Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26374 del 20/12/2016


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Cassazione civile, sez. II, 20/12/2016, (ud. 26/09/2016, dep.20/12/2016),  n. 26374

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17594-2012 proposto da:

GEOFERT SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI SANTA COSTANZA

27, presso lo studio dell’avvocato CARLO VALLE, rappresentato e

difeso dagli avvocati GIOVANNI CASSARINO, ROSARIO AVVEDUTO;

– ricorrente –

contro

ASSOCIAZIONE AGRICOLA CELSO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

PLATONE, 21 ST STEFANELLI, presso lo studio dell’avvocato TIZIANA

STEFANELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINO GENTILE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 733/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 23/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/09/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito l’Avvocato COLACINO Vincenzo con delega depositata in udienza

dell’Avvocato AVVEDUTO Rosario, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato USAI Patrizia con delega depositata in udienza

dell’Avvocato GENTILE Antonino, difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del primo motivo, per

l’accoglimento del secondo motivo e per l’assorbimento dei restanti

motivi del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Modica, con sentenza depositata il 24/4/2008, accolta la domanda avanzata dall’Associazione Agricola Gelso, condannò la Geofert s.r.l. a risarcire il danno subito dall’attrice. L’attrice aveva esposto che nell’ambito delle funzioni statutarie, si occupava del miglioramento dei fondi delle aziende associate e che l’associata S.G. si era rivolta alla convenuta per la fornitura del diserbante “Glifogold s”, da utilizzare nella piantagione in serra della (OMISSIS); a fronte della fattura emessa, recante il nome del prodotto ordinato e della dicitura stampigliata sulla scatola, i fusti da cinque litri in essa custoditi recavano la diversa etichetta di “Glifopop s”. Tratti in inganno dalle circostanze univoche del caso (nome del prodotto stampato sulla scatola, assimilabilità dei colori delle confezioni e delle etichette, similitudine delle etichette) e dalla consuetudine d’acquisto del fitofarmaco “Glifogold s”, gli addetti dell’azienda agricola avevano trattato le pregiate piante con il liquido dei fusti; trattamento che aveva avuto effetti disastrosi, avendo procurato l’irrimediabile deterioramento della piantagione. Di conseguenza, aveva concluso l’attrice, la convenuta, versante in colpa, era tenuta a risarcire il danno procurato. La Corte d’appello di Catania, con sentenza del 16/5/2011, rigettò l’impugnazione avanzata dalla Geofert s.r.l.. Con ricorso del 6/7/2012 la Geofert s.r.l. chiede l’annullamento della sentenza d’appello. L’Associazione Agricola Gelso, la quale resiste con controricorso, ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione dell’art. 81 c.p.c., in quanto, al di fuori di qualsiasi previsione di legge che l’autorizzasse, la resistente aveva agito in nome proprio per far valere un diritto altrui (quello dell’azienda associata). La Corte di merito, secondo l’assunto impugnatorio, aveva errato nel disattendere l’eccezione di difetto di legittimatio ad causam, credendo d’individuare la legittimazione attingendo allo scopo sociale dell’associazione.

Il motivo è privo di fondamento. Dalla ricostruzione fattuale risultante dal giudizio di merito emerge che l’acquisto del fitofarmaco venne effettuato dall’associazione, alla quale le fatture erano intestate. Pertanto, non v’è dubbio che la medesima abbia agito in giudizio in nome proprio e per la tutela di un diritto proprio, dovendo, peraltro, a sua volta, rispondere nei confronti dell’associata S.. Con il secondo motivo viene prospettata violazione dell’art. 1227 c.c., commi 1 e 2, attribuendosi a grave imperizia del personale dell’Associazione la causa del danno, che si sarebbe potuto evitare ponendo la dovuta attenzione alla dicitura stampata sui fusti. Inoltre, la censura investe anche la motivazione, valutata contraddittoria, per avere limitato al 20% il concorso colposo dell’appellata, pur avendo valutato (insieme al Giudice di primo grado) l’omessa cura nel controllare la corrispondenza del prodotto da parte del personale che effettuò il trattamento. Trattasi di doglianza che, rimettendo in discussione il vaglio incensurabile di merito, non può essere che disattesa. La ricorrente lamenta che la Corte territoriale non ha attribuito a colpa esclusiva dell’acquirente la causazione del danno, omettendo di considerare che l’eziologia dell’evento ha formato oggetto di logica e non contraddittoria valutazione di merito, la quale ha escluso che nella condotta di parte acquirente possa riscontrarsi un fattore interferente eccezionale, tale da interrompere la consequenzialità causale, derivante dalla consegna del fitofarmaco nocivo, insidiosamente confezionato. Quanto all’evocazione indistinta delle due ipotesi previste dall’art. 1227 c.c., invocate all’unisono (resta pacifico che la fattispecie di cui al comma 2 costituisce oggetto di precipua ricostruzione alternativa, oggetto di vera e propria eccezione, il cui onere di prova ricade sul deducente, cfr., fra le tante, Sez. 3, n. 15750 del 27/7/2015, Rv. 636176), non resta che rilevare che la quantificazione del concorso colposo deve considerarsi non sindacabile ìn questa sede, in quanto sorretta da adeguata ed incensurabile motivazione (che la colpa preponderante vada attribuita alla venditrice viene argomentato evocando circostanze di fatto univoche, neppure oggetto di specifica e plausibile censura). Il terzo motivo è diretto a censurare la violazione dell’art. 1460 c.c.. In via riconvenzionale la ricorrente aveva chiesto il pagamento, oltre che della fornitura qui in E vaglio, anche di altre. La Corte territoriale, cadendo in errore, aveva ritenuto, che nonostante la controparte non avesse formalmente sollevato l’eccezione d’inadempimento, dall’insieme delle difese di quest’ultima doveva cogliersi la volontà di non adempiere a motivo dell’inadempimento contestato alla venditrice. L’errore, come si trae dalla premessa, per la ricorrente, era duplice: non poteva trarsi dagli atti la volontà di avvalersi dell’art. 1460 c.c.; una parte delle somme dovute erano relative a pregresse forniture, del tutto estranee alla vicenda.

Trattasi di doglianza inammissibile, per non avere tenuto conto del fatto che i Giudici del merito hanno provveduto a compensare il prezzo dovuto per le altre forniture regolarmente andate in porto.Con il quarto motivo, denunziante violazione dell’art. 92 c.p.c. e difetto motivazionale, la Geofert si duole del regolamento delle spese di lite, che non aveva tenuto conto del fatto che la controparte aveva agito in giudizio prima che scadesse il termine dalla medesima assegnato alla ricorrente.

Il motivo non è fondato. A nulla rileva, infatti, che la resistente abbia agito in giudizio anticipando di qualche giorno la scadenza del termine assegnato alla controparte per risolvere in via bonaria la vertenza, in quanto quest’ultima, ha resistito all’azione, senza proporre alcuna composizione amichevole della vicenda, con la conseguenza che il ricorso al giudice appariva comunque inevitabile. Con il quinto motivo si deduce la violazione degli artt. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè difetto motivazionale su un punto controverso e decisivo. Secondo la tesi impugnatoria, nel quantificare il danno da risarcire la Corte di Catania aveva preso a riferimento il prezzo di vendita delle piante praticato nell’anno successivo, così introducendo un’affermazione di notorio del tutto apodittica e congetturale, non trovando alcuna ragionevolezza la conclusione che il prezzo di un prodotto agricolo, quanto mai variabile in relazione a plurimi fattori congiunturali, possa tout court assimilarsi a quello che poi verrà effettivamente riscontrato nell’anno successivo. Con l’ulteriore conseguenza che erano rimasti violati i principi in materia di riparto dell’onere della prova, in quanto la controparte non aveva fornito prova del lucro cessante. Nè la liquidazione del danno poteva ritenersi frutto di un giudizio d’equità, poichè il ricorso ad una tale ipotesi avrebbe dovuto essere giustificato perlomeno dalla particolare difficoltà di far luogo ad una determinazione analitica. Trattasi di doglianza inammissibile, in quanto diretta a censurare una valutazione di merito scevra dai denunziati vizi, e aspecifica, in quanto, pur contestando il criterio di calcolo adoperato dal giudice, non deduce quali avrebbero dovuto essere i migliori parametri valutativi da adottare. Può essere utile soggiungere, inoltre, che l’addotta violazione del riparto probatorio è frutto di una mera infondata congettura: non v’è dubbio, infatti, che dalla vendita delle piantine l’impresa agricola avrebbe ricavato un guadagno, corrispondente alla differenza tra il costo di produzione ed il prezzo di vendita, secondo l’id quod plerumque accidie con la conseguenza che sarebbe spettato alla ricorrente dimostrare che si sarebbe trattato di vendita sottocosto o a prezzo di produzione. L’epilogo impone condannarsi parte ricorrente al rimborso delle spese legali in favore della resistente. Spese che, tenuto conto della natura e del valore della causa, possono liquidarsi siccome in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese legali, che liquida nella complessiva somma di 1200 Euro, di cui 200 Euro per spese, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 26 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2016

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