Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2637 del 02/02/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 2637 Anno 2018
Presidente: TIRELLI FRANCESCO
Relatore: MARULLI MARCO

sul ricorso 23047/2013 proposto da:

c

Serra Maria, nella qualità di erede di Colucci Vincenzo, domiciliata in
Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di
Cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati Bruno Vito, Bruno
Maria Antonietta, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro
Comune di Aliano, in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in Roma, Via L. Spallanzani n.22, presso lo
studio dell’avvocato Pescatore Valer, rappresentato e difeso
dall’avvocato Pinto Leonardo, giusta – procura a margine del
controricorso;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 02/02/2018

contro

Centola Rosa, nella qualità di erede di Centola Giuseppe,
elettivamente domiciliata in Roma, Via L. Mantegazza n.24, presso lo
studio del dott. Gardin Marco, rappresentata e difesa dall’avvocato

– controricorrente –

contro

Giannasio Paolo, elettivamente domiciliato in Roma, Via Gianturco
n.6, presso lo studio dell’avvocato Zaccone Francesco, rappresentato
e difeso dall’avvocato D’angella Antonio, giusta procura a margine
del controricorso;
– controricorrente –

contro

Colucci Deborah, Colucci Filippo, Colucci Francesco, Colucci Ida,
Colucci Teresa;
– intimati avverso la sentenza n. 174/2012 della CORTE D’APPELLO di
POTENZA, depositata il 28/06/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
12/09/2017 dal cons. MARULLI MARCO.

Est. Con. Marulli

RG 23047/13 Serra-Centola
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Genovese Donatello, giusta procura a margine del controricorso;

FATTI DI CAUSA
1.1. Con citazione notificata il 24-26.9.1991 Colucci Vincenzo,
titolare dell’omonima impresa edile, conveniva in giudizio avanti al
Tribunale di Matera il Comune di Aliano, Centola Giuseppe e
Giannasio Paolo, all’epoca rispettivamente sindaco e vice sindaco, e,

e di pulizia delle strade comunali di campagna interessate dagli
smottamenti seguiti alle copiose precipitazioni cadute nella zona nel
dicembre 1990, reclamava il pagamento del corrispettivo dovutogli e
chiedeva perciò la condanna dell’ente locale ovvero, in subordine,
quella dei citati amministratori a mente dell’art. 23, comma 4, d.l. 2
marzo 1989, n. 66 ovvero ancora dell’ente locale ai sensi dell’art.
2041 cod. civ.
1.2. Avverso la sentenza di primo grado, che aveva accolto la
domanda solo nei confronti del Comune, interponeva appello
quest’ultimo avanti alla Corte d’Appello di Potenza che disponeva
preliminarmente l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli
eredi del Colucci, atteso che l’atto di gravame verso costui era stato
notificato al medesimo, malgrado l’intervenuto suo decesso, presso
il procuratore costituito ed era perciò affetto da nullità per vizio della
vocatio in ius; e, quindi, con la sentenza per cui oggi è ricorso,
chiarito ancora che l’integrazione del contraddittorio si era resa
possibile per l’inscindibilità delle domande proposte dal ColUCCI In
primo grado, provvedeva a dichiarare il difetto di legittimazione
passiva di tutti i convenuti sull’assunto che i lavori erano stati
ordinati dal Centola e dal Giannasio per incarico del Prefetto di
Potenza, sicché, agendo costoro nell’occasione in veste di ufficiali del
governo a mente dell’art. 16 d.P.R. 6 febbraio 1981, n. 66,
legittimato a resistere all’esercitata pretesa era perciò solo il
nr
Ministero della Protezione civile.
Est. Cons. Marulli

RG 23047/13 Serra-Centola
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sul rilievo di aver eseguito per incarico dei predetti lavori di ripristino

1.3. Avverso detta decisione ricorre ora Serra Maria, quale erede del
Colucci, sulla base di quattro motivi, articolati su plurime censure,
cui replicano il Comune, Centola Rosa, nella sua qualità di erede di
Centola Giuseppe, e Giannasio Paolo con controricorso.
Memoria ex art. 380 bisl cod. proc. civ. di Centola Rosa.

2.1 Con il primo motivo di ricorso la Serra deduce, sul presupposto
della nullità della citazione d’appello notificata al Colucci deceduto
presso il suo procuratore costituito nel giudizio di primo grado,
l’erroneità dell’impugnata decisione che, in luogo di dichiarare
l’inammissibilità del gravame, aveva ritenuto di salvarne gli effetti,
ordinando a tale fine l’integrazione del contraddittorio nei confronti
degli eredi del de cuius, in considerazione dell’inscindibiltà delle
domande proposte dal Colucci e, dunque, in applicazione dell’art. 331
cod. proc. civ.
2.2. Il motivo – già incoerente, come argomenta il Comune
resistente, rispetto al tenore delle pregresse difese degli eredi
Colucci, dell’avviso che l’eccezione d’inammissibilità, opposta

ex

adverso, dell’appello incidentale da loro proposto perché notificato dal
procuratore della parte deceduta, andasse respinta in ragione del
principio di stabilizzazione della parte che si rende applicabile in caso
di mancata dichiarazione dell’evento – è doppiamente infondato,
tanto alla luce dell’evoluzione segnata in materia dal diritto vivente,
quanto scrutinando nel merito la soluzione accolta dal giudice
territoriale.
2.3. Va invero osservato, in via più generale, che rispetto al quadro di
riferimento considerato dalla Corte potentina, contrassegnato dalla
convinzione, declinata pur con varietà di accenti, che gli effetti del
principio di stabilizzazione operino solo nell’ambito del giudizio in cui
l’evento interruttivo ha luogo, onde l’impugnazione va

RG 23047/13 Serra-Centola

is-koposta
Marulli

Est,
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C ts.

RAGIONI DELLA DECISIONE

contro i soggetti che siano parti sostanziali attualmente interessate
alla controversia ed al processo e, nel caso in cui sia proposta nei
confronti della parte defunta, essa va dichiarata inammissibile, stante
l’inapplicabilità dell’art. 291 cod. proc. civ. (Cass., Sez. U,
19/12/1996, n. 11394; Cass., Sez. U, 28/07/2005, n. 15783; Cass.

da sfondo al travagliato excursus della questione è venuto da ultimo
ricomponendosi a seguito di un rinnovato intervento delle SS.UU.,
che hanno riaffermato in materia il primato del principio
dell’ultrattività del mandato ed hanno perciò, tra l’altro, giudicato
ammissibile, sul presupposto che la morte o la perdita di capacità
della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non
dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, non recide il rapporto
professionale in essere con il medesimo, «la notificazione
dell’impugnazione presso di lui, ai sensi dell’art. 330, primo comma,
cod. proc. civ., senza che rilevi la conoscenza aliunde di uno degli
eventi previsti dall’art. 299 cod. proc. civ. da parte del notificante»
(Cass., Sez. U, 4/07/2014, n. 15295).
2.4. Se tanto basta, in ragione della pacifica notificazione dell’atto di
gravame al procuratore costituito per il Colucci nel giudizio di primo
grado, a rendere superata in apicibus la contestazione mossa al
deliberato d’appello, nondimeno il ragionamento decisorio sviluppato
a conforto di esso, pur alla luce del quadro di riferimento dell’epoca,
si rivela viziato.
Come visto la Corte potentina si è indotto a respingere gli effetti
drasticamente preclusivi argomentati dalla ricorrente e discendenti
dall’irrituale vocatio in ius del de cuius in luogo degli eredi nella
considerazione che, avendo costui proposto più domande legate da
un vincolo di inscindibilità alla domanda proposta nei confr nti del
Comune appellante, la rituale instaurazione del contradditto io nei
RG 23047/13 Serra-Centola
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Sez. U, 16/12/2009, n. 26279), il puzzle interpretativo che ha fatto

confronti degli altri appellati rendesse applicabile il rimedio dell’art.
331 cod. proc. civ. e consentisse perciò di ordinare che il
contraddittorio fosse integrato nei confronti degli eredi. Ha all’uopo
spiegato che «l’inscindibilità deriva nel caso concreto dal rapporto di
dipendenza tra le diverse domande proposto nei confronti dei

nel senso che tali domande si pongono in una situazione di
subordinazione logica: l’esistenza di un’obbligazione (contrattuale o

ex lege) dell’ente territoriale esclude, secondo la prospettazione di
parte attrice, l’esistenza dell’obbligazione della persona fisica che ha
conferito all’attore l’incarico di svolgere la prestazione dedotta in
giudizio». In ciò il decidente ha mostrato di uniformarsi esattamente
alla giurisprudenza di questa Corte, atteso che, come si è più volte
affermato, «l’obbligatorietà dell’integrazione del contraddittorio nella
fase dell’impugnazione, al fine di evitare giudicati contrastanti nella
stessa materia e tra soggetti già parti del giudizio, sorge non solo
quando la sentenza di primo grado sia stata pronunciata nei confronti
di tutte le parti tra le quali esiste litisconsorzio necessario sostanziale
e l’impugnazione non sia stata proposta nei confronti di tutte, ma
anche nel caso del cosiddetto litisconsorzio necessario processuale,
quando l’impugnazione non risulti proposta nei confronti di tutti i
partecipanti al giudizio di primo grado, sebbene non legati tra loro da
un rapporto di litisconsorzio necessario, sempre che si tratti di cause
inscindibili o tra loro dipendenti (art. 331 cod. proc. civ.), nel qual
caso la necessità del litisconsorzio in sede di impugnazione è imposta
dal solo fatto che tutte le parti sono state presenti nel giudizio di
primo grado» (Cass., Sez. 3, 26/01/2010, n. 1535). E poiché, come
ancora affermato, l’ipotesi di dipendenza di cause – il cui trattamento
è equiparato all’ipotesi di cause inscindibili, nella quale sono da
ricomprendere non soltanto i casi di litisconsorzio nece sario
Est. Cito

RG 23047/13 Serra-Centola
6

Marulli

convenuti, ossia dalla sussistenza di una situazione di alternatività,

sostanziale, ma anche quelli di litisconsorzio processuale – ricorre
anche «allorché la decisione di una controversia si estende
necessariamente ad altra costituendone il presupposto logico e
giuridico imprescindibile per il carattere di pregiudizialità o di
alternativa che le questioni oggetto dell’una hanno rispetto alle

rettamente il giudice d’appello, individuando un nesso di dipendenza
logica tra le diverse domande proposte dal Colucci, nel senso che
l’accoglimento dell’una precludeva l’accoglimento delle altre, ha
ritenuto di ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti
degli eredi del Colucci, onde l’impugnata sua statuizione in parte qua
è conforme al diritto e non merita perciò censura.
3.1. Con il secondo motivo di ricorso la Serra contesta nel merito le
determinazioni assunte dal giudice d’appello poiché nella specie non
ricorrerebbe il rilevato difetto di legittimazione passiva, ma, semmai,
un difetto di titolarità rispetto al rapporto dedotto in giudizio e non si
sarebbe potuta affermare neppure la legittimazione passiva del
Ministero della Protezione civile in difetto di domanda, in difetto di
dichiarazione dello stato di calamità – circostanza, la cui allegazione
non era stata fatta oggetto neppure di disamina – ed in difetto di
immediatezza nella disposizione dei lavori.
3.2. La censura, orchestrata su plurimi registri – alcuni dei quali,
come quello che denuncia un preteso vizio motivazionale nell’omesso
esame dell’allegazione afferente al difetto della dichiarazione dello
stato di calamità, palesemente inammissibili per ragioni di diritto
intertemporale – non ha fondamento e la sua infondatezza rende
superfluo l’esame del terzo motivo di ricorso, riposando questo sul
presupposto, sconfessato dal decidente di appello, che nella specie
sussista la legittimazione passiva degli amministratori convenuti ai

3

sensi del citato art. 23 I. 66/89.

Est. ConSil. Marulli

RG 23047/13 Serra-Centola
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questioni trattate nell’altra» (Cass., Sez. 2, 1/04/1999, n. 3114),

3.2. Quanto al motivo in disamina, richiamata la distinzione tra
legittimazione ad causam

che si risolve nella titolarità del potere o

del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto
sostanziale dedotto in causa (Cass., Sez. I, 7/10/2005, n. 19647) e
consiste nella correlazione tra colui nei cui confronti è chiesta la

(asseritamente violato), in relazione al diritto per cui si agisce
(Cass., Sez. I, 6/04/2006, n. 8040) – e titolarità del rapporto
controverso – che è un elemento costitutivo della domanda ed
attiene al merito della decisione (Cass., Sez. U, 16/02/2016, n.
2951) in quanto attiene dell’identificabilità o meno nel convenuto del
soggetto tenuto alla prestazione richiesta dall’attore (Cass., Sez. III,
20/12/2005, 28227) – il rilievo operato nella specie dal giudice
d’appello è immune da critiche, collocandosi, infatti, nel solco di un
accertamento condotto alla stregua della fattispecie giuridica
prospettata dall’azione (Cass., Sez. II, 10/05/2010, n. 11284), di
guisa che, parametrando la domanda secondo la concreta
rappresentazione offertane dall’attore al suo schema astratto,
doverosamente ne ha riscontrato la difformità dal lato passivo, non
accordandosi «dichiaratamente» con la pretesa imputabilità del
rapporto ai convenuti la circostanza che nella specie l’ordine dei
lavori fosse stato impartito in attuazione di una disposizione
prefettizia e che, avendo gli ordinanti agito nell’occasione nella loro
veste di ufficiali del Governo, legittimati passivi fossero non costoro,
ma il Ministero della Protezione civile, a nulla rilevando in contrario
né il difetto di una formale eccezione al riguardo, giacché
all’accertamento della legittimazione il giudice è tenuto a procedere
d’ufficio, né gli altri elementi di fatto pretesamente ostativi declinati
dal motivo in quanto afferenti al merito della controversia e, dun ue,
estranei al piano di giudizio attinto dalla decisione.
Est. gons

RG 23047/13 Serra-Centola
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tutela e la affermata titolarità, in capo a costui, del dovere

4.1. Con il quarto motivo di ricorso la deducente si duole della
mancata regolazione della specie in applicazione dell’art. 2041 cod.
civ., avendo il comune dichiarato con delibera 9.2.2000 n. 69 di
riconoscere l’utilità dell’opera.
4.2. Il motivo è infondato.

verso

l’attributo della sussidiarietà prevede che «l’azione di

arricchimento non è proponibile quando il danneggiato può
esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio
subito». Da ciò, la giurisprudenza di questa Corte ha tratto la
ripetuta massima che «l’azione generale di arricchimento
ingiustificato costituisce un’azione autonoma, per diversità della
“causa petendi”, rispetto alle azioni fondate su titolo negoziale ed ha
natura sussidiaria, potendo essere esercitata solo quando manchi un
titolo specifico sul quale possa essere fondato un diritto di credito»
(Cass, Sez. III, 11/10/2012, n. 17317).
Nella specie, sussistendo un’azione tipica, in quanto il Colucci
avrebbe potuto indirizzare le proprie istanze nei confronti del
Ministero competente, il requisito richiesto onde dare ingresso
all’azione di arricchimento ex art. 2041 cod. civ. era manifestamente
carente e non è perciò censurabile la decisione impugnata che si è
attenuta all’indicato principio di diritto ed ha conseguentemente
dichiarato inammissibile la relativa domanda.
4. Respinto perciò il ricorso, le spese seguono la soccombenza.
Ricorrono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.

Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio che liquida in favore di Centola R

in

Est. éon Marulli

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L’art. 2042 cod. civ., com’è noto, conferendo all’actio de in rem

euro 3200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese
generali ed accessori di legge ed in favore del Comune di Aliano e di
Giannasio Paolo in euro 2800,00 ciascuno, di cui euro 200,00 per
esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n.

parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il
giorno 12.9.2017
Il Futv,- .ioriario Giu Ii7larío
Dott.ssa Fabrizia bAIW NE

Fra
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115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da

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