Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2637 del 30/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 30/01/2019, (ud. 19/12/2018, dep. 30/01/2019), n.2637

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. GHITTI Italo Mario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18649/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato

presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n.

12;

– ricorrente –

contro

E.G., residente in (OMISSIS), ed elettivamente domiciliato

in Roma, via Monte Zebio n. 32, presso lo studio degli Avv.ti Publio

Fiori e Giorgio Pallavicini, che lo rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle

Marche n. 61/7/12 pronunciata il 4/4/2012 e depositata il 8/5/2012.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 19/12/2018

dal Consigliere Ghitti Italo Mario.

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per la cassazione della Sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche n. 61/7/12, pronunciata il 4.4.2012, depositata il giorno 8.5.2012 e notificata il successivo 28 maggio 2012. La predetta CTR, in riforma della decisione della CTP di Ancona, ha accolto l’appello proposto dal contribuente avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio di Ancona, sulla base degli studi di settore, recuperava a tassazione ai fini IVA, IRPEF ed IRAP, per l’anno di imposta 2004, maggiori ricavi, pari ad Euro 75.038, derivanti dalla gestione di farmacia in due punti vendita, in Numana ed in località Marcelli, dello stesso Comune.

A sostegno della pronuncia di illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato, la CTR rileva innanzitutto l’insussistenza di gravi incongruenze tra ricavi accertati in via induttiva, pari ad Euro 1.240.372,00 e quelli dichiarati di Euro 1.165.334,00; aggiunge poi che lo scostamento accertato, largamente inferiore al 10% dei ricavi complessivi, risulta privo di quel carattere di gravità che la giurisprudenza di merito ravvisa in una percentuale di distacco dei valori dichiarati da quelli induttivamente accertati solo se superiore o prossima al 20%, distacco che non è in alcun modo significativo in considerazione del valore complessivo dei ricavi, della peculiarità del servizio pubblico svolto ed esteso ad un vasto bacino di utenza, in presenza anche di una regolare contabilità del contribuente, mai contestata dall’Ufficio. La CTR pone infine in rilievo la “accertata forte stagionalità relativamente alla succursale in località Marcelli – dato decisamente idoneo a rappresentare un ridotto volume d’affari”.

Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per Cassazione, deducendo due motivi.

Il contribuente resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39,comma 1, lett. d) e del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto la CTR ha ritenuto irrilevante uno scostamento tra reddito dichiarato e reddito accertato attraverso gli studi di settore in misura inferiore al 10% del totale, senza considerare che lo scostamento avrebbe dovuto essere valutato in rapporto al grado di fondatezza delle giustificazioni rese dal contribuente.

Con il secondo motivo la difesa Erariale censura la decisione della CTR per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), perchè il Giudice d’appello ha attribuito rilevanza al carattere stagionale dei ricavi senza indicare le ragioni per cui ” la accertata e forte ” stagionalità giustificherebbe una discrasia fra reddito dichiarato e reddito individuato dagli studi di settore, diversamente dalla decisione della CTP che aveva rigettato il ricorso del contribuente perchè, in mancanza di specifica documentazione, la stagionalità dei ricavi non apporta alcuna giustificazione alla contestazione rilevante scaturita dallo studio di settore circa la non coerenza della rotazione del magazzino e, in particolare, del ricarico dichiarato al di sotto del minimo previsto dallo studio di settore.

Il Collegio ritiene che il primo motivo del ricorso debba essere dichiarato inammissibile; in proposito la sentenza impugnata si presenta infatti conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità e non vengono prospettati dalla ricorrente argomenti per modificarla (Cass. S.U., 21/03/2017, n. 7155).

Questa Corte ha chiarito che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. (cfr. Cass. S.U., 18/12/2009, n. 26635/2009, Cass. n.12558/2010, Cass. n.12428/2012, Cass. n. 23070/2012, Cass. n. 27822/2013, Cass. n. 20414/2014, Cass. n. 22946/2015, Cass. n.30370/2017 nonchè, da ultimo, Cass. n. 30230/2018).

In tale quadro complessivo è stato così precisato che “il tema della grave incongruenza appare del tutto assorbito dal procedimento in contraddittorio, potendosi affermare che legittimamente l’Ufficio procede dalla rilevazione dello scostamento ed incrementa il significato presuntivo ad esso attribuibile se e nella misura in cui il contribuente, intervenendo in tale istruttoria, non coopera nel proprio interesse adducendo fatti di contrasto che indichino elementi contraddittori ed avversativi rispetto a quelli provenienti da tale modalità di potenziamento del metodo di accertamento analitico presuntivo” ed ancora che “la nozione di grave incongruenza non può essere posta avendo riguardo in via assoluta a precise soglie quantitative fisse sicuramente al disotto od oltre tale accento di rilievo, vivendo, invece, la nozione di indici di natura relativa da adattare a plurimi fattori propri della singola situazione economica, del periodo di riferimento ed in generale della stessa storia commerciale del contribuente destinatario dell’accertamento, oltre che del mercato e del settore di operatività” (così Cass., 18/12/2014, n. 26843/2014,anche Cass. n. 20414/14, Cass. n. 27822/13).

Pertanto, a rendere grave e quindi rilevante la percentuale di scostamento tra i ricavi dichiarati e i ricavi induttivamente accertati non è, come sostiene la ricorrente, la “ragionevolezza” o la “fondatezza” in astratto delle ragioni rese dal contribuente, sono invece i plurimi e concreti fattori della singola situazione economica illustrata, come nel caso di specie, dallo stesso contribuente in sede di contradditorio.

2. Il secondo motivo dedotto dalla ricorrente Agenzia delle Entrate è parimenti inammissibile.

Questa Corte ritiene che: “Il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione. (…). La deduzione di tale vizio conferisce ai giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui, in via esclusiva, spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti” (così Cass., 07/02/2013, n. 2910/2013; vedi anche Cass. n. 4342, Cass. n. 8718/2005, Cass. n. 2910/2013, Cass. n. 17233/2013).

Nel caso di specie, la sentenza impugnata contiene una motivazione che considera e valuta comparativamente tutti gli elementi fattuali addotti dal contribuente sin dal contradditorio endoprocedimentale, giungendo, attraverso un esaustivo procedimento logico giuridico, a riformare la Sentenza della CTP ed a dichiarare l’illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato. Pertanto anche questo secondo motivo va dichiarato inammissibile.

Alla stregua delle considerazioni svolte, precisato ancora che il ricorso mira in modo non ammissibile a rivisitare in particolare uno specifico dato obiettivo, quale la stagionalità di uno spazio-vendita, e parla genericamente del dato relativo alla rotazione del magazzino senza autosufficienti riferimenti, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.600 per compensi ed Euro 200 per esborsi. Oltre al 15% per spese generali ed oneri di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2019

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