Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26359 del 17/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 17/10/2019, (ud. 19/02/2019, dep. 17/10/2019), n.26359

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fab – rel.Est.Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24692/2013 proposto da:

CENTRO ASSISTENZA DOGANALE CAD LA SPEZIA s.r.l., in liquidazione, (p.

IVA: (OMISSIS)) con sede in (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.

Filippo Bruno e Anselmo Carlevaro, con domicilio eletto presso

l’Avv. Anselmo Carlevaro, con studio in Roma, in via Gian Giacomo

Porro n. 8;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12,

domicilia;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE DOGANE, Ufficio di (OMISSIS), in persona del Direttore

pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria n. 92/13/2012, pronunciata il 27 marzo 2012 e depositata il

19 settembre 2012;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio

2019 dal Consigliere Fabio Antezza.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. CENTRO ASSISTENZA DOGANALE CAD LA SPEZIA s.r.l., ora in liquidazione (di seguito anche: “CAD LA SPEZIA”) ricorre, con dieci motivi, per la cassazione della sentenza (indicata in epigrafe) di rigetto dell’appello proposto dallo stesso contribuente avverso plurime sentenze emessa dalla CTP di La Spezia. Quest’ultima, a sua volta, aveva rigettato le impugnazioni proposte dal citato rappresentante indiretto dell’importatore avverso avvisi di rettifica di accertamenti definitivi.

2. Per quanto emerge dalla sentenza impugnata e dagli atti di parte, furono presentate in dogana da CAD LA SPEZIA, quale rappresentante indiretto dell’importatore, dichiarazioni per l’importazione di “borse e borsette” provenienti dalla Cina. In ragione di “fondati dubbi” circa la corrispondenza del valore dichiarato all’importo totale pagato o da corrispondere ai sensi dell’art. 29 Codice Doganale Comunitario, (Reg. CEE 12 ottobre 1992 del Consiglio, n. 2913 del 1992, di seguito anche: “C.D.C.”), derivanti anche dalla ritenuta falsità della documentazione prodotta, l’A.D. attivò la procedura di cui al Reg. (CEE) della Commissione, n. 2454 del 1993, art. 181 bis, (di seguito, anche: “D.A.C.”) per la determinazione del detto valore. All’esito del “controllo a posteriori”, ex art. 78 C.D.C., e del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, l’Amministrazione emise avvisi di rettifica dei relativi accertamenti definitivi.

3. Le autonome impugnazioni degli atti impositivi furono rigettate dalla CTP con decisioni confermate dalla CTR (all’esito di simultaneus processus) con la sentenza oggetto di attuale ricorso per cassazione.

4. Contro la sentenza d’appello il contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a dieci motivi, e la sola Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (anche: “A.D.”) si difende con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso non merita accoglimento.

2. I motivi nn. 5, 8, 9 e 10 sono da trattarsi preliminarmente e congiuntamente in quanto tutti inerenti la motivazione dell’intera sentenza impugnata.

2.1. Con il motivo n. 5 del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si deduce l’omesso esame del metodo di calcolo del valore doganale.

Con il motivo n. 8 del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce, la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione su tutti i motivi d’appello (anche in relazione alla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, (si vada pag. 70).

Con il motivo n. 9 del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce “l’illegittimità della sentenza” per assenza della “succinta esposizione dei motivi in fatto e in diritto”.

Con il motivo n. 10 del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la “nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione…. Violazione degli artt. 30 e 31 C.D.C.”.

2.2. I motivi in esame sono infondati oltre che, taluni, inammissibili per alcuni profili.

Trova in particolare applicazione il costante orientamento di questa Corte in ordine alle condizioni di legittimità della sentenza d’appello motivata per relationem oltre che in merito alla nullità della sentenza per motivazione meramente apparente, dal quale non vi è motivo per discostarsi.

In tema di processo tributario, difatti, è nulla, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la Commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare per relationem alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa. Ciò in quanto, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame (ex plurimis Cass. sez. 6-5, 18/04/2017, n. 9745, Rv. 643800-01; si vedano anche, in senso sostanzialmente conforme, Cass. sez. 5, 23/10/2003, n. 15951, Rv. 567632-01, Cass. sez. 5, 22/09/2003, n. 13990, Rv. 567045-01, e Cass. sez. 5, 12/02/2001, n. 1955, Rv. 543786-01, nonchè, in termini generali circa la nullità della sentenza per la mancata esposizione dello svolgimento del processo, Cass. sez. 4, 19/03/2009, n. 6683, Rv. 608052-01).

La sentenza d’appello, pertanto, può essere motivata per relationem, purchè il Giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicchè, dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente. Per converso, va cassata la decisione con la quale il Giudice d’appello si sia limitato ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. sez. 4, 05/11/2018, n. 28139, Rv. 651516-01; si vedano, altresì, per le condizioni di legittimità della motivazione per relationem alla sentenza di primo grado, tra le tante: Cass. sez. 5, 05/10/2018, n. 24452, Rv. 650527-01; Cass. sez. 6-5, 21/09/2017, n. 22022, Rv., 645333-01; Cass. sez. 6-5, 26/06/2017, n. 15884, Rv. 644726-01; Cass. sez. 1, 19/07/2016, n. 14786, Rv. 640759-01).

Nella fattispecie, il principio di cui innanzi è stato rispettato dalla CTR che ha esposto lo svolgimento del processo (anche in primo grado) oltre che le questioni in fatto ed in diritto in maniera concisa e succinta ma tale da rendere possibile l’individuazione del thema decidendum, con particolare riferimento non solo all’oggetto dell’impugnazione in primo grado ma anche in merito alla doglianza fondante l’appello, dalla stessa Commissione ritenuta inconferente. Il riferimento è in particolare alla responsabilità del rappresentante indiretto oltre che alla determinazione dei criteri di calcolo del valore delle merce, ex art. 29 C.D.C. e ss., in funzione dell’applicazione della procedura prevista dall’art. 181 D.A.C.. In merito difatti, mostrando di fare proprie le argomentazioni di primo grado, la CTR, oltre a ritenere soggetto passivo dell’obbligazione doganale il rappresentante indiretto dell’importatore, ha anche posto a fondamento della propria decisione le dichiarazioni doganali effettuate dallo stesso contribuente con riferimento a merci dello stesso tipo.

Risultano pertanto nella specie richiamati (nella parte in fatto ed in quella fondamentale dedicata alla motivazione) i tratti essenziali della lite ed individuati gli elementi di fatto ed in diritto considerati o presupposti nella decisione e costituenti il fondamento della stessa, tanto da escludere anche l’ipotesi di mera apparenza motivazionale adombrata dal ricorrente (per la motivazione meramente apparente si vedano, ex plurimis, che sembra paventare il motivo di ricorso (Cass. Sez. U., 03/11/2016, n. 22232, Rv. 641526-01; Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053, Rv. 629830-01, e n. 8054, ancorchè inerenti fattispecie ricadenti nella nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 86, art. 54, conv., con modif., dalla L. 7 agosto 2012, n. 234).

A quanto innanzi deve aggiungersi che il motivo n. 5 è comunque inammissibile in quanto formulato esplicitamente con riferimento non ad un fatto storico bensì all’omesso esame del metodo di calcolo del valore doganale delle merci, di cui all’art. 29 C.D.C. e ss., peraltro insussistente in ragione delle precedenti argomentazioni in merito al rilievo dato dalla CTR anche alle ulteriori dichiarazioni doganali del contribuente (per il riferimento al “fatto storico”, nella nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, ex plurimis, Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053, Rv. 629831-01, e successive conformi tra le quali, tra le più recenti, anche Cass. sez. 2, 29/10/2018, n. 27415, Rv. 651020-01).

Con il motivo n. 10, si prospetta altresì una “nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione” facendolo però derivar da una “violazione degli artt. 30 e 31 C.D.C.”.

Ne deriva l’inammissibilità di esso in ragione della sostanziale prospettazione di violazione di legge (art. 30 e 31 CDC), sotto forma di vizio motivazionale ex art. 360 c.c., comma 1, n. 5. In particolare, sotto le spoglie dell’assunto vizio motivazionale, si deduce un vizio di violazione di legge che, quindi, nella sostanza non risponde all’archetipo della censura denunciata, non avendo rilevanza un’insufficiente motivazione in diritto (per l’inammissibilità del motivo non rispondente, nella sostanza, all’archetipo della censura denunciata, ex plurimis, tra le più recenti, Cass. sez. 2, 07/05/2018, n. 10862, Rv. 648018-01).

Ne consegue quindi una censura di violazione di legge ma non costituita dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione sarebbe erronea, non traducendosi in una critica della decisione impugnata, con conseguente sua inidoneità al raggiungimento dello scopo, così risolvendosi in un “non motivo” inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 4, (per l’inammissibilità del motivo non rispondente, nella sostanza, all’archetipo della censura denunciata, ex plurimis, tra le più recenti: Cass. sez. 1, 24/09/2018, n. 22478, Rv. 650919-01; Cass. sez. 2, 07/05/2018, n. 10862, Rv. 648018-01, nonchè la precedente Cass. sez. 3, 31/08/2015, n. 636872-01, già, sul punto, conforme ad altre).

3. I motivi nn. 1, 2, 3 e 4 sono da trattarsi congiuntamente in ragione della connessione dei relativi oggetti.

3.1. Con il motivo n. 1 di ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce la “violazione dell’art. 112 c.p.c., (corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato)…. Omessa pronuncia in ordine alla nullità insanabile dei provvedimenti impugnati per violazione degli artt. 29, 30 e 31 C.D.C. nonchè art. 150 D.A.C.”.

Con il motivo n. 2 del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce la “violazione dell’art. 112 c.p.c., (corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato)…. Omessa pronuncia in ordine alla nullità insanabile dei provvedimenti impugnati per violazione dell’art. 181 bis 147 e art. 178 D.A.C.”.

Con il motivo n. 3 del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce la “violazione dell’art. 112 c.p.c., (corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato)…. Omessa pronuncia in ordine alla nullità insanabile dei provvedimenti impugnati per violazione dell’art. 30 C.D.C., lett. b), a causa dell’illegittimità della banca dati (OMISSIS) come metodo di rideterminazione del valore doganale e dell’uso improprio della stessa operato da parte dell’Amministrazione”.

Con il motivo n. 4 del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce la “violazione dell’art. 112 c.p.c., (corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato)…. Omessa pronuncia in ordine all’applicabilità degli artt. 220 e 239 C.D.C.”.

3.2. I motivi in oggetto sono inammissibili (anche) in applicazione di consolidato principio sancito da questa Corte e dal quale non vi è motivo di discostarsi.

La deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte è anche Giudice del fatto (processuale), potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo. Esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, dunque, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (ex plurimis: Cass. sez. 3, 13/03/2018, n. 6014, Rv. 648411-01; Cass. sez. 5, 20/07/2012, n. 12664, Rv. 623401-01; Cass. sez. 2, 16/02/2018, n. 647804-01).

Sicchè, ove si deduca un’omessa pronuncia, ai fini del preliminare esame di ammissibilità del motivo, il ricorrente ha l’onere di riprodurre gli atti del giudizio di merito nei loro passaggi essenziali alla decisione, cioè nella misura necessaria ad evidenziare l’effettiva domanda (o eccezione) proposta, oltre che di precisare l’esatta collocazione degli stessi nel fascicolo d’ufficio, al fine di renderne possibile l’esame nel giudizio di legittimità, non potendo limitarsi ad un rinvio ad essi.

Nella specie il ricorrente non ha assolto all’onere di cui innanzi, non riproducendo l’atto d’appello in misura tale da evidenziare perlomeno gli effettivi motivi di gravame proposti.

A quanto innanzi si aggiungono ulteriori profili d’inammissibilità specifici in merito a ciascuno dei motivi in considerazione.

Con il motivo n. 1 si deduce una violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 460 c.p.c., comma 1, n. 4, ma non prospettando la nullità della sentenza ed anzi, addirittura, prospettando (a pag. 42) una confusione da parte della CTR oltre che un “gravissimo errore interpretativo”.

Con il motivo n. 2 si deduce violazione del 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ma non prospettando la nullità della sentenza ed anzi, addirittura, sindacando (a pag. 44) la circostanza per la quale la CTR avrebbe conferito valore probatorio esclusivamente alle successive importazioni svolte dallo stesso importatore, omettendo ogni rilievo circa la mancata motivazione degli avvisi. Il motivo, quindi, nella sostanza, più che prospettare una omessa pronuncia, intende sostituire la propria valutazione degli elementi probatori a quella del Giudice di merito.

Con il motivo n. 3 si deduce una violazione del 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ma non prospettando la nullità della sentenza ed anzi, addirittura, sindacando la circostanza per la quale la CTR avrebbe “accertato esclusivamente la rilevanza delle asserite prove a sostegno dell’inattendibilità del valore doganale dichiarato, senza analizzare il metodo di ricalcolo utilizzato dall’Ufficio, vero oggetto della contestazione d’appello” (si veda anche il punto di sintesi di cui a pag. 51 del ricorso). Il motivo nella sostanza, quindi, non prospetta una omessa pronuncia ma sostituisce la propria valutazione degli elementi probatori a quella del Giudice di merito, peraltro tramite un difetto motivazionale comunque non in linea con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ratione temporis applicabile.

Con il motivo n. 4, infine, si deduce violazione del 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non prospettando la nullità della sentenza ed anzi, addirittura, sostenendo un errato non riconoscimento da parte della CTR dell’affidamento del contribuente nella correttezza dell’operazione doganale (si veda anche il punto di sintesi di cui a pag. 51 del ricorso). Il motivo nella sostanza, quindi, non prospetta una omessa pronuncia ma sostituisce la propria valutazione degli elementi probatori a quella del Giudice di merito, peraltro tramite un difetto motivazionale comunque non in linea con l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ratione temporis applicabile.

4. Con il motivo n. 6 del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce, la violazione degli artt. 29 e 30 C.D.C., lett. b), e art. 151 D.A.C., (riferimento da intendersi al regolamento CEE n. 2454/1993 della Commissione), “con riguardo alla coincidenza del metodo del “valore di merci simili” con il valore sostituito estratto dal database (OMISSIS)” in dotazione all’A.D..

4.1. Il motivo è inammissibile.

Esso difetta di specificità (in termini di autosufficienza), in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, per mancata trasposizione nel ricorso dell’avviso di rettifica impugnato nella sua parte essenziale, nella specie relativa alla rideterminazione del valore delle merci, in modo da poter apprezzare la doglianza prospettata (per l’inammissibilità dovuta a difetto di specificità del motivo di ricorso, in termini di autosufficienza, per mancata riproduzione del documento, si vedano, ex plurimis: Cass. sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679, Rv. 645334-01; Cass. sez. 5, 12/04/2017, n. 9499, Rv. 643920-01, in motivazione; Cass. sez. 5, 15/07/2015, n. 14784, Rv. 636120-01; Cass. sez. 3, 09/04/2013, n. 8569, Rv. 625839-01, oltre che Cass. sez. 3, 03/07/2009, n. 15628, Rv. 609583-01).

5. Con il motivo n. 7 del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce, la violazione e falsa applicazione degli artt. 201 e 202 C.D.C.

In sostanza, la CTR avrebbe errato nel ritenere CAD LA SPEZIA, in qualità di rappresentante indiretto dell’importatore, obbligato ex art. 201 C.D.C., per i maggiori dazi dovuti in ragione del diverso e maggiore valore della merce riscontrato all’esito di “controllo a posteriori”.

Per il ricorrente, in particolare, il rappresentante indiretto potrebbe essere chiamato a rispondere “limitatamente alle somme daziarie dichiarate e liquidate in dogana al passaggio delle merci” (si veda il momento di sintesi di pag. 65) e non per quelle maggiori contestate all’esito di un accertamento a posteriori e fondanti su un valore delle merci superiore a quello dichiarato.

Sotto il versante della falsa applicazione di norme di diritto, poi, il ricorrente (pag. 66 e ss.) ritiene altresì che “nel caso di revisione a posteriori, conseguente a irregolarità riscontrate nella dichiarazione, dovrebbe invece trovare applicazione l’art. 202 C.D.C.”.

5.1. Il motivo è infondato con riferimento ad entrambi i profili.

5.1.1. In merito all’applicabilità nella specie dell’art. 201 C.D.C., in luogo dell’invocato art. 202 cit. codice, rilevano principi di recente sanciti da questa Corte, ai quali si intende dare ulteriore seguito, al pari delle relative argomentazioni fondanti anche sull’interpretazione delle relative norme da parte della Corte giustizia (per tale si vedano, ex plurimis: Corte giust., 17/11/2011, C-454/10, Jestel; Corte giust., 02/04/2009, C-459/07; Corte giust., 23/09/2004, C-414/02, Spedition Ulustrans; Corte giust., 03/03/2005, C-195/03, Papismedov e a.; Corte giust., 15/09/2005, C-140/04, United Antwerp Maritime Agencies e Seaport Terminals, nonchè la più recente Corte giust. 25/01/2017, C-679/15, Ultra-Brag AG, in particolare punti nn. 27 e 28).

Questa Corte ha difatti chiarito che “in tema di nascita dell’obbligazione doganale, la fattispecie di cui all’art. 201 C.D.C., (ratione temporis applicabile) presuppone la presentazione della dichiarazione doganale ed è integrata dall’accettazione di essa con riferimento a merci introdotte effettivamente nel territorio doganale Comunitario, ancorchè con indicazione di un valore inferiore a quello di transazione…”. “Per converso, esulano dalla detta ipotesi, rientrando, rispettivamente, in quelle di cui agli artt. 202 e 203 cit. codice, la fattispecie dell’irregolare introduzione della merce nel territorio doganale, in quanto avvenuta senza dichiarazione perchè in violazione degli artt. dal 38 al 41 e art. 177 C.D.C., secondo trattino, nonchè quella della sottrazione al controllo doganale della merce effettivamente e regolarmente introdotta nel relativo territorio”. Rientrando quindi nella previsione dell’art. 202 C.D.C., il caso di “presentazione in dogana di una dichiarazione avente ad oggetto beni diversi da quelli effettivamente importati, dovendo ritenersi mancante la dichiarazione con riferimento a questi ultimi” (cfr., Cass. sez. 5, 28/02/2019, n. 5908, in motivazione).

In presenza di sottofatturazione conseguente all’introduzione di merci con dichiarazione doganale redatta su dati rivelatisi falsi la quale, come nella specie, per effetto di indicazione di falsi valori di transazione, abbia comportato la mancata riscossione anche solo parziale dei dati dovuti per legge, resta quindi ferma la responsabilità del dichiarante ex art. 201 C.D.C., commi 2 e 3, essendo il fatto generatore dell’obbligazione doganale costituito dalla dichiarazione doganale accettata, non operando invece il diverso art. 202 C.D.C., inerente il solo caso in cui la merce importata non abbia alcuna relazione con quella oggetto della dichiarazione (Cass. sez. 5, 26/02/2019, n. 5560, Rv. 652961-01).

5.1.2. Parimenti infondata è la doglianza relativamente al secondo profilo prospettato con il medesimo motivo n. 5, quello inerente il quantum dell’obbligazione tributaria gravante in capo al rappresentante indiretto (anche ex art. 201 cit.), che il ricorrente vorrebbe limitare “alle somme daziarie dichiarate e liquidate in dogana al passaggio delle merci”, così escludendo quelle ulteriori emergenti dal controllo a posteriori.

Limitando il riferimento ai fini che qui rilevano alla fattispecie di cui all’art. 201 C.D.C., (applicabile, ratione temporis), come detto rilevante nella fattispecie, l’obbligazione doganale (paragrafi 1 e 2) sorge al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana, in seguito all’immissione in libera pratica di una merce soggetta a dazi all’importazione (ovvero al vincolo di tale merce al regime dell’ammissione temporanea con parziale esonero dai dazi all’importazione). Il debitore della detta obbligazione è il dichiarante, quindi il rappresentante indiretto dell’importatore nel caso di presentazione della dichiarazione da parte sua, ex artt. 4, 5 e 201 C.D.C., paragrafo 3, e del Reg. (CEE) del Consiglio, n. 2454 del 1993, art. 199, (recante talune disposizioni d’applicazione del C.D.C., di seguito anche: “D.A.C.”), ed in caso di rappresentanza indiretta è parimenti debitrice la persona per conto della quale è presentata la dichiarazione (art. 201 C.D.C., paragrafo 3).

Sicchè, diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, l’obbligazione tributaria sorge integralmente in capo al rappresentante indiretto, cioè non solo nei limiti del valore dichiarato ma in relazione a quanto correttamente si sarebbe dovuto dichiarare e, quindi, in considerazione dell’intero diverso valore accertato in sede di rettifica dell’accertamento. L’obbligazione difatti sorge in capo al rappresentante indiretto anche con riferimento alla mancata riscossione parziale dei dazi attribuibile all’indicazione, in dichiarazione da lui presentata, di un minore prezzo dei beni il cui reale valore di transazione avrebbe dovuto accertare con l’ausilio della diligenza ragguagliata alla natura dell’attività professionale esercitata (diligenza qualificata ex art. 1176 c.c.), che implica un obbligo di informazione ma anche di attenta verifica dell’esattezza dei dati dichiarati, strumentali rispetto al corretto espletamento dell’incarico conferito (per il riferimento alla diligenza si vedano: Cass. sez. 5, 28/02/2019, n. 5908, in motivazione; quanto al riferimento ad un “operatore diligente ed accorto”, ancorchè in ordine alla fattispecie di cui all’art. 202 C.D.C., Corte giust., 17/11/2011, C-454/10, Jestel, punto n. 22, come anche chiarito, con riferimento all’art. 201 C.D.C., da Cass. sez. 5, 18/01/2018, n. 1142, in motivazione).

Ne consegue l’accoglimento anche dell’evidenziato profilo del motivo di ricorso in esame in forza del seguente principio di diritto, enunciato ex art. 384 c.p.c., comma 1.

“In materia doganale, ex artt. 4, 5 e 201 C.D.C., e art. 199 D.A.C., ratione temporis applicabili, l’obbligazione tributaria sorge in capo al rappresentante indiretto, in forza della mancata riscossione dei dazi (dovuti per legge) a seguito di dichiarazione doganale, da lui presentata, non limitatamente al valore dichiarato ma in relazione a quanto correttamente egli avrebbe dovuto dichiarare con l’ausilio della diligenza ragguagliata alla natura dell’attività professionale esercitata (diligenza qualificata ex art. 1176 c.c.), implicante un obblighi di informazione ma anche di attenta verifica dell’esattezza dei dati dichiarati, strumentali rispetto al corretto espletamento dell’incarico conferito”.

9. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, in favore del solo contro ricorrente, che si liquidano, in applicazione dei parametri ratione temporis applicabili, in complessivi Euro 3.500,00, oltre alle spese prenotate a debito. Sussistono altresì i presupposti di cui al D.P.R. n. 30 maggio 2001, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (aggiunto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, (della medesima L. n. 228, ex art. 18, in quanto procedimento civile di impugnazione iniziato dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della citata L. n. 228 del 2012, cioè a decorrere dal 31 gennaio 2013).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese relative al presenta giudizio di legittimità, in favore del solo controricorrente, che si liquidano in complessivi Euro 3.500,00, oltre le spese prenotate a debito, dando atto della sussistenza dei presupposti, di cui al D.P.R. n. 115 del 2001, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norme dal cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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