Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26358 del 17/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 17/10/2019, (ud. 19/02/2019, dep. 17/10/2019), n.26358

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fab – rel.est.Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22978/2013 proposto da:

CENTRO ASSISTENZA DOGANALE CAD LA SPEZIA s.r.l., in liquidazione, (p.

IVA: (OMISSIS)) con sede in (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.

Filippo Bruno e Anselmo Carlevaro, con domicilio eletto presso

l’Avv. Anselmo Carlevaro, con studio in Roma, in via Gian Giacomo

Porro n. 8;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12,

domicilia;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE DOGANE, Ufficio di (OMISSIS), in persona del Direttore

pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Liguria n. 93/01/2011, pronunciata il 13 ottobre 2011 e depositata

il 13 luglio 2012;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio

2019 dal Consigliere Fabio Antezza.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. CENTRO ASSISTENZA DOGANALE CAD LA SPEZIA s.r.l., ora in liquidazione (di seguito anche: “CAD LA SPEZIA”) ricorre, con dieci motivi, per la cassazione della sentenza (indicata in epigrafe) di rigetto dell’appello proposto dallo stesso contribuente avverso la sentenza n. 136/01/2009 emessa dalla CTP di La Spezia. Quest’ultima, a sua volta, aveva rigettato l’impugnazione proposta avverso avviso di rettifica di accertamento definitivo (n. 36911 del 5 settembre 2007).

2. Per quanto emerge dalla sentenza impugnata e dagli atti di parte, fu presentata in dogana da CAD LA SPEZIA, quale rappresentante indiretto dell’importatore, dichiarazione per l’importazione di calzature provenienti dalla Cina. In ragione di “fondati dubbi” circa la corrispondenza del valore dichiarato all’importo totale pagato o da corrispondere ai sensi dell’art. 29 Codice Doganale Comunitario (Reg. CEE 12 ottobre 1992 n. 2913 del 1992 del Consiglio, di seguito anche: “C.D.C.”), derivanti anche dalla ritenuta falsità della documentazione prodotta, l’A.D. attivò la procedura di cui al del regolamento (CEE) della Commissione, n. 2454 del 1993, art. 181 bis, (di seguito, anche: “D.A.C.”) per la determinazione del citato valore. All’esito del detto “controllo a posteriori”, ex art. 78 C.D.C. e del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, l’Amministrazione emise avviso di rettifica del relativo accertamento definitivo (n. (OMISSIS) del 5 settembre 2007).

3. L’impugnazione dell’atto impositivo fu rigettata dalla CTP con decisione confermata dalla CTR, con la sentenza oggetto di attuale ricorso per cassazione.

4. Contro la sentenza d’appello il contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a dieci motivi, e la sola Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (anche: “A.D.”) si difende con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso non merita accoglimento.

2. Con il motivo n. 1 di ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c..

Ci si duole, in particolare, della prospettata omessa pronuncia da parte della CTR in merito al motivo d’impugnazione avente ad oggetto la ritenuta omessa pronuncia da parte della CTP circa la prospettata nullità dell’avviso di rettifica per violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, (c.d. “statuto dei diritti del contribuente”), a causa della mancata indicazione, nel detto atto impositivo, del responsabile del procedimento.

Il ricorrente sembrerebbe prospettare altro profilo di violazione dell’art. 112 c.p.c., in ordine alla “errata interpretazione” da parte della CTP (che il ricorrete avrebbe dedotto in secondo grado) “degli obblighi accessori relativi all’uso della rappresentanza indiretta ex art. 64 C.D.C., e della procedura domiciliata e art. 76 C.D.C.”.

La sentenza di secondo grado, come si legge in particolare nel motivo in esame (pag. 12 ricorso), avrebbe “omesso di statuire compiutamente su entrambe le eccezioni sollevate dal contribuente” e ciò lo si argomenta dalla parte motiva della sentenza impugnata ove si precisa che “… sul primo motivo di appello questa Commissione osserva che la sentenza ha effettivamente statuito sul punto”.

2.1. Il motivo è inammissibile per plurimi profili.

In primo luogo, in forza di consolidato principio sancito da questa Corte, dal quale non vi è motivo di discostarsi, la deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte è anche Giudice del fatto (processuale), potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo. Esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, dunque, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (ex plurimis: Cass. sez. 5, 01/02/2019, n. 3064, in motivazione; Cass. sez. 3, 13/03/2018, n. 6014, Rv. 648411-01; Cass. sez. 5, 20/07/2012, n. 12664, Rv. 623401-01; Cass. sez. 2, 16/02/2018, n. 647804-01).

Sicchè, ove si deduca un’omessa pronuncia, ai fini del preliminare esame di ammissibilità del motivo, il ricorrente ha l’onere di riprodurre gli atti del giudizio di merito nei loro passaggi essenziali alla decisione, cioè nella misura necessaria ad evidenziare l’effettiva domanda (o eccezione) proposta, oltre che di precisare l’esatta collocazione degli stessi nel fascicolo d’ufficio, al fine di renderne possibile l’esame nel giudizio di legittimità, non potendo limitarsi ad un rinvio ad essi.

Nella specie il ricorrente non ha assolto all’onere di cui innanzi, non riproducendo l’atto d’appello nella parte essenziale al fine di evidenziare l’effettivo motivo di gravame proposto, limitandosi ad una mera prospettazione delle paventate omesse pronunce.

Si deduce altresì la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, peraltro senza prospettare la nullità della sentenza, ma al tempo stesso si nega la detta circostanza laddove (pag. 12) si evidenzia che la sentenza di secondo grado avrebbe omesso di statuire “compiutamente” su entrambe le eccezioni sollevate”. Si chiarisce inoltre (pag. 14) che, a fronte delle considerazioni dallo stesso ricorrente effettuate nel motivo di ricorso, “… è palese l’erroneità dell’assunto della decisione impugnata che afferma come il Collegio di primo grado, in merito alla prima eccezione (nullità della sentenza per violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato non avendo i Giudici di primo grado deciso sull’intero contenuto della domanda…) “ha effettivamente statuito sul punto” “.

Questi ultimi profili della doglianza la rendono inammissibile per contraddittorietà intrinseca tra la dedotta omessa pronuncia, la sindacata insufficienza della relativa motivazione e la prospettata sua erroneità.

3. Con il motivo n. 2 del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c..

Ci si lamenta, in particolare, di una omessa pronuncia da parte della CTR in ordine alla ritenuta nullità dell’avviso di rettifica per violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, (c.d. “statuto dei diritti del contribuente”) e del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11. La CTR, in particolare, avrebbe omesso “completamente di esaminare il secondo motivo d’appello relativo alla mancanza di motivazione circa l’inattendibilità del valore dichiarato, nonostante le prove fornite dall’importatore…”. Per il ricorrente, in particolare, “l’omissione di ogni valutazione in merito, vizia la sentenza di nullità”.

3.1. Il motivo in esame è infondato, oltre che inammissibile in quanto non riproducente nella sua parte essenziale il motivo d’appello e prospettante una diversa valutazione dei fatti di causa rispetto a quella del Giudice di merito.

L’infondatezza si argomenta invece dalla circostanza per la quale l’intera prima pagina della parte motiva della sentenza impugnata è (quasi) totalmente dedicata, esplicitamente, alla trattazione proprio del motivo d’appello in oggetto.

4. I motivi nn. 3, 4 e 10, possono trattarsi congiuntamente, in ragione della connessione dei relativi oggetti.

4.1. Con il motivo n. 3 del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce, la violazione degli artt. 29 e 30 C.D.C., e art. 151 D.A.C., (riferimento da intendersi al Reg. CEE della Commissione, n. 2454 del 1993), “con riguardo alla coincidenza del metodo del “valore di merci simili” con il valore sostituito estratto dal database (OMISSIS)” in dotazione all’A.D..

In sostanza ci si duole dell’errata interpretazione della procedura di cui all’art. 181 bis D.A.C., per la determinazione del valore delle merci, in presenza di “fondati dubbi” circa la corrispondenza del valore dichiarato all’importo totale pagato o da corrispondere ai sensi dell’art. 29 C.D.C.. In particolare si critica il, paventato, ricorso al criterio sussidiario di cui all’art. 30 C.D.C., paragrafo 2, lett. b), che fa riferimento al valore di transazione di merci similari vendute L per l’esportazione a destinazione della Comunità ed esportate nello stesso momento o pressappoco nello stesso momento delle merci da valutare.

Per il ricorrente il sistema (denominato (OMISSIS)), che effettua una comparazione tra i valori di transazioni di merci similari, potrebbe essere utilizzato solo per ritenere sussistenti i “fondati dubbi” circa la corrispondenza del valore dichiarato all’importo totale pagato o da corrispondere ai sensi dell’art. 29 C.D.C., legittimante la procedura di cui all’art. 181 bis D.A.C., e non per procedere alla rideterminazione del valore ex art. 30 C.A.D..

Con il motivo n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si deduce “violazione dell’art. 30 C.D.C., lett. b), in relazione all’attendibilità e all’uso legittimo da parte dell’Amministrazione della banca dati (OMISSIS)”.

Con il motivo n. 10 del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la “nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione. Violazione degli artt. 30 e 31 C.D.C.”.

“In sostanza, il motivo in esame rileva che la sentenza erra nell’interpretazione e nell’applicazione dei criteri di rideterminazione del valore doganale, in quanto omette di rilevare che l’applicazione di un “prezzo medio” delle materie prime, componenti i tessuti de quibus, non può condurre a rintracciare il valore “reale” dei prodotti importati”.

4.2. I motivi in esame sono inammissibili.

Tutti difettano di specificità (in termini di autosufficienza), in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, per mancata trasposizione nel ricorso dell’avviso di rettifica impugnato nella sua parte essenziale, nella specie relativa alla rideterminazione del valore delle merci, in modo da poter apprezzare la doglianza prospettata (per l’inammissibilità dovuta a difetto di specificità del motivo di ricorso, in termini di autosufficienza, per mancata riproduzione del documento, si vedano, ex plurimis: Cass. sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679, Rv. 645334-01; Cass. sez. 5, 12/04/2017, n. 9499, R 643920-01, in motivazione; Cass. sez. 5, 15/07/2015, n. 14784, Rv. 636120-01; Cass. sez. 3, 09/04/2013, n. 8569, Rv. 625839-01, oltre che Cass. sez. 3, 03/07/2009, n. 15628, Rv. 609583-01).

I motivi n. 4 e 10 (quest’ultimo anche generico) sono altresì inammissibili in ragione della prospettazione, con essi, di violazione di legge (art. 30 e 31 CDC) sotto forma di vizio motivazionale ex art. 360 c.c., comma 1, n. 5. In particolare, sotto le spoglie dell’assunto vizio motivazionale, si deduce un vizio di violazione di legge che, quindi, nella sostanza non risponde all’archetipo della censura denunciata, non avendo rilevanza un’insufficiente motivazione in diritto (per l’inammissibilità del motivo non rispondente, nella sostanza, all’archetipo della censura denunciata, ex plurimis, tra le più recenti, Cass. sez. 2, 07/05/2018, n. 10862, Rv. 648018-01).

Ne consegue quindi una censura di violazione di legge ma non costituita dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione sarebbe erronea, non traducendosi in una critica della decisione impugnata, con conseguente sua inidoneità al raggiungimento dello scopo, così risolvendosi in un “non motivo” inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 4, (per l’inammissibilità del motivo non rispondente, nella sostanza, all’archetipo della censura denunciata, ex plurimis, tra le più recenti: Cass. sez. 1, 24/09/2018, n. 22478, Rv. 650919-01; Cass. sez. 2, 07/05/2018, n. 10862, Rv. 648018-01, nonchè la precedente Cass. sez. 3, 31/08/2015, n. 636872-01, già, sul punto, conforme ad altre).

5. Con il motivo n. 5 del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce, la violazione e falsa applicazione degli artt. 201 e 202 C.D.C..

In sostanza, la CTR avrebbe errato nel ritenere CAD LA SPEZIA, in qualità di rappresentante indiretto dell’importatore, obbligato ex art. 201 C.D.C. per i maggiori dazi dovuti in ragione del diverso maggiore valore della merce riscontrato all’esito di “controllo a posteriori”.

Per il ricorrente, in particolare, il rappresentante indiretto potrebbe essere chiamato a rispondere “limitatamente alle somme daziarie dichiarate e liquidate in dogana al passaggio delle merci” (si veda il momento di sintesi di pag. 26) e non per quelle maggiori contestate all’esito di un accertamento a posteriori e fondanti su un valore delle merci superiore a quello dichiarato.

Sotto il versante della falsa applicazione di norme di diritto, poi, il ricorrente (pag. 27 e ss.) ritiene altresì che “nel caso di revisione a posteriori, conseguente a irregolarità riscontrate nella dichiarazione, dovrebbe invece trovare applicazione l’art. 202 C.D.C.”.

5.1. Il motivo è infondato con riferimento ad entrambi i profili.

5.1.1. In merito all’applicabilità nella specie dell’art. 201 C.D.C., ratione temporis applicabile, in luogo dell’invocato art. 202 cit. codice, rilevano principi di recente sanciti da questa Corte, ai quali si intende dare ulteriore seguito, al pari delle relative argomentazioni fondanti anche sull’interpretazione delle pertinenti norme da parte della Corte di giustizia (per tale si vedano, ex plurimis: Corte giust., 17/11/2011, C-454/10, Jestel; Corte giust., 02/04/2009, C-459/07; Corte giust., 23/09/2004, C-414/02, Spedition Ulustrans; Corte giust., 03/03/2005, C-195/03, Papismedov e a.; Corte giust., 15/09/2005, C-140/04, United Antwerp Maritime Agencies e Seaport Terminals, nonchè la più recente Corte giust. 25/01/2017, C-679/15, Ultra-Brag AG, in particolare punti nn. 27 e 28).

Questa Corte ha difatti chiarito che “in tema di nascita dell’obbligazione doganale, la fattispecie di cui all’art. 201 C.D.C., (ratione temporis applicabile) presuppone la presentazione della dichiarazione doganale ed è integrata dall’accettazione di essa con riferimento a merci introdotte effettivamente nel territorio doganale Comunitario, ancorchè con indicazione di un valore inferiore a quello di transazione…”. “Per converso, esulano dalla detta ipotesi, rientrando, rispettivamente, in quelle di cui agli artt. 202 e 203 cit. codice, la fattispecie dell’irregolare introduzione della merce nel territorio doganale, in quanto avvenuta senza dichiarazione perchè in violazione degli artt. dal 38 al 41 e art. 177 C.D.C., secondo trattino, nonchè quella della sottrazione al controllo doganale della merce effettivamente e regolarmente introdotta nel relativo territorio”. Rientrando quindi nella previsione dell’art. 202 C.D.C., il caso di “presentazione in dogana di una dichiarazione avente ad oggetto beni diversi da quelli effettivamente importati, dovendo ritenersi mancante la dichiarazione con riferimento a questi ultimi” (cfr., Cass. sez. 5, 28/02/2019, n. 5908, in motivazione).

In presenza di sottofatturazione conseguente all’introduzione di merci con dichiarazione doganale redatta su dati rivelatisi falsi la quale, come nella specie, per effetto di indicazione di falsi valori di transazione, abbia comportato la mancata riscossione anche solo parziale dei dati dovuti per legge, resta quindi ferma la responsabilità del dichiarante ex art. 201 C.D.C., commi 2 e 3, essendo il fatto generatore dell’obbligazione doganale costituito dalla dichiarazione doganale accettata, non operando invece il diverso art. 202 C.D.C., inerente il solo caso in cui la merce importata non abbia alcuna relazione con quella oggetto della dichiarazione (Cass. sez. 5, 26/02/2019, n. 5560, Rv. 652961-01).

5.1.2. Parimenti infondata è la doglianza relativamente al secondo profilo prospettato con il medesimo motivo n. 5, quello inerente il quantum dell’obbligazione tributaria gravante in capo al rappresentante indiretto (anche ex art. 201 cit.), che il ricorrente vorrebbe imitare “alle somme daziarie dichiarate e liquidate in dogana al passaggio delle merci”, così escludendo quelle ulteriori emergenti dal controllo a posteriori.

Limitando il riferimento ai fini che qui rilevano alla fattispecie di cui all’art. 201 C.D.C., (applicabile, ratione temporis), come detto rilevante nella fattispecie, l’obbligazione doganale (paragrafi 1 e 2) sorge al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana, in seguito all’immissione in libera pratica di una merce soggetta a dazi all’importazione (ovvero al vincolo di tale merce al regime dell’ammissione temporanea con parziale esonero dai dazi all’importazione).

Il debitore della detta obbligazione è il dichiarante, quindi il rappresentante indiretto dell’importatore nel caso di presentazione della dichiarazione da parte sua, ex artt. 4, 5 e 201 C.D.C., paragrafo 3, e del Reg. (CEE) del Consiglio, n. 2454 del 1993, art. 199, (recante talune disposizioni d’applicazione del C.D.C., di seguito anche: “D.A.C.”), ed in caso di rappresentanza indiretta è parimenti debitrice la persona per conto della quale è presentata la dichiarazione (art. 201 C.D.C., paragrafo 3).

Sicchè, diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, l’obbligazione tributaria sorge integralmente in capo al rappresentante indiretto, cioè non solo nei limiti del valore dichiarato ma in relazione a quanto correttamente si sarebbe dovuto dichiarare e, quindi, in considerazione dell’intero diverso valore accertato in sede di rettifica dell’accertamento. L’obbligazione difatti sorge in capo al rappresentante indiretto anche con riferimento alla mancata riscossione parziale dei dazi attribuibile all’indicazione, in dichiarazione da lui presentata, di un minore prezzo dei beni il cui reale valore di transazione avrebbe dovuto accertare con l’ausilio della diligenza ragguagliata alla natura dell’attività professionale esercitata (diligenza qualificata ex art. 1176 c.c.), che implica un obbligo di informazione ma anche di attenta verifica dell’esattezza dei dati dichiarati, strumentali rispetto al corretto espletamento; dell’incarico conferito (per il riferimento alla diligenza si vedano: Cass. sez. 5, 28/02/2019, n. 5908, in motivazione; quanto al riferimento ad un “operatore diligente ed accorto”, ancorchè in ordine alla fattispecie di cui all’art. 202 C.D.C., Corte giust., 17/11/2011, C-454/10, Jestel, punto n. 22, come anche chiarito, con riferimento all’art. 201 C.D.C., da Cass. sez. 5, 18/01/2018, n. 1142, in motivazione).

Ne consegue l’accoglimento anche dell’evidenziato profilo del motivo di ricorso in esame in forza del seguente principio di diritto, enunciato ex art. 384 c.p.c., comma 1.

“In materia doganale, ex artt. 4, 5 e 201 C.D.C., e art. 199 D.A.C., ratione temporis applicabili, l’obbligazione tributaria sorge in capo al rappresentante indiretto, in forza della mancata riscossione dei dazi (dovuti per legge) a seguito di dichiarazione doganale, da lui presentata, non limitatamente al valore dichiarato ma in relazione a quanto correttamente egli avrebbe dovuto dichiarare con l’ausilio della diligenza ragguagliata alla natura dell’attività professionale esercitata (diligenza qualificata ex art. 1176 c.c.), implicante un obblighi di informazione ma anche di attenta verifica dell’esattezza dei dati dichiarati, strumentali rispetto al corretto espletamento dell’incarico conferito”.

6. Con il motivo n. 6 del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si deduce l'”errata interpretazione degli artt. 220 e 239 C.D.C.”.

6.1. Il motivo è inammissibile.

L’articolazione della censura, al pari della relativa rubrica, prospetta difatti una violazione di legge (I'”errata interpretazione degli artt. 220 e 239 C.D.C.”) sotto forma di vizio motivazionale ex art. 360 c.c., comma 1, n. 5. In particolare, sotto le spoglie dell’assunto vizio motivazionale, si deduce un vizio di violazione di legge che, quindi, nella sostanza non risponde all’archetipo della censura denunciata, non avendo rilevanza un’insufficiente motivazione in diritto (per l’inammissibilità del motivo non rispondente, nella sostanza, all’archetipo della censura denunciata, ex plurimis, tra le più recenti, Cass. sez. 2, 07/05/2018, n. 10862, Rv. 648018-01).

Ne consegue quindi una censura di violazione di legge ma non costituita dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione sarebbe erronea, non traducendosi in una critica della decisione impugnata, con conseguente sua inidoneità al raggiungimento dello scopo, così risolvendosi in un “non motivo” inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 4, (per l’inammissibilità del “non motivo”, si vedano i riferimento innanzi citati).

6. Con il motivo n. 7 del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 220 C.D.C., avendo la CTR rilevato la mancata prospettazione ed allegazione in primo grado da pare del contribuente della sua buona fede nonostante, a detta del ricorrente, la sua rilevabilità d’ufficio.

6.1. Il motivo è infondato, in applicazione di principio sancito da questa Corte e dal quale non vi sono motivi per discostarsi, oltre che inammissibile per altro profilo.

Nel caso in cui l’Autorità doganale abbia allegato e dimostrato l’irregolarità delle certificazioni presentate o, deve aggiungersi in questa sede, che la dichiarazione doganale è caratterizzata da sottofatturazione (come nella specie), procedendo al recupero a posteriori dell’imposta, spetta al dichiarante dimostrare e, quindi, ancor prima allegare, l’esistenza cumulativa di tutti i presupposti indicati dall’art. 220 C.D.C., ossia che i dazi non siano stati riscossi per un errore delle autorità competenti, che tale errore sia tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore di buona fede e che il dichiarante abbia rispettato tutte le prescrizioni normative riguardanti la sua dichiarazione in dogana (Cass. sez. 5, 26/02/2019, n. 5560, Rv. 652961-02, si veda altresì, ex plurimis, Cass. sez. 5, 27/03/2013, n. 7702, Rv. 626217-01).

A quanto innanzi si aggiunge anche un profilo di inammissibilità per difetto di specificità (in termini di autosufficienza), in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, per mancata trasposizione nel ricorso dell’atto introduttivo del giudizio di merito nella sua parte essenziale (circa il detto onere allegatorio) all’apprezzamento della doglianza prospettata.

7. Con il motivo n. 8 del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce la “nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione…, in ordine a tutti i motivi dedotti dal CAD nell’atto di appello”.

7.1. Il motivo è infondato, avendo la CTR considerato in circa tre pagine di parte motiva le doglianza dell’impugnante, anche con specifico riferimento alla numerazione di cui all’atto d’appello.

La doglianza è comunque inammissibile perchè generica e deducente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per difetto di motivazione.

8. Con il motivo n. 9 del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4, in ragione dell’omessa “succinta esposizione dei motivi in fatto e in diritto”.

8.1. Il motivo è infondato, per quanto già argomentato in merito al motivo n. 8 (nel precedente paragrafo n. 7.1), oltre che inammissibile in quanto totalmente generico.

9. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, in favore della sola parte intimata costituitasi in giudizio (la controricorrente A.E.), che si liquidano, in applicazione dei parametri ratione temporis applicabili, in complessivi Euro 3.500,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Sussistono altresì i presupposti di cui al D.P.R. n. 30 maggio 2001, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (aggiunto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, (della medesima L. n. 228, ex art. 18, in quanto procedimento civile di impugnazione iniziato dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della citata L. n. 228 del 2012, cioè a decorrere dal 31 gennaio 2013).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese relative al presenta giudizio di legittimità, in favore del sol controricorrente, che si liquidano in complessivi Euro 3.500,00, oltre le spese prenotate a debito, dando atto della sussistenza dei presupposti, di cui al D.P.R. n. 115 del 2001, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norme dal cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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