Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26359 del 20/12/2016

Cassazione civile, sez. II, 20/12/2016, (ud. 04/05/2016, dep.20/12/2016),  n. 26359

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2711/2012 proposto da:

VIVAIO IACOPINELLI DI M.G. E C. SS, (OMISSIS), IN

PERSONA DEL SUO LEGALE RAPP.TE P.T., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA TUSCOLANA 1178, presso lo studio dell’avvocato NELIDE

CACI, rappresentato e difeso dall’avvocato GRILLO NICOLO’;

– ricorrente –

contro

DITTA I.S., P.I. (OMISSIS) IN PERSONA DEL SUO LEGALE

RAPP.TE P.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUCREZIO CARO

63, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA GIOVANNETTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO SCOPELLITI;

C.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE ANGELICO 78, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

IELO, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCELLA PERITORE;

– controricorrenti –

e contro

AGRIDEA SRL, IN PERSONA DEL SUO LEGALE RAPP.TE P.T.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1641/2010 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 25/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2016 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato Marino Angelo con delega depositata in udienza

dell’Avv. Nicolò Grillo difensore del ricorrente che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso ed il rigetto del controricorso;

udito l’Avv. Ielo Antonio con delega depositata in udienza dell’Avv.

Marcella Peritore difensore di C.G. e l’Avv. Fabio

Cacciatore con delega depositata in udienza dell’Avv. Francesco

Scopelliti difensore della Ditta I.S., i quali hanno

chiesto per i propri assistiti il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine, il rigetto del ricorso.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

1) C.G. nel novembre 2002, espletato un accertamento tecnico preventivo, ha agito contro il vivaio Iacopinelli di M.C. per la condanna dell’azienda vivaistica venditrice al rimborso del prezzo pagato per la fornitura (circa 3.500 Euro) ed al risarcimento del danno patito, richiesto in 60.000 Euro.

Il vivaio Iacopinelli ha resistito. Autorizzato, ha chiamato in causa il proprio fornitore I.S., che a sua volta ha evocato in giudizio la srl Agridea fornitrice dei semi, la quale, costituitasi, ha eccepito la decadenza dell’azione di garanzia.

Il Tribunale di Agrigento ha rigettato le domande attoree sia per mancanza di prova sull’origine delle piantine e sull’adeguatezza delle coltivazioni che per esservi verificata la decadenza nella denuncia dei vizi.

Con sentenza 25 novembre 2010 l’appello dell’attrice, previa istruzione della causa con consulenza tecnica e prove testimoniali, è stato accolto quanto alla domanda risarcitoria, dalla Corte di appello di Palermo.

La venditrice è stata condannata al pagamento della somma di Euro 18.134,34 quale lucro cessante, detratto il ricavato della vendita a terzi da parte del C..

Sono state rigettate le domande di garanzia nei confronti di I. e di questi verso Agridea, perchè vivaio Iacopinelli non ha dato prova di aver ordinato un tipo di piantime di melone diverso da quello fornito, cioè di aver subito il medesimo inadempimento che la cooperativa gli ha rimproverato con successo.

Il vivaio Iacopinelli di M.G. & C. ss (già di M.C. & C.) ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 3 gennaio 2012.

C.G. e la “ditta I.S.” hanno resistito con separati controricorsi.

Agridea srl è rimasta intimata.

L’originario attore ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2) Infondate sono tutte le eccezioni preliminari svolte dal C.. Basti osservare: che il deposito ex art. 369 c.c., risulta eseguito entro venti giorni dalla di effettuazione della notifica (9.01.2012);

che la identità della ricorrente, messa in dubbio a causa dell’indicazione mutata della denominazione, è confermata dal riscontro della partita IVA indicata nella sentenza impugnata e nell’epigrafe del ricorso, rimasta uguale;

che la notifica del ricorso è stata correttamente effettuata al procuratore domiciliatario nel limite del termine lungo, che deve essere incrementato del tempo di sospensione feriale (SU 23299/11);

che la procura apposta a margine del ricorso va sempre considerata speciale, ancorchè non contenga l’indicazione della sentenza impugnata (Cass. 1205/15; 18468/14).

3) Con il primo motivo di ricorso, il vivaio denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1418, 1420, 1453, 1490 e 1491 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver la corte preso in considerazione quanto l’attore dell’attrice aveva dichiarato al consulente, in sede di a.t.p., di aver ordinato piantine di melone della varietà “Zubbia” (anzichè “Geagold, Fiola o Kronos”), con la conseguenza che era applicabile l’art. 1491 c.c.;

La censura, che consiste in una denuncia di vizio di motivazione, poichè contesta la ricostruzione dei fatti di causa, è infondata, atteso che la Corte di appello la Corte a pag. 18 ha specificamente motivato in ordine all’ordinativo effettuato, che si riferiva esclusivamente a meloni di tipo Derby, come riferito dai testi escussi, uno dei quali in particolare aveva accompagnato l’attore al vivaio per richiedere i meloni cantalupo Derby.

E’ incensurabile in questa sede l’apprezzamento di fatto del giudice di merito, che ha in tal modo dato prevalenza alla prova direttamente e specificamente acquisita, rispetto all’argomento di prova che sarebbe stato desumibile dalle interpretazioni date dal consulente alle dichiarazioni rese dalla parte in sede di iniziale atp, con ogni evidenza senza alcun contenuto confessorio.

Parte ricorrente sostiene che la Corte di appello avrebbe erroneamente escluso l’applicabilità dell’art. 1491, benchè fosse emerso che l’attore conoscesse la varietà Zubbia e l’avesse ordinata consapevolmente.

La censura è infondata, perchè la Corte di appello ha ampiamente motivato in ordine alla circostanza che l’attore aveva ordinato meloni di qualità Derby ; che il vivio ben conosceva che la varietà Zubbia F1 era inferiore alla Drrby per ogni aspetto; che non era stato provato che l’attore conoscesse la differenza tra i due tipi e sapesse distinguere il cantalupo Derby da quello Zubbia, non commestibile e non commerciabile.

Anche il secondo profilo del primo motivo è manifestamente infondato.

Parte ricorrente sostiene che la Corte di appello, avendo dato fede al parere del ctu, secondo il quale la varietà dei meloni Zubbia non è considerata commestibile – commerciabile, avrebbe dovuto rilevare la nullità del contratto ex art. 1421 c.c., con ogni conseguenza anche a carico dei fornitori della ditta convenuta, chiamati in causa.

La censura è infondata, perchè da nessuna risultanza che sia stata trascurata o malvalutata emerge che la vendita della specie di piantine “zubbia” fosse vietata da norme imperative, circostanza che avrebbe potuto configurare la nullità contrattuale.

Le caratteristiche vili delle piantine del tipo in contestazione sono state riferite in sentenza e considerate ineccepibilmente quale prova della vendita di aliud pro alio, cioè di un prodotto del tutto privo delle caratteristiche richieste.

Il ricorso allude alla scarsa commestibilità e conseguente incommerciabilità del frutto, per mancanza di richiesta sul mercato, che sono caratteri che dimostrano la configurabilità dell’istituto giuridico sulla scorta del quale è stata riconosciuta la responsabilità risarcitoria del venditore, poichè evidenziano la totale inidoneità della cosa all’uso pattuito.

4) Il secondo motivo denuncia motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria circa un punto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Nei vari profili di doglianza, che involgono tutti una inammissibile richiesta di rivisitazione del merito della causa, parte ricorrente nega che sia stata raggiunta la prova che siano stati proprio i prodotti venduti dal vivaio a produrre il danno.

A tal fine analizza le prove testimoniali e i documenti di consegna, ma la sua critica alla sentenza si risolve nel proporre un diverso apprezzamento dei fatti. Su consegna e piantumazione la motivazione dei giudici di appello (cfr. pag. 1718) sono articolate, ricche di riscontri testimoniali e logicamente verificate con quanto già si è detto sub 3 circa la consapevolezza dell’acquirente e quanto osservato dalla Corte sull’assurdità dell’avvento trasporto e piantumazione seguite dalla produzione e vendita del prodotto cattivo: per escludere la continuità della filiera cui sarebbe stato da immaginare un’estirpazione precoce, contrastata dagli esiti della rivendita.

4.1) Anche in ordine alle cause della marcescenza, il ricorso si affida a una richiesta di nuova valutazione di merito.

Ciò vale ad esempio per la considerazione di quanto riferito dal consulente M., che, secondo il ricorso, non sarebbe riuscito a individuare il nesso causale esclusivo. Alcune frasi della relazione che vengono riportate mettono però in evidenza che il ctu avrebbe indicato due fattori causali, uno dei quali è proprio quello ritenuto determinante dalla Corte, cioè la mancanza di una scheda varietale dovuta alla non iscrizione della cultivar “Zubbia Fl”.

Se si considera che la mancanza della scheda inevitabilmente incide sulla proficua coltivabilità di una pianta, appare chiaro come la censura si muova nell’ambito del rimprovero ad un apprezzamento di merito, che è invece logico e congruo e dunque insindacabile da parte del giudice di legittimità.

Non diverso ragionamento si deve fare quanto ai rilievi circa la imputabilità all’attore di cattive tecniche di coltivazione e l’uso del “fruitone” escluso dalla Corte di appello sulla scorte di testimonianze ritualmente acquisite. L’apprezzamento non può essere decisivamente superato da presunte ammissioni rese in sede di atp, non riscontrate con efficacia di prova piena e prive di intento confessorio.

Altrettanto inammissibili sono le critiche portate alla stima del danno effettuata dalla Corte, la quale ha spiegato esaurientemente perchè abbia preso a riferimento il presunto valore del prodotto se fosse stato di buona qualità e ha negato la detrazione che viene ora riproposta., relativa a una seconda vendita (oltre quella di 6.100 Euro a O., regolarmente fatturata), priva di riscontro documentale.

Parte ricorrente lamenta genericamente – non senza oscurità – che non siano state valorizzate altre fatture che sarebbero state “scoperte, prodotte ed ammesse solo in sede di appello” e si duole del fatto che il ctu non abbia indagato sulle scritture contabili dell’attore appellante.

La censura non ha pregio, poichè si sostanzia in una richiesta di riesame e in una doglianza relativa a una consulenza che avrebbe dovuto essere dichiaratamente esplorativa e quindi non consentita.

Il tutto a fronte di una puntuale ed equanime ricostruzione, effettuata in sentenza, di tutti gli addebiti attribuibili al convenuto, ma anche delle poste da imputare a scomputo del dovuto.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione ai controricorrenti delle spese di lite liquidate in Euro 3.000 per compenso, Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge in favore di ciascuno dei resistenti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 4 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2016

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