Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26365 del 19/11/2020

Cassazione civile sez. I, 19/11/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 19/11/2020), n.26365

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 31889/2018 proposto da:

K.N., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Francesco Priore, ed

Alessandro Ferrara, presso il cui studio in Roma alla via Barnaba

Tortolini, n. 30, è elettivamente domiciliato, giusta mandato alle

liti in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Prefettura di Caserta, in persona del Prefetto, Prefettura di

Caserta, in persona del suo legale rappresentante pro tempore;

– intimate –

avverso l’ordinanza del Giudice di Pace di Caserta emessa nel proc.

iscritto al n. R.G. 56/18, pubblicata in data 21 maggio 2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/10/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale,

Dott.ssa CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito, per la parte ricorrente, l’Avv. Alessandro Ferrara che ha

concluso riportandosi al ricorso e alla memoria.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ordinanza del 21 maggio 2018, K.N., cittadino del (OMISSIS), ricorre a questa Corte, con atto affidato a tre motivi, avverso l’ordinanza del Giudice di Pace di Caserta, che aveva rigettato il ricorso nei confronti del decreto di espulsione disposto dal Prefetto della Provincia di Caserta.

2. Il Giudice di Pace ha affermato che: il provvedimento amministrativo di espulsione dello straniero extracomunitario era obbligatorio e a carattere vincolato e che il giudice era tenuto soltanto ad accertare la legittimità sostanziale dell’atto impugnato, ovvero l’esistenza al momento dell’espulsione dei requisiti di legge che ne imponevano l’emanazione, senza che fosse possibile configurare un obbligo di sospensione necessaria del relativo procedimento, qualora ne fosse pendente un altro nel quale si controverteva dell’esistenza dei presupposti idonei a legittimare l’adozione del relativo decreto; la tutela del minore era demandata al Tribunale per i minorenni cui poteva essere rivolta istanza documentata al fine di ottenere un provvedimento che autorizzasse il genitore alla permanenza in Italia e che, comunque, il minore era stato dato in adozione; le persecuzioni lamentate erano rimaste mere petizioni di principio, essendo insufficienti le allegazioni difensive, non potendo farsi riferimento alla situazione dello Stato di origine e ai rapporti delle Organizzazioni internazionali, ma dovendo riguardare sopravvenute ragioni personali integranti il divieto di espulsione; la richiesta di riduzione del termine per il reingresso poteva essere formulata solo in sede di emanazione del decreto e, comunque, era una scelta discrezionale della P.A..

3. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

4. Con ordinanza interlocutoria del 24 gennaio 2020, la trattazione della causa è stata rimessa alla pubblica udienza in relazione alla questione, su cui mancano precedenti in termini, dell’effetto sospensivo del ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello di diniego della protezione internazionale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 3, applicabile alla specie in via analogica.

5. Il ricorrente ha depositato memoria difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 13 e 19, come modificato dal D.L. n. 241 del 2004, nonchè del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18 e art. 19, comma 4, in relazione agli artt. 24 e 111 Cost.; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 7, art. 10, comma 5 e art. 35, come modificato dal D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 15, nonchè all’art. 9 della Direttiva 2013/32/CE del Consiglio del 26 giugno 2013, non avendo il Giudice di Pace annullato il decreto di espulsione impugnato pur in pendenza del giudizio civile innanzi al Tribunale di Bari volto al riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria, proseguito in appello e tuttora pendente innanzi la Corte di cassazione e malgrado dovesse essere rilevata l’esistenza di un valido titolo di soggiorno con conseguente annullamento del provvedimento espulsivo.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 ed art. 19; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 ed D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 19, commi 2 e 2 bis, in relazione all’art. 8 della CEDU e art. 117 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo errato il Tribunale nel ritenere che il dedotto legale familiare con il figlio non integrasse una situazione di vulnerabilità in presenza della quale riconoscere la sussistenza di ragioni di carattere umanitario, così mortificando il superiore interesse del minore del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 19, commi 2 e 2 bis, minore nei confronti del quale era stata disposta la cosiddetta adozione mite della L. n. 184 del 1983, ex art. 44, lett. d).

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 ed art. 19; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 ed del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 19, commi 2 e 2 bis, in relazione all’art. 8 della CEDU, agli artt. 7 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ed artt. 2,3,29,30,31 e 117 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo il Tribunale, con il riferimento al carattere chiuso del giudizio in materia di espulsione, tenuto in considerazione il superiore interesse del minore e il diritto di questi a conservare e rafforzare il legame familiare con il padre biologico.

3.1 Le descritte censure, suscettibili di un esame congiunto perchè connesse, meritano accoglimento.

Ed invero, il ricorrente, sostanzialmente, invoca il principio di diritto secondo cui chi ha proposto una domanda di protezione internazionale non può essere espulso fino a che non divenga definitiva la decisione giurisdizionale reiettiva della sua istanza.

3.2 Emerge chiaramente, infatti, dal complessivo tenore delle argomentazioni dell’odierno ricorso, che viene ascritto al Giudice di Pace di aver erroneamente rigettato l’opposizione proposta avverso il decreto di espulsione emesso dal Questore di Caserta poichè K.N. aveva avanzato una domanda di protezione internazionale, rigettata dal Tribunale di Bari con decreto del 19 settembre 2016, respinta con sentenza della Corte di appello di Bari del 22 giugno 2017, ma di cui era in attesa di conoscere l’esito del giudizio di impugnazione promosso innanzi alla Corte di cassazione.

3.3 Dalla lettura dell’ordinanza impugnata emerge che il Giudice di Pace richiama espressamente la decisione della Commissione territoriale e i gravami interposti respinti dal Tribunale e dalla Corte di appello di Bari, ma nulla dice sulla copia del ricorso per cassazione e dell’istanza ex art. 369 c.p.c., formulata all’udienza dell’8 febbraio 2018.

3.4 Fermo quanto precede, ritiene il Collegio che, al fine di stabilire se ne sia conseguita la sua negativa ripercussione sulla legittimità, o meno, dell’ordinanza qui impugnata alla stregua della normativa richiamata, si impone, preliminarmente, l’esame del tema riguardante gli effetti della pendenza della domanda di protezione internazionale sul provvedimento di espulsione dello straniero che sia intervenuto dopo la pronuncia negativa su detta domanda resa dalla competente Commissione Territoriale, dal Tribunale e dalla Corte di appello, ma prima della decisione della Corte di cassazione.

3.5 Ciò posto osserva la Corte che il diritto a permanere in Italia durante la pendenza della procedura di riconoscimento del diritto alla protezione internazionale è previsto dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 7, comma 1, che stabilisce che il richiedente asilo sia dalla legge autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato fino alla decisione della Commissione territoriale sulla domanda di protezione, pur con la salvezza delle ipotesi di cui del citato art. 7, comma 2 (che nella specie non si ravvisano).

Non è, infatti, applicabile al caso in esame, ratione temporis, la novella introdotta dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, art. 9, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. 10 dicembre 2018, n. 132, che ha modificato del suddetto art. 7, il comma 2, stabilendo che la domanda di protezione non impedisce l’espulsione, quando sia proposta “al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di una decisione che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dal territorio nazionale”.

3.6 Ora mentre il diritto del richiedente asilo di non essere allontanato è sancito dall’art. 9, comma 1, della Direttiva 2013/32/UE, il quale stabilisce che i richiedenti sono autorizzati a rimanere nello Stato membro, ai fini esclusivi della procedura, fintantochè l’autorità accertante non abbia preso una decisione secondo le procedure di primo grado, l’obbligo dello Stato di espellere gli irregolari è imposto dall’art. 6, comma 1, della Direttiva 2008/115/UE, che stabilisce che gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare.

3.7. La Corte di giustizia dell’Unione Europea, intervenuta in materia per risolvere l’apparente antinomia tra il diritto del richiedente asilo di non essere espulso ed il dovere dello Stato di espellere gli irregolari, ha affermato i seguenti principi:

a) colui il quale abbia presentato una domanda di protezione non può essere considerato irregolare, ai fini dell’espulsione, sino a che non sia conclusa la relativa procedura (Corte di giustizia, 30 maggio 2013, Arslan, in causa C-534/11);

b) il richiedente protezione, sebbene non possa essere espulso, può nondimeno essere trattenuto negli appositi centri, quando lo impongano esigenze cautelari da valutare caso per caso (Corte di giustizia, 30 maggio 2013, Arslan, in causa C-534/11);

c) la proposizione di una domanda di protezione dopo che il richiedente sia stato raggiunto da un provvedimento di espulsione non comporta affatto la caducazione di quest’ultimo provvedimento, ma solo la sua ineseguibilità, fino a quando la procedura volta alla concessione della protezione non sia conclusa (Corte di giustizia, 15 febbraio 2016, J.N., in causa C-601/15);

d) la garanzia della sicurezza pubblica è il fine della direttiva 2008/115 e tale fine non può essere aggirato con condotte elusive, quali, tra l’altro, la reiterazione ad arte delle domande di protezione (Corte di giustizia, 15 febbraio 2016, J.N., in causa C-601/15);

e) la presentazione d’una domanda di protezione internazionale può comportare non già l’azzeramento del provvedimento espulsivo, ma solo la sua sospensione a far data dalla presentazione della domanda e in caso di rigetto della domanda di protezione anche solo in primo grado la procedura espulsiva riprenderà dal punto in cui si era interrotta (Corte di giustizia, 15 febbraio 2016, J.N., in causa C601/15);

f) la presentazione di una domanda (anche reiterata) di protezione internazionale non osta all’adozione, nei confronti del richiedente, di una misura di trattenimento, poichè questa non ha la conseguenza di privare il richiedente del diritto di rimanere nello Stato membro ai soli fini della procedura di protezione internazionale (Corte di giustizia, 15 febbraio 2016, J.N., in causa C-601/15);

g) l’espulsione o la procedura finalizzata all’espulsione non saranno annullate, ma solo sospese dalla presentazione d’una domanda di protezione, e pertanto la procedura di espulsione può essere ripresa dalla fase in cui è stata interrotta in conseguenza del deposito di una domanda di protezione internazionale e ciò dal momento del rigetto in primo grado della domanda stessa (Corte di giustizia, 15 febbraio 2016, J.N., in causa C-601/15).

3.8 Questa Corte ha chiarito che “in materia di immigrazione, la proposizione del ricorso del richiedente asilo avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale sospende l’efficacia esecutiva di tale provvedimento, con la conseguenza che, secondo l’interpretazione data dalla Corte di Giustizia all’art. 2, paragrafo della Direttiva CEE n. 115 del 2008, non scatta l’obbligo per il richiedente di lasciare il territorio nazionale, permanendo la situazione di inespellibilità fino all’esito della decisione sul ricorso” (Cass., 21 maggio 2018, n. 12476; Cass., 30 novembre 2015, n. 24415).

Questa Corte ha, altresì, precisato che nel caso in cui la sospensione del provvedimento impugnato, di rigetto della richiesta di asilo, non sia disposta con provvedimento giudiziale (nel qual caso si può plausibilmente ritenere la durata limitata al grado di giudizio nell’ambito del quale la stessa era stata sancita), ma sia direttamente prevista dalla legge (D.L. n. 150 del 2011, art. 19, comma 4, come modificato dal D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 27, comma 1, lett. c)), che non stabilisce quando cessi, deve concludersi “nel senso di ritenerne la cessazione alla fine dell’intero giudizio, e quindi col passaggio in giudicato” (Cass., 12 gennaio 2018, n. 699; Cass.,27 luglio 2017, n. 18737).

3.9 Si rende necessario a questo punto individuare la normativa applicabile al caso in esame, tenuto conto che, come emerge dalla lettura del ricorso per cassazione (pag. 2), la domanda volta al riconoscimento della protezione internazionale è stata introdotta da K.N. nel 2014 (n. R.G. 11351/2014).

3.10 In origine, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, emanato in attuazione della Direttiva 2005/95/CE, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status del rifugiato, prevedeva, al comma 12, che il reclamo (forma processuale dell’impugnazione prevista, ratione temporis) non avesse effetto sospensivo, ma che la sospensione potesse essere chiesta alla Corte d’appello.

In particolare, era previsto che: “Il reclamo non sospende gli effetti della sentenza impugnata; tuttavia la corte d’appello, su istanza del ricorrente, può disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa quando ricorrano gravi e fondati motivi”.

Detta previsione è stata soppressa dal D.Lgs. n. 150 del 2011, che, all’art. 19, ha previsto l’applicazione, alle controversie promosse ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, del rito sommario di primo grado, con conseguente assoggettamento ad appello dell’ordinanza del tribunale, secondo la regola generale di cui all’art. 702 quater c.p.c..

Inoltre, al comma 4 è stata prevista la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, fatta eccezione per le ipotesi di cui alle lett. a), b), c) e d).

Il D.Lgs. n. 142 del 2015, entrato in vigore il 30/09/2015 (successivamente, quindi, alla, instaurazione, innanzi al Tribunale di Caserta, del procedimento n. 11351/2014) ha modificato il testo dell’art. 19 citato, e in particolare le ipotesi di cui alle lett. a), b), c) e d) di cui al comma 4, ribadendo in ogni caso che “la proposizione del ricorso sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato”.

Il D.L. n. 13 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 46 del 2017, entrata in vigore il 18/04/2017 (che al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, ha aggiunto il comma 13) ha statuito, previa abrogazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, la cessazione dell’effetto sospensivo, in caso di rigetto del ricorso, “con decreto anche non definitivo” del tribunale.

3.11 Da quanto precisato deve osservarsi che la disciplina processuale ratione temporis applicabile è quella contenuta nel D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, che rinvia al rito sommario di cognizione per tutto ciò che non è espressamente regolato dalla norma stessa e che prevede espressamente la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, tranne nelle ipotesi ivi espressamente previste (che nel caso in esame non rilevano dagli atti).

3.12 La conseguenza è che la proposizione del ricorso per cassazione sospende gli effetti della sentenza impugnata.

Si tratta di una sospensione “ex lege” del provvedimento di diniego della protezione internazionale senza alcuna previsione del termine di cessazione, sicchè opera sino al termine del giudizio e dunque al momento del passaggio in giudicato.

In questi caso, la proposizione del ricorso del richiedente asilo avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale sospende l’efficacia esecutiva di tale provvedimento e, secondo l’interpretazione data dalla Corte di Giustizia all’art. 2, paragrafo 1, della Direttiva CEE n. 115 del 2008, non scatta l’obbligo per il richiedente di lasciare il territorio nazionale, permanendo una situazione di inespellibilità fino all’esito della decisione sul ricorso, momento temporale esteso nel sistema legislativo relativo alla protezione internazionale fino al passaggio in giudicato del provvedimento impugnato, con la conseguenza che il provvedimento di espulsione impugnato è nullo e che il rigetto dell’opposizione da parte del giudice di pace deve ritenersi illegittimo (Cass. 31 ottobre 2018, n. 28003; Cass., 28 febbraio 2019, n. 6071; Cass., 22 giugno 2020, n. 12206).

3.13 Mentre con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, come introdotto dal D.L. n. 13 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), convertito con modificazioni dalla L. n. 46 del 2017, la cessazione dell’effetto sospensivo si verifica sempre in caso di rigetto del ricorso con decreto del tribunale anche non definitivo (Cass., 27 luglio 2017, n. 18737).

3.14 Nella specie, la decisione del Giudice di pace è illegittima, poichè il Decidente doveva considerare l’efficacia sospensiva correlata alla presentazione del ricorso avente ad oggetto la domanda di protezione internazionale già depositato anteriormente all’emissione del decreto di espulsione della cui legittimità oggi si discute perchè, in ragione della normativa ratione temporis applicabile, si è verificato un effetto sospensivo ex lege, con la conseguente inespellibilità, medio tempore, dello straniero irregolare.

4. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento, per quanto di ragione, del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri due motivi, l’ordinanza impugnata deve essere cassata e, non occorrendo ulteriori accertamenti fattuali, la controversia può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., annullandosi il decreto di espulsione.

Dovrà, infatti, farsi in applicazione del seguente principio di diritto:

“Il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 4, prevedendo che “la proposizione del ricorso sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato”, introduce una ipotesi di sospensione ex lege che opera sino al momento del passaggio in giudicato del provvedimento impugnato, con la conseguenza che la proposizione del ricorso per cassazione sospende gli effetti della sentenza impugnata, fatta eccezione in ogni caso per le ipotesi di cui lett. a), b), c) e d), previste dallo stesso art. 19, comma 4″.

Le spese seguono la soccombenza, rimanendo a carico della Prefettura di Caserta, unico soggetto nei cui confronti doveva effettuarsi la notifica del ricorso (cfr. Cass. n. 12665 del 2019), e si liquidano, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie, per quanto di ragione, i motivi di ricorso, cassa il provvedimento impugnato, e, decidendo nel merito, annulla il decreto di espulsione.

Condanna la Prefettura di Caserta al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi e delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, ed agli accessori di legge, con distrazione a favore del procuratore antistatario.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2020

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