N.P.D.A.P. – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I DIPENDENTI

DELL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA, con sede in (OMISSIS), in persona

del

presidente, elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Cesare

Beccarla n. 29, rappresentato e difeso dagli avvocati Incletolli

Flavia e Maria Passarelli, per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, in persona del ministro in

carica, ex lege domiciliato in Roma, alla Via dei Portoghesi 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato e da questa rappresentato e

difeso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3084 del 5-26 giugno 2006 della Corte

d’appello di Roma;

Udita, all’udienza del 9 novembre 2011, la relazione del cons. dr.

Fabrizio Forte e sentiti l’avv. Incletolli, per il ricorrente, e il

P.G. dr. Sergio Del Core, che conclude per l’accoglimento del ricorso

con cassazione della sentenza impugnata o, in subordine, per la

trasmissione degli atti al primo presidente per investire le sezioni

unite della questione di massima di particolare importanza oggetto

della pronuncia.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato il 5 ottobre 2006, l’I.N.P.D.A.P. (Istituto Nazionale di Previdenza per i dipendenti della pubblica amministrazione) ha chiesto la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3084 del 26 giugno 2006, che ha dichiarato la propria incompetenza sull’appello proposto dal Ministero dell’Istruzione avverso la sentenza del giudice di pace di Roma n. 38164 del 2002, che aveva condannato l’appellante a pagare all’Istituto Euro 3.206,93 e le spese di causa.

Si afferma nella sentenza che la cognizione del gravame competeva al Tribunale di Roma e non alla corte d’appello che, rilevata la propria incompetenza, ha concesso termine di mesi sei all’appellante per la riassunzione della causa dinanzi al tribunale di Roma, indicato come giudice competente nella causa, con condanna del Ministero in favore dell’I.N.P.D.A.P. a pagare le spese del grado liquidate nello stesso provvedimento.

L’Istituto ricorrente in questa sede aveva chiesto nel giugno 2002 al giudice di pace di Roma la condanna del Ministero della pubblica Istruzione a restituirgli Euro 1.656,24, pari agli interessi legali da esso corrisposti sulle indennità pagate tardivamente ai dipendenti indicati in citazione a causa del ritardo con il quale il convenuto aveva inviato la necessaria documentazione, in violazione dei termini di legge.

Il giudice di pace aveva accolto la domanda; con il gravame del Ministero alla Corte d’appello di Roma, il Ministero aveva chiesto che fosse dichiarato il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. ovvero che, per violazione del contraddittorio, si annullasse la pronuncia con rimessione della causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 354 c.p.c.. L’I.N.P.D.A.P. si è costituita in appello ed ha chiesto di dichiarare inammissibile l’appello, ai sensi dell’art. 341 c.p.c. ovvero di rilevare la infondatezza dello stesso; la Corte ha deciso la causa nei sensi che precedono. Per la cassazione di tale sentenza non notificata alle parti, l’I.N.P.D.A.P. ha proposto ricorso di un unico articolato motivo notificato il 5 ottobre 2006 e il Ministero si è difeso con controricorso notificato il 14 novembre 2006.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il problema della giurisdizione dell’A.G.O. tacitamente risolto con la decisione di merito di primo grado mai impugnata per tale motivo, non risulta proposto con il ricorso, per cui deve ritenersi essersi formato il giudicato implicito sulla questione (su cui, cfr.

S.U. 28 gennaio 2011 n. 2067 e 9 ottobre 2008 n. 24883), anche se su di essa si sono già espresse le sezioni unite della Corte, attribuendo tale tipo di controversia al giudice ordinario (S.U. 31 marzo 2006 n. 7577).

2. Il ricorso denuncia la nullità della sentenza e del procedimento di merito per violazione dell’art. 360, comma 1, n. 4, ovvero anche della stessa norma e comma del codice di rito, n. 3, e degli artt. 341, 353, e 50 c.p.c., per avere la sentenza respinto l’eccezione di inammissibilità del gravame, dichiarando poi su questo la incompetenza della Corte di appello adita e ordinando la riassunzione della causa dinanzi al Tribunale di Roma. Ad avviso del ricorrente, l’erronea individuazione del giudice legittimato a pronunciarsi sul gravame non pone un problema di competenza, dando invece luogo alla mera inammissibilità del gravame che erroneamente non è stata dichiarata, come sancito da Cass. 10 febbraio 2005 n. 2709. Il quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. domanda se, quando l’impugnazione è proposta ad un giudice diverso da quello identificato dalla legge (art. 341 c.p.c.), vi sia questione di competenza e debbano applicarsi gli artt. 50 e 353 c.p.c., ovvero il gravame deve ritenersi precluso o inammissibile.

2. Il ricorso è manifestamente fondato.

Deve anzitutto rilevarsi che il ricorso denuncia violazione delle norme processuali in materia di individuazione del giudice di appello (art. 341 c.p.c.), con connessa erronea rimessione della causa, ai sensi dell’art. 353 e 354 c.p.c., al tribunale che poteva essere investito del gravame e con concessione erronea del termine di cui all’art. 50 c.p.c. per la riassunzione e prosecuzione del giudizio, denunciandosi quindi la nullità della sentenza e del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Pur avendo la Corte d’appello emesso una pronuncia relativa alla sola competenza denegata a se stessa, senza decidere il merito della causa, per cui si sarebbe potuto proporre regolamento necessario di competenza ai sensi dell’art. 42 c.p.c., l’Istituto ricorrente ha dedotto in ricorso nullità processuali di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 e della sentenza, per essersi pronunciata la Corte d’appello, oltre i limiti legali sui propri poteri di cognizione della causa, con l’affermazione della propria incompetenza e non avere rilevato il suo difetto di legittimazione a decidere la causa come giudice d’appello, ai sensi dell’art. 341 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza impugnata. In quanto gli errores in procedendo dedotti in ricorso comportano la nullità della pronuncia impugnata che ha deciso l’incompetenza funzionale della Corte sull’appello f avverso la sentenza del giudice di pace, da proporsi invece dinanzi al Tribunale ai sensi dell’art. 341 c.p.c., deve escludersi che nella fattispecie, pur impugnandosi una pronuncia sulla sola dichiarazione di incompetenza del giudice adito, si versi in una ipotesi di regolamento di competenza, in cui potrebbe comunque convertirsi il tempestivo ricorso notificato nel termine lungo di un anno dalla sentenza impugnata, che non risulta essere stata comunicata alle parti ai sensi dell’art. 43 c.p.c. (Cass. 5 marzo 2009 n. 5391).

Nel caso alcuna conversione del ricorso in regolamento appare necessaria, essendosi correttamente impugnata la pronuncia della Corte d’appello per violazione di norme processuali (artt. 341, 353 e 354 e 50 c.p.c.), per cui deve negarsi che il ricorso costituisca regolamento di competenza, trattandosi di ricorso ordinario che deduce la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, anche se il giudice di essa non si è pronunciato sul merito ma solo sulla rilevata sua incompetenza (Cass. 3 agosto 2005 n. 16299, 23 luglio 2004 n. 13921, 23 agosto 2003 n. 12418, 14 dicembre 2000 n. 15779, 12 novembre 1999 n. 764, tra altre).

Nel nostro ordinamento processuale non ha fondamento il principio affermato nel merito che la regola di individuazione dell’ufficio giudiziario da investire con la impugnazione possa ricondursi alla nozione di competenza risultante dal codice di procedura civile, Capo primo, Titolo primo, Libro primo.

Infatti, se anche la disciplina di attribuzione del potere di conoscere dell’impugnazione assolve a uno scopo analogo, sul piano funzionale, a quello delle regole sulla competenza in primo grado, l’una e l’altra attribuzione dei poteri di conoscere del processo, non hanno una eadem ratio che possa avvicinare i due istituti per analogia, con conseguente inapplicabilità per la individuazione della cognizione in grado di appello, degli artt. 50 e 38 c.p.c.. E’ divenuto quindi principio consolidato quello enunciato più volte da questa Corte, per il quale la erronea individuazione del giudice legittimato a decidere sulla impugnazione non si pone come questione di competenza ovvero attinente ai poteri cognitivi del giudice adito ma riguarda la mera valutazione delle condizioni di proponibilità o ammissibilità del gravame che deve quindi dichiararsi precluso se prospettato ad un giudice diverso da quello individuato per legge dall’art. 341 c.p.c.. L’eventuale appello ad un giudice diverso da quello individuato nell’ultima norma ora citata, può dare luogo anche alla consumazione del potere di impugnare, una volta decorsi i termini per il gravame la cui notificazione individua anche il dies a quo del termine d’impugnazione per entrambe le parti, per cui si doveva solo dichiarare inammissibile l’appello, dopo decorso un periodo di tempo maggiore di quello di cui all’art. 325 c.p.c. a decorrere dalla notificazione del gravame, con conseguente preclusione dell’impugnazione in secondo grado per la parte che ha erroneamente proposto il suo appello (in tal senso, con Cass. 10 febbraio 2005 n. 2709 citata in ricorso, cfr. S.U ord. 22 novembre 2010 n. 23594, Cass. 2 febbraio 2010 n. 2361, 6 settembre 2007 n. 1876).

La risposta al quesito di diritto in favore della inammissibilità del gravame, comporta la cassazione della sentenza d’appello senza rinvio, dovendosi rilevare la improseguibilità della causa ai sensi dell’art. 382 c.p.c., u.c., con connessa reviviscenza della decisione del giudice di pace erroneamente impugnata alla Corte di appello di Roma invece che al tribunale della stessa città, dovendosi confermare la disciplina e la misura delle spese del giudizio dinanzi alla Corte d’appello a carico del Ministero dell’Istruzione, che dovrà rimborsare all’I.N.P.D.A.P. pure le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa senza rinvio la sentenza impugnata perchè la causa non poteva essere proseguita dinanzi alla Corte d’appello di Roma; condanna il Ministero controricorrente a pagare all’I.N.P.D.A.P. le spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 800,00, oltre alle spese generali e accessorie come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 1^ sezione civile della Corte di cassazione, il 9 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2011

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