Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26357 del 25/11/2013
Civile Sent. Sez. 3 Num. 26357 Anno 2013
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: CARLEO GIOVANNI
SENTENZA
sul ricorso 32078-2007 proposto da:
LAPEGNA LUCIANO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA ORTI DELLA FARNESINA, 155, presso lo studio
dell’avvocato ZHARA BUDA MASSIMO, rappresentato e
difeso dall’avvocato RUSSO MAURIZIO giusta delega in
atti;
– ricorrente –
2013
contro
1835
SILVESTRI
CAMPAGNANO
ROSARIA,
elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA OVIDIO 10 , presso lo studio
dell’avvocato BEI ANNA (Studio ROSATI), rappresentata
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Data pubblicazione: 25/11/2013
e difesa dagli avvocati MELE BRUNO, DELLA ROCCA
GIUSEPPE giusta delega in atti;
– controricorrente
–
avverso la sentenza n. 887/2007 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 26/03/2007 R.G.N. 5361/2002;
udienza del 08/10/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
CARLEO;
udito l’Avvocato MASSIMO ZHARA BUDA per delega;
udito l’Avvocato BRUNO MELE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per il rigetto del ricorso.
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udita la relazione della causa svolta nella pubblica
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 10/05/1993, Silvestri Campagnano Rosaria
esponeva che, nel periodo marzo-luglio 1991, il dottor Lapegna
Luciano aveva effettuato in suo favore cure odontoiatriche
consistenti nella riabilitazione protesica con elementi in
complessivo onorario di L. 6.000.000; che, a partire dal
gennaio 1993, aveva iniziato ad avvertire lancinanti dolori ai
denti, per cui si era recata per ulteriori cure, effettuate
senza alcun giovamento, presso lo studio del dottor Lapegna;
che, persistendo i dolori ed essendo insorto un ascesso, si
era recata presso la Clinica di Chirurgia Orale e Maxillo
facciale del I Policlinico-Università degli Studi di Napoli,
dove le era stata diagnosticata una “infiammazione cronica
periapicale con trattamento incongruo e reazione osteitica a
terapia
endodontica incompleta, parodontosi
pr~go, la
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diffusa. Tutto
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disposto ex art. 696 cpc dal Tribunale di Napoli accertames -lt
tecnico preventivo, al fine di accertare l’effettivo statck
della propria arcata dentaria, la congruità delle protesi, e
la causa dell’infiammazione. Successivamente, con atto di
citazione notificato in data 03/03/1994 la Silvestri conveniva
in giudizio davanti al Tribunale di Napoli Lapegna Luciano, e
chiedeva che, previa declaratoria di responsabilità, lo stesso
fosse condannato al risarcimento del danno subito e al
rimborso delle spese sostenute. Radicatasi la lite, sì
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oro-porcellana, e di avere corrisposto allo stesso il
costituiva il Lapegna che chiedeva il rigetto della domanda,
e, in via riconvenzionale, che l’attrice fosse condannata a
corrispondergli il residuo onorario di L. 1.075.000. La causa,
istruita con l’acquisizione della documentazione prodotta
dalle parti, con l’espletamento di prova testimoniale, di
legale, era trasmessa ai giudici delle sezioni stralcio del
Tribunale, a seguito dell’entrata in vigore della legge
276/1997. Fallito il tentativo di conciliazione, la causa era
rimessa a decisione. Con sentenza 13455/01, il G.O.A.
dichiarava la concorrente responsabilità delle parti nella
causazione del danno, e condannava Lapegna Luciano al
pagamento della somma di L. 7.806.000, oltre interessi legali
dall’ATP, e compensava per 1/2 tra le parti le spese di
giudizio, condannando il convenuto al pagamento della residua
metà, con attribuzione all’avv. Della Rocca. Avverso tale
decisione la Silvestri Campagnano proponeva appello ed, in
esito al giudizio, in cui si costituiva il Lapegna proponendo
a sua volta appello incidentale, la Corte di Appello di Napoli
con sentenza depositata in data 26 marzo 2007 dichiarava il
Lapegna responsabile dell’evento dannoso e lo condannava, in
favore dell’appellante principale, al pagamento della somma di
C 8.581,03 oltre interessi e alla rifusione delle spese di
lite. Avverso la detta sentenza il Lapegna ha quindi proposto
ricorso per cassazione articolato in cinque motivi. Resiste
la Silvestri Campagnano con controricorso. Entrambe le parti
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interrogatorio formale del convenuto e di consulenza medico
hanno depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Al fine di inquadrare più agevolmente il complesso delle
doglianze formulate dal ricorrente, può tornare utile
premettere che con il primo motivo di impugnazione il Lapegna
violazione e la falsa applicazione degli artt.1175 e 1227 cc
in relazione all’art.360 co.1 n.4, mentre, con gli ultimi
quattro motivi,ha dedotto vizi motivazionali, ed esattamente:
omessa insufficiente contraddittoria motivazione circa il
fatto controverso e decisivo ai fini del giudizio della
responsabilità ovvero del comportamento colposo e concorsuale
della creditrice nella causazione del danno
doglianza);
(seconda
omessa insufficiente contraddittoria motivazione
circa il fatto controverso della liquidazione del danno
biologico da postumi permanenti e da invalidità temporanea e
del danno morale (terza doglianza); omessa insufficiente
contraddittoria motivazione circa il fatto controverso della
liquidazione delle spese odontoiatriche (quarta doglianza);
omessa motivazione circa il fatto controverso della
liquidazione delle spese di accertamento tecnico preventivo
(quinta doglianza).
Giova aggiungere che le censure,
afferenti il vizio
motivazionale, non sono corredate da alcun quesito di fatto o
momento di sintesi mentre la prima doglianza è accompagnata
dal seguente quesito di diritto: ”
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Dica l’Ecc.ma Corte di
ha lamentato una violazione di legge, esattamente la
Cassazione, posto
che
l’art.1227 cc afferma
che il
risarcimento del danno non è dovuto laddove il creditore
avrebbe potuto evitare 11 danno usando l’ordinaria diligenza,
tale norma è applicabile anche in ipotesi di cosiddetto
“debitore qualificato” di cui all’art.1176 cc e, in caso
norma che andava applicata alla fattispecie in esame?”
Tutto ciò premesso, deve ritenersi l’inammissibilità di tutti
i motivi in esame.
Ed invero, per quanto attiene alle censure per vizio
motivazionale, deve rilevarsi che, nel vigore dell’art.366 bis
cpc, in base al capoverso di tale articolo, il ricorrente che
denunci un vizio di motivazione della sentenza impugnata è
tenuto – nel confezionamento del relativo motivo – a formulare
in riferimento alla anzidetta censura un c.d. quesito di fatto
e cioè indicare chiaramente in modo sintetico, evidente ed
autonomo, il fatto controverso rispetto al quale la
motivazione si assume omessa o contraddittoria, così come le
ragioni per le quali la dedotta insufficienza della
motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. A
tal fine è necessaria la enunciazione conclusiva e riassuntiva
di uno specifico passaggio espositivo del ricorso nel quale
tutto ciò risulti in modo non equivoco. Tale requisito,
infine, non può ritenersi rispettato allorquando solo la
completa lettura dell’illustrazione del motivo, all’esito di
una interpretazione svolta dal lettore, anziché su indicazione
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affermativo, il Giudice d’appello ha violato e disatteso tale
della parte ricorrente, consenta di comprendere il contenuto
ed significato delle censure, posto che la ratio che sottende
la disposizione di cui all’art.366 bis cpc è associata alle
esigenze deflattivo del filtro di accesso alla Suprema Corte,
la quale deve essere posta in condizione di comprendere dalla
lettura del solo quesito di fatto quale sia l’errore commesso
dal giudice del merito (così di recente Cass. n.6549/2013)
Quanto al primo motivo, una prima ragione di inammissibilità
deriva dall’irrituale commistione tra la dedotta violazione e
falsa applicazione degli artt.1175 e 1227 cc, che sono norme
sostanziali, e l’indicazione, come norma di relazione,
dell’art.360 co.1 n.4 cpc, afferente invece alla violazione di
norme processuali.
Ed invero, essendo il giudizio di cassazione un giudizio a
critica vincolata, il singolo motivo
assume una funzione
identificativa determinata dalla sua formulazione tecnica con
riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate,
con la conseguenza che una formulazione imprecisa, impedendo
di far rientrare il vizio denunciato in una delle categorie
logiche di censura enucleate dal codice di rito, ne fa
discendere l’inammissibilità del motivo. Ma vi è di più.
Invero, il quesito di diritto formulato non soddisfa affatto
le
prescrizioni
dall’art.366
richieste
bis
cpc,
non
contenendo né la sintetica riassunzione degli elementi di
fatto sottoposti all’attenzione del giudice di merito né
l’indicazione della questione di diritto controversa nè la
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A
formulazione del diverso principio di diritto, di cui il
ricorrente, in relazione al caso concreto, chiede
l’applicazione, in modo da circoscrivere l’oggetto della
pronuncia nei limiti di un accoglimento o di rigetto del
quesito stesso (Sez.Un. n.23732/07, n.20360 e n.36/07). Ed è
integrato dalla Corte attraverso un’interpretazione della
motivazione (Cass.14986/09).
Ne consegue che il ricorso per cassazione in esame deve essere
dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente
alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità,
liquidate come in dispositivo, alla stregua dei soli parametri
di cui al D.M. n.140/2012 sopravvenuto a disciplinare
compensi professionali.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità che liquida in complessivi C 1.800,00 di cui C
1.600,00 per compensi, oltre accessori di legge, ed C 200,00
per esborsi.
Così deciso in Roma in camera di Consiglio in data 8.10.2013
appena il caso di osservare che il quesito non può essere