Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26364 del 19/11/2020

Cassazione civile sez. I, 19/11/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 19/11/2020), n.26364

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 31212/2018 proposto da:

B.H., rappresentato e difeso dall’Avv. Belluccio Dario,

giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione, ed

elettivamente domiciliato in Roma, via alla via Mercalli, n. 13,

presso lo studio dell’Avv. Ugo Altomare;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di BARI n. 6979/2018 del 26

settembre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/10/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale,

Dott.ssa CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito, per la parte ricorrente, l’Avv. Lorenzo Trucco, in

sostituzione dell’Avv. Dario Belluccio, giusta delega scritta, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 26 settembre 2018, il Tribunale di Bari, Sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione internazionale, ha rigettato il ricorso proposto da B.H., cittadino proveniente dalla (OMISSIS), avverso il provvedimento negativo della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria.

2. Il Tribunale ha ritenuto che: la causa, rimessa al Collegio per la decisione sulla domanda di protezione umanitaria proposta dal ricorrente doveva essere decisa dal Tribunale in composizione collegiale; l’audizione diretta dell’istante era irrilevante poichè il richiedente aveva prodotto in causa il verbale delle articolate dichiarazioni rese dinanzi alla Commissione territoriale sufficientemente ampie e adeguatamente illustrative dei motivi dell’invocata protezione; che non erano state dedotte situazioni di persecuzione intesa quale vessazione o repressione violenza implacabile, avendo il ricorrente riferito di essere fuggito a causa di un conflitto tra la sua famiglia e altre persone per il possesso di un terreno; non sussistevano i presupposti per la protezione sussidiaria in presenza di un conflitto di natura privata e in assenza di particolari criticità nel paese di provenienza come evidenziato dalle fonti aggiornate al 2018; non rilevava il periodo di permanenza in Libia dove il ricorrente aveva dichiarato di essersi recato per motivi di lavoro; non risultava un’effettiva lesione di diritti fondamentali, nè era comprovata una specifica situazione che denotava una vulnerabilità del soggetto.

3. B.H. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a sei motivi.

4. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

5. Il ricorrente ha depositato memoria difensiva.

6. Con ordinanza interlocutoria del 24 gennaio 2020, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo in relazione alla questione preliminare processuale della procedura applicabile all’iniziale domanda di protezione internazionale, poi limitata solo alla domanda di protezione umanitaria, ai limiti di accertamento della domanda da parte del giudice e agi oneri di allegazione da parte del richiedente.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. a) e del D.L. n. 13 del 2017, art. 3, comma 4 bis, come convertito dalla L. n. 46 del 2017; dell’art. 2, par. 1 e art. 6, par. 4, della Direttiva 2008/115/CE; dell’art. 28 Convenzione di Ginevra; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 24, che recepisce l’art. 25 della Direttiva 2004/83/CE; dell’art. 8 del progetto di articoli sulla protezione diplomatica, adottato definitivamente dalla Commissione del Diritto Internazionale, tali ultimi anche con riferimento all’art. 117 Cost..

Ad avviso del ricorrente ha errato il Tribunale di Bari nel ricondurre il procedimento volto al riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari tra quelli per i quali dovrebbe applicarsi il rito camerale speciale di cui al D.L. n. 13 del 2017, art. 3, comma 4 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 46 del 2017 e che dovrebbero essere decisi dal tribunale in composizione collegiale.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del decreto decisorio, con riferimento all’art. 24 Cost.; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3; D.L. n. 13 del 2017, art. 3, commi 4 e 4 bis, come convertito dalla L. n. 46 del 2017; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 35 e 35 bis; art. 12 preleggi, nonchè agli artt. 281 octies e 189 c.p.c., avendo il Tribunale deciso la causa con decreto e non con sentenza ed in composizione collegiale e non monocratica.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 61,115,116,117,183,191 c.p.c.; D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 3; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, art. 28 bis, comma 2, lett. a) e art. 35 bis, non avendo il Tribunale di Bari concesso i termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6 e non avendo seguito il rito ordinario di cognizione, con il rispetto del principio della domanda nell’assunzione delle prove, avuto particolare riguardo alla chiesta C.T.U. medico legale e avendo errato a non disporre l’audizione del ricorrente, tenuto conto che le dichiarazioni rilasciate in sede amministrativa erano state censurate e trascritte solo succintamente e soltanto a seguito della traduzione dell’interprete.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; D.Lgs. n. 296 del 1998, artt. 5, 6 e 19; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3; artt. 3 e 8 CEDU, avendo errato il Tribunale nel ritenere che le ragioni che portavano a negare la protezione umanitaria erano le stesse addotte per negare la sussistenza della protezione internazionale, in una delle due forme previste dall’ordinamento.

5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce, in relazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6,14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non avendo tenuto conto che egli si era trasferito all’età di due anni nello stato federale di Lagos e che non erano state prese in considerazione le informazioni sul suo paese di origine specificamente indicate, oltre che del fatto che aveva dato prova che per lui era impossibile accedere alla protezione del suo Paese di origine.

6. Con il sesto motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 24 Cost., D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 126 e 136, poichè la questione del rito prescelto era stata oggetto di ampio dibattito, sicchè non poteva parlarsi di domanda manifestamente infondata, come si evinceva anche dall’articolata motivazione del Tribunale di Bari, nè poteva affermarsi di avere agito con mala fede o colpa grave.

7. Il primo motivo è fondato.

7.1 Ed invero, come risulta dal decreto impugnato e come affermato dallo stesso ricorrente, la domanda proposta alla Commissione territoriale aveva ad oggetto la protezione internazionale e la protezione umanitaria è stata impugnata dinanzi al Tribunale Sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione internazionale limitatamente nella parte in cui non era stata riconosciuta la protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

7.2 Tanto premesso, si rende necessario sinteticamente riepilogare il quadro normativo di riferimento vigente ratione temporis.

Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, nel testo allora vigente, prevede che la Commissione territoriale, nei casi in cui non accolga la domanda di protezione internazionale, ma ritenga sussistere i necessari presupposti, trasmetta gli atti al questore per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 1, prevede la possibilità di ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria e avverso la decisione della Commissione in tema di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria.

L’art. 35 bis dello stesso decreto, nel testo vigente al momento del deposito del ricorso ed introdotto dal D.L. n. 13 del 2017, convertito con modificazioni dalla L. n. 46 del 2017, stabilisce che le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti previsti dall’art. 35 sono regolate dalle disposizioni di cui agli artt. 737 c.p.c. e segg. e sono decise dal tribunale in composizione collegiale (del citato art. 3, comma 4 bis, introdotto dalla Legge di Conversione n. 46 del 2017), ove non diversamente disposto.

Lo stesso D.L. n. 13 del 2017, art. 3, comma 1, individua le materie attribuite alla competenza delle sezioni specializzate, indicando sub lettera c) “le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35” e sub lett. d) “le controversie in materia di riconoscimento della protezione umanitaria nei casi di cui al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3”.

7.3 Ciò posto va in via preliminare affermato che non sussistono ragioni ostative di natura processuale alla tutela giurisdizionale del diritto al riconoscimento del permesso umanitario, che rientra nel sistema di protezione costituzionale dell’asilo.

Ed invero questa Corte ha più volte affermato da un lato che la situazione giuridica soggettiva sottesa a tale domanda è riconducibile alla categoria dei diritti umani fondamentali garantiti dall’art. 2 Cost. e art. 3 CEDU e dall’altro che con l’attuale sistema pluralistico di misure riconducibili alla protezione internazionale, realizzatosi all’esito del recepimento delle direttive Europee con i decreto legislativi nn. 251/2007 e 25/2008, è stata data completa attuazione al diritto di asilo previsto dall’art. 10 Cost., comma 3 (Cass., 19 aprile 2019, n. 11110; Cass., 4 agosto 2016, n. 16362 del 2016; Cass., Sez. U., 28 febbraio 2017, n. 5059).

7.4 Inoltre, nell’affrontare la questione del rito applicabile alle controversie in materia di protezione umanitaria, considerato che, per evidenza letterale, non vi è coincidenza tra l’ambito delle controversie in materia di riconoscimento della protezione umanitaria e quello delle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, non si può prescindere da una interpretazione delle norme che sia conforme alla finalità perseguita dal legislatore del 2017, che è quella di concentrare tutto il contenzioso in materia di protezione internazionale davanti ad un giudice specializzato.

Con il conseguente corollario che il legislatore, nel riferirsi alle “controversie in materia di riconoscimento della protezione umanitaria nei casi di cui al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3”, ha inteso disciplinare le controversie concernenti il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, richiamato, per l’appunto, dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3.

Ed invero, argomentando diversamente, le controversie in materia di protezione umanitaria non ricomprese nei casi di cui al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, resterebbero affidate alla competenza delle sezioni ordinarie del tribunale, ciò in evidente contrasto con la finalità di concentrazione e specializzazione chiaramente esplicitata dal legislatore.

7.5 Non è superfluo rilevare che tali conclusioni valgono per le controversie introdotte prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito con modificazioni dalla L. n. 132 del 2018, che ha introdotto nel D.Lgs. n. 151 del 2011, art. 19 ter, che ha stabilito che le controversie di cui al D.L. n. 13 del 2017, art. 3, comma 1, lett. d) e d bis), convertito con modificazioni dalla L. n. 46 del 2017, sono regolate dal rito sommario di cognizione da proporsi davanti al tribunale, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, che giudica in composizione collegiale e pronuncia con ordinanza non appellabile, ma ricorribile per cassazione.

7.6 Riguardo alla questione del rito applicabile alle controversie che hanno ad oggetto esclusivamente la domanda di protezione umanitaria, si è già detto che sono soggette al rito camerale speciale solo le controversie di cui all’art. 3, comma 1, lett. c), mentre non si rinviene dell’art. 3, comma 4 bis, alcun richiamo alle controversie di cui alla lett. d) (Legge di Conversione n. 46 del 2017, art. 3, comma 4 bis).

Le controversie in materia di protezione umanitaria non sono richiamate nell’art. 35 bis citato, mentre del D.L. n. 13 del 2017, art. 3, comma 4 e la relativa Legge di Conversione n. 46 del 2017, prevedono la competenza del tribunale in composizione monocratica nelle controversie di cui all’art. 3, salvo quanto previsto del medesimo art. 3, comma 4 bis.

Il rito previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, che si caratterizza per la composizione collegiale della sezione specializzata, la procedura camerale ai sensi degli artt. 737 c.p.c. e segg. e la non reclamabilità del decreto, avendo un ambito di applicabilità espressamente limitato alle controversie di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 e a quelle relative all’impugnazione dei provvedimenti adottati dall’Unità Dublino, non può estendersi alle controversie aventi ad oggetto soltanto la domanda di protezione umanitaria, tenuto in debito rilievo l’attribuzione di competenza al giudice specializzato in composizione monocratica per le altre fattispecie prevista dall’art. 3, comma 4, richiamato.

7.7 Se tale è il tenore letterale delle norme di riferimento, il rito applicabile alle controversie in materia di protezione umanitaria deve essere individuato secondo le regole generali, sicchè il rito applicabile è quello ordinario di cui agli artt. 281 bis c.p.c. e segg., o, a scelta del ricorrente e ricorrendone i presupposti, il procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702 bis c.p.c. e segg..

7.8 Il ricorrente è titolare, quindi, della scelta libera, autonoma e consapevole di natura processuale concernente la selezione delle domande da proporre e, conseguentemente, del rito che ne consegue anche per ciò che concerne i rimedi impugnatori esperibili.

Detta ricostruzione ermeneutica, peraltro già affermata da questa Corte (Cass.,13 febbraio 2000, n. 3668; Cass., 19 giugno 2019, n. 16458 e 16459), oltre che rispettosa della lettera delle norme, risulta coerente sotto il profilo sistematico, dato che l’esplicita volontà legislativa di attribuire, nelle controversie di cui trattasi, la competenza all’organo giudicante in composizione monocratica è bilanciata dal mantenimento del doppio grado di merito, poichè sia la sentenza che definisce il procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, sia l’ordinanza che conclude il procedimento sommario di cognizione sono impugnabili davanti la Corte di appello.

Come affermato da questa Corte “L’accennata formulazione normativa ha così creato una distinzione tra le azioni volte al riconoscimento della protezione internazionale (finalizzate al riconoscimento dello status di rifugiato ovvero della protezione sussidiaria) e le azioni volte al riconoscimento della (sola) protezione umanitaria; il legislatore, pur avendo attribuito per tutte tali controversie la competenza alle sezioni specializzate, ha tuttavia scelto riti diversi, ossia per il giudizio di protezione internazionale, uno speciale rito camerale, e per il giudizio relativo alla protezione umanitaria, il rito ordinario dinanzi al Tribunale in composizione monocratica” (Cass., 5 aprile 2019, n. 9658).

7.9 Diversamente va affermato con riguardo alle ipotesi in cui il ricorso venga proposto con più domande, dirette ad ottenere in via principale lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria ed in via subordinata la protezione umanitaria.

In queste ipotesi, infatti, si applica per tutte le domande il rito camerale di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, davanti alla sezione specializzata del tribunale in composizione collegiale, in ragione della connessione esistente tra dette domande e della prevalenza della composizione collegiale del tribunale in forza del disposto dell’art. 281 nonies c.p.c., tenuto altresì conto del carattere unitario dell’accertamento dei presupposti dei vari tipi di tutela, dell’esigenza di evitare contrasto di giudicati e del principio della ragionevole durata del processo.

Questa Corte ha precisato che tale conclusione è corroborata dai seguenti principi: “in primo luogo, il carattere unitario dell’accertamento dei presupposti dei vari tipi di tutela, che normalmente richiede l’indagine officiosa circa le medesime realtà socio-politiche del Paese di origine; in secondo luogo, la fondamentale esigenza di evitare contrasto di giudicati, in considerazione del rapporto di sussidiarietà e conseguente relativa residualità reciproca che connota le tre forme graduate di protezione, che attuano ed esauriscono nel nostro ordinamento il diritto di asilo costituzionale ex art. 10 Cost., comma 3; in terzo luogo, il principio della ragionevole durata del processo, che impone una soluzione interpretativa che eviti le duplicazione di accertamenti processuali e i ritardi connessi alle inevitabili relazioni di pregiudizialità tra i processi celebrati separatamente” (Cass., 5 aprile 2019, n. 9658, citata).

7.10 Questa Corte, inoltre, con riferimento alle conseguenze della violazione della regola di composizione, ha affermato, in un’ipotesi in cui la decisione era stata assunta dal giudice monocratico, anzichè collegiale, che “In tema di protezione internazionale, dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 13 del 2017, conv. con modif. dalla L. n. 46 del 2017, che ha devoluto le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti previsti dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, alle sezioni specializzate in materia di immigrazione del tribunale, l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale, costituisce, alla stregua del rinvio operato dall’art. 50 quater c.p.c., al successivo art. 161, comma 1, un’autonoma causa di nullità della sola decisione, con la sua conseguente convertibilità in motivo di impugnazione e rinvio alla sezione specializzata del Tribunale in composizione collegiale” (Cass., 3 marzo 2020, n. 5858).

Ed ancora, è stato evidenziato, in una fattispecie in materia di protezione internazionale erroneamente trattata dal tribunale in composizione collegiale, nelle forme del rito speciale camerale previsto per la protezione internazionale, anzichè con quello ordinario, in composizione monocratica, come nel caso in esame, che “l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale costituisce, per effetto del rinvio operato dall’art. 50 quater c.p.c., al successivo art. 161 c.p.c., comma 1, un’autonoma causa di nullità della decisione, che si converte in motivo di impugnazione, con la conseguenza che rimane ferma la validità degli atti che hanno preceduto la pronuncia della sentenza nulla e resta esclusa la rimessione degli atti al primo giudice, ove quello dell’impugnazione sia anche giudice del merito; quando peraltro il procedimento applicato dal giudice di merito abbia di fatto privato il ricorrente di un grado di giudizio, impedendogli la deduzione del vizio di composizione del giudice quale motivo di impugnazione davanti ad altro giudice di merito, l’accoglimento del ricorso per cassazione deve comportare la remissione della causa al primo giudice per un nuovo esame della domanda” (Cass., 26 febbraio 2020, n. 5232).

8. In conclusione, la violazione delle norme processuali denunciata con il primo motivo di ricorso deve ravvisarsi sussistente e il Tribunale del rinvio dovrà fare applicazione dei principi di diritto che si vengono ad enunciare:

“Il rito applicabile alle controversie che hanno ad oggetto esclusivamente la domanda di protezione umanitaria, presentate dopo l’entrata in vigore del decreto L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito con modificazioni dalla L. 18 aprile 2017, n. 46 e prima dell’entrata in vigore del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132, è quello ordinario di cui agli artt. 281 bis c.p.c. e segg. o, a scelta del ricorrente e ricorrendone i presupposti, il procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702 bis c.p.c. e segg.”;

“L’inosservanza delle disposizioni sulla composizione dell’organo che abbia privato il ricorrente di un grado di giudizio di merito, impedendogli la deduzione del vizio di composizione del giudice quale motivo di impugnazione davanti ad altro giudice di merito, determina la rimessione della causa al primo giudice per un nuovo esame della domanda”.

Ne consegue l’accoglimento del primo motivo, assorbiti gli altri, con la cassazione del decreto impugnato e rinvio, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio, al Tribunale di Bari, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, in composizione monocratica.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Bari, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, in composizione monocratica, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2020

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