Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26370 del 29/09/2021

Cassazione civile sez. trib., 29/09/2021, (ud. 08/07/2021, dep. 29/09/2021), n.26370

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7048/2015 R.G. proposto da:

S.A., con gli avv.i Roberto D’Amato e Stanislao Capasso, e

con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Napoli, via

Epomeo n. 48;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania, Sez. staccata di Salerno, n. 7097/04/14 pronunciata il 30

giugno 2014 e depositata il 18 luglio 2014, non notificata;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 08 luglio

2021 dal Co: Marcello M. Fracanzani.

 

Fatto

RILEVATO

1. La contribuente, inserita nelle liste selettive “T incrementi patrimoniali” per l’anno 2003, era raggiunta da un questionario con cui l’Amministrazione finanziaria le chiedeva chiarimenti in merito a delle spese effettuate. La contribuente riscontrava la richiesta fornendo alcune delucidazioni accompagnate, al fine di dare la prova di suo minor reddito, da copie di assegni emessi dal di lei padre con la formula “me medesimo”, da autocertificazioni di quest’ultimo e del coniuge con cui costoro dichiaravano di aver compiuto atti di liberalità in suo favore mediante dazione di danaro e, infine, dall’attestazione della Provincia di (OMISSIS), da cui poteva evincersi il TFR maturato e il contratto di compravendita di un’immobile per un importo tuttavia insufficiente a coprire gli incrementi patrimoniali.

Ritenendo idonea, ancorché insufficiente, quest’ultima documentazione, l’Ufficio rideterminava sinteticamente il reddito della contribuente, notificandole un avviso di accertamento ai fini Irper per l’anno d’imposta 2003.

2. Adito il giudice di prossimità, il giudizio di primo grado esitava in senso favorevole alla contribuente, ma la decisione di primo grado veniva integralmente riformata in appello.

3. Ricorre per la cassazione della sentenza la contribuente che si affida ad un unico motivo di ricorso, ancorché articolato sotto tre distinti profili. Resiste l’Avvocatura generale dello Stato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. La parte ricorrente avanza censura ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetti di discussione tra le parti, la falsa applicazione delle norme di diritto ossia del D.M. 10 settembre 1992, e del D.M. 19 novembre 1992, e la carenza di motivazione.

1.1 In sostanza svolge un unico motivo di ricorso, criticando la sentenza sotto tre distinti profili ovverossia lamentando che la disciplina dettata dal D.M. 10 settembre 1992, e dal D.M. 19 novembre 1992, introdurrebbe delle presunzioni legali relative, sì da consentire al contribuente di fornire la prova contraria. Afferma, poi, che nel corso dei giudizi di merito la contribuente si era fatta parte diligente fornendo molteplici prove contrarie quali le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà rese dal padre ed aventi ad oggetto donazioni a favore della figlia. Sempre sotto il profilo probatorio, soggiunge che il genitore avrebbe emesso assegni “a me medesimo” per incassare contante presso la banca e poi metterlo a disposizione della figlia e che altrettanto aveva fatto il marito, del quale produceva pari dichiarazione a sostegno dell’acquisto di azioni. Conclude censurando l’illegittimità della sentenza, che avrebbe omesso di esaminare tali fatti decisivi, oggetto di discussione tra le parti, sì da inficiarne la legittimità anche sotto il profilo della carenza di motivazione.

2. Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

E’ insegnamento ormai costante, e da cui non v’e’ motivo di discostarsi, quello secondo cui “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). A tal fine costituisce un “fatto” non una “questione” o un “punto” ma un vero e proprio “accadimento storico”. Non costituiscono, viceversa, “fatti” suscettibili di fondare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame delle argomentazioni o deduzioni difensive” (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802, Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152).

2.1 Il motivo proposto non si basa su un fatto storico, quanto sulla contestata illegittimità dell’atto impositivo impugnato giacché i ricavi sarebbero stati erroneamente rideterminati unicamente sulla base degli studi di settore senza riconoscere alla documentazione versata in atti, pur debitamente vagliata dalla CTR, adeguata valenza probatoria.

Donde la sua inammissibilità.

3. Tanto premesso, in materia di accertamento sintetico questa Corte ha affermato che “Il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità ha, altresì, affermato che la disciplina del “redditometro” introduce una presunzione legale relativa imponendo la stessa legge di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una “capacità contributiva”, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni.” (cfr. Cass. nn. Sez. 6-5, Ordinanza n. 17487 del 01/09/2016, Rv. 640989-01; n. 21335 del 2015, Rv. 637006-01, n. 930 del 2016, Rv. 638706-01). In tal senso è stato soggiunto che, benché l’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, resta individuata nei decreti, sicché l’Amministrazione è esonerata da qualunque ulteriore prova rispetto ad essi, ciò non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta e, più in generale, che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 21142 del 19/10/2016, Rv. 641453-01; n. 16912 del 2016, Rv. 640968- 01). Questa Corte di Cassazione ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria offerta da contribuente per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente “sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere” (cfr. Cass. n. Sez. 6- 5, Ordinanza n. 12889 del 2018; Cass. n. 12207 del 2017; Cass. n. 1332 del 2016; Cass. n. 22944 del 2015; Cass. n. 14885 del 2015). Quanto ai redditi dei terzi che contribuiscono a formare il reddito dei contribuente, proprio perché nell’accertamento dei redditi con metodo sintetico, la disponibilità di beni-indice integra una presunzione legale di capacità contributiva, gravando il contribuente di provare la fonte non reddituale delle somme giustificative, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che la sintesi reddituale e la prova contraria devono essere esercitate in concreto, anche riguardo a qualificati vincoli familiari (sui quali, cfr. Cass. 17202/2006, Rv. 592319; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 6195 del 14/03/2018, Rv. 647326-01), e a rapporti societari (sui quali, cfr. Cass. 12448 dei 2011, Rv. 618423-01)” (Cfr. Cass., V, n. 22846/2020).

3.1 Sempre con specifico riferimento ai redditi dei terzi è stato altresì affermato che “Nell’accertamento dei redditi con metodo sintetico, la disponibilità di beni-indice integra una presunzione legale di capacità contributiva, gravando il contribuente di provare la fonte non reddituale delle somme giustificative (Cass. 19252/2005 Rv. 584597, Cass. 16284/2007 Rv. 599484, Cass. 17487/2016 Rv. 640989); la sintesi reddituale e la prova contraria devono essere esercitate in concreto, anche riguardo a qualificati vincoli familiari (Cass. 17202/2006 Rv. 592319) e rapporti societari (Cass. 12448/2011 Rv. 618423); assumendo che la formale intestazione a terzi sia astrattamente incompatibile con la presunzione legale di capacità contributiva, il giudice d’appello ha violato detti principi di diritto, i quali viceversa esigono di accertare se la concreta posizione dei terzi intestatari (nella specie, il coniuge fiscalmente a carico e una società a base ristretta) possa riferire al contribuente l’effettiva disponibilità dei beni-indice” (Cfr. Cass., V, n. 6195/2018).

4. Orbene, alla luce di tali principi, risulta infondata la censura con cui il contribuente ha criticato la decisione di riforma della CTR, la quale avrebbe attribuito validità oggettivizzante ed assoluta al procedimento di rideterminazione del reddito operato dall’Ufficio.

4.1 Al contrario la CTR ha dato atto di aver vagliato attentamente tutte le prove addotte dalla contribuente. Principiando dal dettato normativo del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, e richiamando i principi nei termini sanciti da questa Corte, ha argomentato le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento della decisione di riforma della sentenza, previo rigetto delle argomentazioni difensive dalla contribuente. Ha invero dimostrato di aver vagliato le matrici degli assegni, intestate comunque al padre della contribuente, così come le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, negando ad esse il valore di prova in ordine al suo contenuto. E ciò, peraltro, in conformità ai dettami di questa Corte che, con la sentenza n. 12065/2014 resa a Sezioni Unite, ha affermato che la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà consiste “..in una dichiarazione di scienza relativa a stati, qualità personali o fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato destinata a produrre effetti esclusivamente nell’ambito di un procedimento amministrativo per favorirne uno svolgimento più rapido e semplificato così come previsto dal D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), e quindi ad esaurire la sua efficacia nell’ambito dei rapporti con gli organi della P.A. e dei gestori di pubblici servizi onde consentire l’adozione di determinati provvedimenti amministrativi in favore dell’interessato stesso. Tale qualificazione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà preclude in radice la possibilità di una sua automatica utilizzazione – in virtù del principio dell’unità dell’orientamento giuridico invocato dall’orientamento giurisprudenziale minoritario sopra menzionato – all’interno del processo civile, caratterizzato da principi incompatibili con la prospettata equiparazione, a fini probatori, di detta dichiarazione sostitutiva nei due diversi ambiti, ovvero quello amministrativo e quello del processo civile. Invero è evidente che una tale impostazione si pone in insanabile contrasto con il fondamentale principio per il quale la parte non può costituire in proprio favore elementi di prova, ai fini del soddisfacimento dell’onere di cui all’art. 2697 c.c., da proprie dichiarazioni, come emerge dal rilievo che soltanto in casi specifici la legge attribuisce efficacia alle dichiarazioni favorevoli all’interesse di chi le rende; invero una simile evenienza si verifica solo laddove è espressamente prevista, come nei casi dell’art. 2710 c.c., (in base al quale i libri bollati e vidimati nelle forme di legge, quando sono regolarmente tenuti, possono fare prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa) e dell’art. 2734 c.c., (riguardante l’inscindibilità delle dichiarazioni aggiunte alla confessione), entrambi qualificabili come eccezioni alla contraria regola generale”.

4.2 Ha, infine, richiamato espressamente anche la certificazione del TFR rilasciata dal datore di lavoro, ritenuta ininfluente perché relativa ad una annualità diversa dall’anno d’imposta oggetto di accertamento.

5. Quanto sopra esposto consente di respingere anche il terzo profilo di doglianza, inerente la carenza motivazione della sentenza impugnata. Doglianza che, peraltro, presta il fianco ad un profilo di inammissibilità tenuto conto che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, “la censura individua un vizio di radicale mancanza di motivazione, o di motivazione apparente o perplessa, nel senso della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 8053 del 2014. 5. Al riguardo deve ricordarsi che ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012, citato, il vizio denunciabile è limitato all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione fra le parti, essendo stata così sostituita la precedente formulazione (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio). La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (a prescindere dal confronto con le risultanze processuali) Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. S.U. n. 8053 del 2014 citata). Pertanto, non possono essere sollevate doglianze per censurare, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 citato, la correttezza logica del percorso argomentativo della sentenza, a meno che non sia denunciato come incomprensibile il ragionamento ovvero che la contraddittorietà delle argomentazioni si risolva nella assenza o apparenza della motivazione” (Cfr. Cass., Sez. L., n, 7701/2020).

6. Quanto sopra, infine, in disparte i profili di inammissibilità del ricorso, per non aver la parte ricorrente nemmeno sintetizzato il contenuto della sentenza in violazione del principio di autosufficienza e per aver promiscuamente lamentato la violazione di norme di diritto sostanziale e processuale, riconducibili a due vizi caratterizzati da “irredimibile eterogeneità”, senza che dall’illustrazione della censura sia dato distinguere in quale confine ci si dolga dell’error in iudicando piuttosto che dell’error in procedendo (Cfr. Cass., V, n. 2526/2020).

7. In conclusione il ricorso va rigettato.

8. Le spese seguono la soccombenza e solo liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la contribuente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate, che liquida in Euro duemilatrecento/00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 -quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

 

 

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