Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26364 del 20/12/2016


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Cassazione civile, sez. II, 20/12/2016, (ud. 12/07/2016, dep.20/12/2016),  n. 26364

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7298/2012 proposto da:

M.P., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

AURELIA 325, presso lo studio dell’avvocato FABIO MASSIMO AURELI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI RUSSO;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DI C.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 144/2011 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 31/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/07/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

M.P. chiedeva, nel marzo 1999, al Tribunale di Vasto di essere ammesso in privilegio al passivo del fallimento di D.C.A. per un credito dell’importo di Lire 324.583.000 (pari ad Euro 167.632,84) e domandando, inoltre, il rilascio dei beni a suo tempo veduti al medesimo D.C..

Va evidenziato, per completezza dell’esposizione, che il M. nel gennaio 1986, aveva – con apposita scrittura privata – venduto al succitato D.C. – poi dichiarato fallito nel gennaio 1987 – un piazzale ed un terreno, di cui in atti, per il prezzo complessivo di Lire 200 milioni con anticipo, alla stipula, di Lire 10 milioni da parte del promittente acquirente rimasto poi inadempiente.

La domanda veniva resistita dal fallimento.

L’adito Tribunale, con sentenza n. 76/2004, respingeva la domanda di insinuazione al passivo, con condanna del ricorrente alle spese.

Avverso la suddetta sentenza interponeva appello il M..

Resisteva al gravame l’appellato.

L’adita Corte di Appello dell’Aquila, con sentenza n. 144/2011 rigettava l’appello, confermava l’impugnata decisione e condannava l’appellante alla refusione delle spese del giudizio.

Per la cassazione della suddetta sentenza della Corte territoriale ricorre il M. con atto affidato a tre ordini di motivi.

Non ha svolto attività difensiva l’intimato fallimento.

Diritto

RITENUTO in DIRITTO

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Il motivo verte, nella sostanza, su una doglianza che prende spunto (per espressa affermazione del ricorrente) da un passo – a pag. 3 – della sentenza della Corte territoriale.

Più in particolare viene col motivo dedotta l’erronea valutazione della circostanza, affermata in sentenza, che il curatore – nel costituirsi – ebbe a dichiarare di voler subentrare nel contratto per cui è causa in luogo fallito.

Il motivo non può essere accolto.

Ove con lo stesso si voglia una nuova valutazione del valore da attribuire alla costituzione in giudizio del fallimento e degli effetti della stessa si sarebbe al cospetto di una censura eminentemente di merito e, come tale, inammissibile in questa sede.

Ove -viceversa (anche se ciò non è chiaro in ricorso)- si volesse svolgere una censura in diritto sulla interpretazione dell’atto del fallimento, parte ricorrente neppure ha addotto o prospettato, pure in carenza di autosufficienza del ricorso, da quali elementi poteva evincersi l’opposta mancanza di volontà del subentro del fallimento.

Per di più la gravata decisione, con percorso argomentativo logico ed immune da vizi, ha affermato – facendo buon governo delle norme di diritto e dei principi ermeneutici applicabili nella fattispecie – che il curatore, chiedendo l’accertamento della verifica delle sottoscrizioni della scrittura privata, aveva già manifestato, quantomeno implicitamente, la volontà di subentrare nel contratto.

Il motivo va, dunque, respinto.

2.- Con il secondo motivo si denuncia l’omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Viene dedotta l’erroneità della sentenza impugnata in ordine alla eccezione di prescrizione sollevata in giudizio dal fallimento. Si deduce, in particolare, la decadenza del fallimento dall’eccezione di intervenuta prescrizione in relazione al diritto di credito azionato con la domanda di insinuazione al passivo. Il tutto perchè – secondo parte ricorrente – il fallimento avrebbe precisato i termini dell’intervenuta prescrizione “solo con le note ex art. 183 c.p.c., comma 4”.

Il motivo non è fondato.

Al fallimento – una volta eccepita l’intervenuta prescrizione – non incombeva, a differenza di quanto dedotto in motivo, uno speciale onere probatorio e la stessa precisazione dell’eccezione ben poteva essere compiuta definitivamente con le anzidette note. Il motivo va, quindi, rigettato.

3.- Con il terzo motivo del ricorso si deduce il vizio di “violazione e falsa applicazione di norme di diritto”.

Il motivo, privo – fra l’altro – anche di una minima specifica indicazione di (quali) norme del diritto violate, si limita in sostanza ad una ennesima generica critica al ritenuto subentro del fallimento nel contratto.

Il motivo è, quindi, del tutto inammissibile.

4.- Alla stregua di quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto il ricorso va rigettato.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2016

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