Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26371 del 19/11/2020

Cassazione civile sez. I, 19/11/2020, (ud. 28/10/2020, dep. 19/11/2020), n.26371

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8709/2017 proposto da:

M.A.F., rappresentata e difesa, sia congiuntamente che

disgiuntamente, dagli Avv.ti Salvatore Morrone, e Rosalba Grasso, ed

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Rosalba Grasso,

in Roma, Viale Mazzini, n. 113, per procura speciale resa in calce

al ricorso per cassazione.

– ricorrente –

contro

A.T.C. – Agenzia Territoriale per la Casa del Piemonte Centrale,

nella persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e

difesa, tanto congiuntamente che disgiuntamente, dagli Avv.ti

Giuseppe Bongioanni, e Luca Cattalano, dell’Avvocatura A.T.C., in

forza di Delib. Consiglio di Amministrazione 14 aprile 2017, n. 32 e

di procura a margine del controricorso.

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di TORINO, n. 3973/2016 del 14

luglio 2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/10/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

M.A.F. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza del Tribunale di Torino n. 3973/2016, il cui appello è stato dichiarato inammissibile ex art. 348 bis c.p.c., che aveva ritenuto legittimo il decreto di rilascio dell’Agenzia Territoriale per la Casa del Piemonte Centrale emesso in data 2 settembre 2015 della L. n. 241 del 1990, ex art. 21 novies, con cui si era contestualmente annullata la voltura della convenzione di locazione concessale in data 16 gennaio 2006 e le si era intimato il rilascio dell’alloggio occupato sito in (OMISSIS).

Il Tribunale di Torino aveva ritenuto tempestivo il provvedimento di annullamento adottato decorsi i 18 mesi dalla data in cui era emersa l’illegittimità del provvedimento, ovvero dalla scoperta della falsità dell’attestazione da parte prima del padre della ricorrente e poi di quest’ultima, di non essere titolare di beni immobili di valore tale da comportare la decadenza dall’assegnazione ai sensi della L.R. Piemonte n. 46 del 1995 e successive modificazioni; che una diversa interpretazione della L. n. 241 del 1990, art. 21 novies, comma 2 bis, finiva per determinare una ingiustificata paralisi dell’azione amministrativa e una sostanziale immunità di condotte non meritevoli di tutela; che nel caso in esame l’illegittimità del provvedimento impugnato in via di autotutela era stata cagionata dalle autocertificazioni della M. e che tale profilo di illegittimità era emerso solo in seguito ad un esposto ricevuto dall’A.T.C. molto tempo dopo la voltura del contratto di locazione.

La Corte di appello di Torino, con ordinanza pronunciata il 25 gennaio 2017, aveva dichiarato inammissibile ex art. 348 bis c.p.c., l’appello proposto condividendo le motivazioni in ordine all’individuazione del dies a quo per l’adozione del provvedimento di annullamento, affermando che il decreto di rilascio del 2 settembre 2015 aveva annullato un provvedimento di accoglimento dell’istanza di voltura erroneo a causa di un inganno perpetrato ai danni della P.A. e che era, pertanto, conforme ad un interesse pubblico l’eliminazione di un atto illegittimo; che non vi era alcuna esigenza di stabilità di relazioni giuridiche, perchè nel caso in esame erano state carpite in mala fede mediante false rappresentazioni di fatto; che non si era formato alcun affidamento legittimo ed incolpevole in capo all’appellante circa la stabilità dell’atto, posto che essa ben conosceva la titolarità di immobili in capo al genitore assegnatario ed al quale aveva chiesto di subentrare con la consapevolezza del difetto dei presupposti iniziali; che l’efficacia ex tunc del provvedimento di annullamento era prevista per legge e non si riteneva lesiva di alcun diritto soggettivo.

L’Agenzia Territoriale per la Casa del Piemonte Centrale ha depositato controricorso e memoria difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 21 nonies, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la Corte territoriale forzato il dato normativo e ritenuto che il termine decadenziale di 18 mesi entro il quale deve essere esercitato il potere di annullamento in autotutela decorreva dalla data della scoperta della condotta dolosa o colposa del privato, mentre nell’ipotesi di errore attribuibile alla PA il termine dei 18 mesi decorreva dall’adozione del provvedimento.

Ad avviso della ricorrente il dato normativo è inequivoco nel determinare il dies a quo dal momento dell’adozione del provvedimento, mentre l’ipotesi del dolo del privato che induce in errore la PA è disciplinata dell’art. 21 nonies, comma 2, che prevede la possibilità di derogare al termine dei 18 mesi, ma solo quando la falsità sia accertata con sentenza passata in giudicato; che l’interpretazione fedele al testo normativo non comporta sanatorie di condotte illegittime, perchè il privato che attesta falsamente fatti allo scopo di ottenere provvedimenti favorevoli è passibile di procedimento penale in esito al quale la P.A. annullerà l’atto amministrativo e perchè il privato non ha alcuna possibilità di ritardare l’azione amministrativa e di controllo e verifica circa la veridicità di fatti dichiarati, attività che la PA deve compiere autonomamente.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 445 del 2000, artt. 71 e 72, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo il Tribunale errato nell’affermare che la semplificazione amministrativa è un istituto introdotto a beneficio della PA, poichè la semplificazione non aveva affatto eliminato il controllo del potere pubblico, ma lo aveva trasformato in una verifica postuma della sussistenza dei requisiti autodichiarati dal privato, che l’art. 71 del D.P.R. citato affermando che le amministrazioni sono tenute ad eseguire i controlli prevede un comportamento obbligatorio e cogente e che la previsione di controlli a campione non doveva indurre a ritenere che l’attività di controllo fosse soltanto eventuale.

3. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

4. La ricorrente, infatti, non ha indicato nel ricorso per cassazione i motivi di appello, come emerge dalla lettura della esposizione dei fatti di causa e svolgimento dei precedenti gradi del giudizio (pagine 1 – 4), dove vengono riportati i passi motivazionali ritenuti più significativi della sentenza di primo grado e la parte della sentenza di appello nella parte dove ha affermato “(…) non può applicarsi il disposto di cui al comma 2 bis di detta norma (riguardando essa il caso in cui il beneficiario del procedimento erroneo e da annullare sia l’autore del falso)…”.

Nè i motivi di appello possono ricavarsi dalla lettura dell’ordinanza di inammissibilità pronunciata dalla Corte di appello di Torino ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c..

5. Deve in proposito ribadirsi il consolidato principio di diritto, per il quale nel ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, proponibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3, l’atto di appello, dichiarato inammissibile, e la relativa ordinanza, pronunciata ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., costituiscono requisiti processuali speciali di ammissibilità, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 366, c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario che nel suddetto ricorso per cassazione sia fatta espressa analitica menzione almeno dei motivi di appello, se non pure della motivazione dell’ordinanza dichiarativa della inammissibilità, al fine di evidenziare l’insussistenza di un giudicato interno sulle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimità e già prospettate al giudice del gravame (Cass., 20 settembre 2019, n. 23514; Cass., 15 maggio 2014, n. 10722).

Questa Corte ha, inoltre, affermato che nel ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, proposto ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3, l’onere di indicare i motivi di appello e la motivazione dell’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., non si pone in contrasto con l’art. 6 CEDU, in quanto esso è imposto in modo chiaro e prevedibile (risultando da un indirizzo giurisprudenziale di legittimità ormai consolidato), non è eccessivo per il ricorrente e risulta, infine, funzionale al ruolo nomofilattico della Suprema Corte, essendo volto alla verifica in ordine alla mancata formazione di un giudicato interno (Cass., 23 dicembre 2016, n. 26936).

6. In sostanza, la necessità di compiuta identificazione dell’ambito del giudicato interno derivante dai limiti dell’impugnazione mediante l’appello continua ad esigere, alla luce della giurisprudenza richiamata, la puntuale indicazione dei motivi di appello, quale contenuto essenziale del ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado.

7. Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonchè al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2020

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